“Resurrezione” di Mahler torna alla RAI di Torino

Juraj Valcuha dirige la sinfonia n. 2 Resurrezione di Mahler (Torino, RAI, 14 III 2014)

Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2013-2014
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Coro Maghini
Direttore Juraj Valčuha
Soprano Malin Hartelius
Mezzosoprano Michelle Breedt
Maestro del coro Claudio Chiavazza
Gustav Mahler : Sinfonia n. 2 in do minore Resurrezione, per soli, coro e orchestra, su testi da Des knaben Wunderhorn e da Der Messias di Friedrich Klopstock
Torino, 14 marzo 2014

Una grande festa della musica! Non si potrebbe definire in modo più sintetico e gioioso l’esecuzione della grandiosa sinfonia n. 2 di Gustav Mahler, Resurrezione, offerta dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI diretta da Juraj Valčuha, dal Coro Ruggero Maghini di Torino e dalle due soliste di canto chiamate per l’occasione. Dopo circa un’ora e mezza di musica sofferta e speranzosa insieme («Risorgerai, sì, risorgerai, / tu, mio cuore, in un istante!», recita il testo di Klopstock cantato dal coro nel finale) l’ultimo accordo è immediatamente seguito da uno scoppio di applausi che si protraggono per circa dieci minuti, con forte intensità, con crescente commozione, con gratitudine nei confronti di tutti gli esecutori. La sinfonia Resurrezione di Mahler, del resto, richiama alla memoria del pubblico torinese la storia recente dell’OSN RAI: fu questa l’opera che inaugurò il restaurato Auditorium (poi intitolato ad Arturo Toscanini) il 21 gennaio 2006, dopo anni in cui la stagione sinfonica aveva luogo presso l’altro celebre Auditorium di Torino, quello del Lingotto intitolato a Giovanni Agnelli. Mahler segnava quell’anno il ritorno alla sede naturale dell’orchestra RAI di Torino, già divenuta nazionale, così come oggi, ciclicamente, segna una sorta di compimento dell’orbita: otto anni di produzioni sinfoniche sul repertorio internazionale, di nuovi lavori, ma soprattutto di crescita progressiva e inarrestabile della qualità dell’orchestra, grazie all’avvicendarsi di direttori stimolanti e grazie alla maturazione e alla professionalità degli strumentisti; una storia di successo, di miglioramento costante, un’autentica resurrezione, dopo anni di inevitabili incertezze e di dubbi sul futuro (e che oggi sembrano, per fortuna, scongiurati).
Il I movimento (Allegro maestoso. Mit durchaus ernstem und feierlichem Ausdruck – Con espressione del tutto seria e solenne), molto articolato, frammentario, estenuato e reboante, è in genere lo scoglio più arduo per il direttore d’orchestra, perché occorre uscire dalla logica della sinfonia romantica, dalla forma sonata, e addirittura dall’avvio stesso di una struttura sinfonica; Valčuha, scegliendo sonorità nette ma pacate, tenta la via della composizione armonica di tutti i frammenti. Sul versante agogico la prova riesce molto bene; su quello delle sonorità non sempre (il gruppo dei corni appare a volte un po’ affaticato, sin dall’apertura). Ma l’orchestra, schierata al gran completo (organico “a quattro”, e rinforzato: trenta tra violini primi e secondi, dieci corni, dieci trombe, due tromboni e due tromboni bassi, otto percussionisti) è sicuramente in gran spolvero: sempre molto preciso Alessandro Milani, il primo violino, negli interventi a solo che gli competono; ottime le trombe, i fiati, i corni inglesi di Franco Tangari e Teresa Vicentini, ieratico fino alla fine e come sempre inesorabile il timpano di Claudio Romano. È significativo che il direttore, rispettando la violenza di tanti passaggi che rappresentano il cataclisma dell’uomo nella storia, preferisca però concentrarsi sulle radure liriche affidate agli archi e alle arpe. Grazie a ritenendo e accelerando calibratissimi, le scelte ritmiche sono perfettamente convincenti, e tendono a rappresentare un incedere solenne della musica.
Nel II movimento (Andante moderato. Sehr gemächlich – Molto comodo) Valčuha riesce a differenziare i piani sonori, le prospettive e le profondità della partitura, l’incisività di un suono che denuncia i conflitti e le disarmonie della realtà: la differenza dei piani sonori si profila dunque come principale chiave di lettura che il direttore offre. E anche qui, come già in precedenza, il momento più suggestivo è il più delicato: il pizzicato al centro del Ländler, un momento di serafica danza, come se la catastrofe dell’avvio non fosse mai esistita. Il III movimento (In ruhig fliessender Bewegung – Con moto tranquillo e scorrevole) è la famosa predica ai pesci di Sant’Antonio da Padova. Rappresentando un mondo utopico di bene e di pace, il direttore lo conduce con agilità discorsiva, conferendo alle brevi fanfare una risolutezza tutta liturgica; e anche in quest’altro mondo musicale Valčuha è del tutto a suo agio.
Con Urlicht (Luce primigenia – Sehr feierlich, aber schlicht, Choralmässig – Molto solenne, ma semplice, come un corale) prende avvio la sezione vocale della sinfonia; Michelle Breedt è un mezzosoprano dalla voce non troppo timbrata, poco solida sulle note basse, più convincente nel registro centrale: a lei è affidato il Lied tratto da Des knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo, la famosa antologia di racconti e canti popolari curata da Achim von Arnim e Clemens Brentano agli inizi dell’Ottocento). La voce del soprano Malin Hartelius ha pochi armonici, e la sua linea di canto risulta piuttosto disomogenea: a lei è affidato invece il testo del Messia di Friedrich Klopstock, condiviso anche dal coro. La cui prestazione è davvero ottima: attacca in piano, da seduto, canta a memoria, si alza in piedi – con effetto prossemico riuscitissimo – soltanto in corrispondenza degli ultimi versi. I due movimenti conclusivi sono poi caratterizzati da una regia sonora molto accurata, perché i punti di emissione del suono si moltiplicano: le fanfare degli ottoni che aprono il finale (Im Tempo des Scherzo, Wild Herausfahrend – Selvaggio prorompente – Langsam – Lento – Allegro energico, Langsam, “Aufersteh’n” – “Risorgerai” – Langsam. Misterioso) provengono dall’alto della galleria (comunque all’esterno della sala), producendo una suggestione superlativa, di richiamo e di promessa che scendono dal cielo. Altro gruppo di ottoni e percussioni, posizionato nel foyer al piano della platea, esegue con sinistro effetto bandistico le indiavolate fanfare che precedono l’attacco corale. Direttore e maestro del coro hanno dunque impostato una regia musicale tesa all’esaltazione della stereofonia. Ma, alla fine, a condurre verso l’alto sono gli accordi dell’orchestra, nuovamente al completo dopo il ritorno dei gruppi fuori scena: il direttore sottolinea la serena grandiosità della coda, facendo suonare anche in modo debordante le campane e le percussioni, in un quadro di sconfitta definitiva della morte e di ritorno alla vita. Lo canta appunto il coro, con l’ultima rima baciata tratta da Klopstock: «Was du geschlagen / zu Gott wird es dich tragen!» (Ciò che hai sconfitto / a Dio ti condurrà).   Fotografie Michele Rutigliano