Roma, Teatro dell’Opera, Stagione Lirica 2013-2014
“MANON LESCAUT”
Dramma lirico in quattro atti. Libretto di Domenico Oliva, Giulio Ricordi, Luigi Illica e Marco Praga, basato sul romanzo dell’abate Prévost
Musica di Giacomo Puccini
Manon Lescaut ANNA NETREBKO
Lescaut GIORGIO CAODURO
Il Cavaliere Renato Des Grieux YUSIF EYVAZOV
Geronte de Ravoir CARLO LEPORE
Edmondo ALESSANDRO LIBERATORE
L’oste STEFANO MEO
Un musico ROXANA CONSTANTINESCU
Il maestro di ballo ANDREA GIOVANNINI
Il lampionaio GIORGIO TRUCCO
Sergente degli arcieri GIANFRANCO MONTRESOR
Il Comandante di Marina PAOLO BATTAGLIA
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Riccardo Muti
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Chiara Muti
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Alessandro Lai
Luci Vincent Longuemare
Nuovo allestimento
Roma, 6 marzo 2014
Meravigliosa la raffigurazione di Manon Lescaut offerta dalla diva Anna Netrebko, debuttante al Teatro dell’Opera di Roma e nel ruolo, per il terzo titolo della Stagione Lirica 2013/2014. Il soprano russo, già acclamata Manon di Massenet in svariate produzioni, ha affrontato per la prima volta il ruolo, molto più pesante dal punto di vista vocale, dell’eroina pucciniana. Il fascino magnetico della protagonista si è sprigionato al suo apparire nel primo atto e già il suo “Manon Lescaut mi chiamo” ha letteralmente riempito la sala. La cantante ha dominato l’intero spettacolo con vette di poesia lirica nel secondo atto, culminato con un’ottima resa di “In quelle trine morbide”, con emissione salda, pianissimi eterei ed una spiccata carnalità nell’interpretazione. Una recitazione da manuale che le ha permesso di creare un personaggio a tutto tondo, dalla fanciulla smarrita, ma già conscia della sua capacità seduttiva nel primo atto, con quella frase “una fanciulla povera son io”, alitata in maniera triste ma accompagnata da un movimento delle labbra di grande passionalità, all’angoscia esistenziale del salotto dorato che la imprigiona nel secondo atto, dove la sua sensualità mai volgare è rappresentata in maniera del tutto spontanea. Bellissima la sua partecipazione emotiva nel duetto d’amore del secondo atto, uno dei vertici dell’erotismo in musica: il suo “pensavo… ad un avvenir di luce” si è proiettato nella sala come una lama tagliente. Nel terzo atto la Netrebko ha siglato un ulteriore capolavoro nel concertato dove la sua voce ha donato ancora una sigla di modernità in quello straziante grido “mio amore addio!” dove il dolore per la perdita dell’amato viene trasmessa come una vera stilettata al cuore. Il quarto atto è un capolavoro nel capolavoro: non c’è frase in cui la cantante non infonda una dolorosa, struggente malinconia, un “Sola, perduta abbandonata” drammaticissimo, dove il suo “ahimè son sola!” provoca nello spettatore un senso di fine, di dolore infinito che poi sfocia nel terribile “Non voglio morir”.
Peccato che a siffatta interpretazione non sia corrisposto un degno coprotagonista: infatti il Renato Des Grieux interpretato dal giovane tenore azero Yusif Eyvazov è stato una vera calamità. All’ascolto, sembra di udire un timbro molto più anziano di quello dell’età anagrafica del cantante. L’emissione è incerta, con diverse difficoltà di intonazione, soprattutto nei frequenti momenti di dialogo con Manon. Il duetto d’amore del secondo atto è stato massacrato da un fraseggio inesistente, con puntature all’acuto ai limiti dell’urlo, così come il “No pazzo son!” del terzo atto dove ha evidenziato un istrionismo stentoreo, incapace di modulare o smorzare. Forse un po’ meglio l’aria del primo atto “Donna non vidi mai” durante la quale il pubblico ha fissato però molto di più l’attenzione sulla Netrebko, che nella sua controscena, appoggiata alla parete, era in grado di esprimere con la sua sensualità molto di più di quanto potesse trasmettere l’impacciato tenore. A tutto ciò purtroppo va aggiunta una figura goffa, sgraziata sulla scena, in grado di compiere solo movimenti stereotipati.
Gli altri personaggi sono stati quasi tutti all’altezza del ruolo. Valido il Lescaut del giovane Giorgio Caoduro, che si è fatto valere soprattutto nel duetto con Manon. Buono il Geronte del basso Carlo Lepore, che ha regalato maggiore simpatia al vecchio banchiere. Molto bravo anche Alessandro Liberatore, giovane tenore, spesso interprete di ruoli principali, quale Edmondo. Il musico di Roxana Constantinescu è stato efficace nella pur breve ma intensa aria del secondo atto. Tra gli altri si segnala un buon Comandante di Marina, interpretato da Paolo Battaglia, l’oste di Stefano Meo e il maestro di ballo di Andrea Giovannini. Deludente invece il lampionaio di Giorgio Trucco con una emissione spezzata che ha un po’ rovinato il breve intervento del personaggio, come pure resta un po’ in ombra il sergente degli arcieri di Gianfranco Montresor.
La direzione viene affidata a Riccardo Muti: in un’estrema precisione della conduzione, si nota però quanto il grande direttore sia estraneo al repertorio pucciniano – come già nella famosa Manon Lescaut alla Scala di qualche anno fa. Così anche questa sera si è intravista un’eccessiva maestosità, una mancanza di freschezza che appartiene a tutto il primo atto e buona parte del secondo. I tempi molto estenuati dell’Intermezzo, pure in una perfezione quasi sublime, hanno mostrato una certa staticità… come se fosse Spontini, più che Puccini. L’eccessivo volume dell’Orchestra spesso ha sovrastato i cantanti, con l’eccezione della Netrebko. Il Coro del Teatro dell’Opera, guidato da Roberto Gabbiani è stato discreto, con qualche difficoltà nel primo atto, dove alcuni squilibri con l’Orchestra hanno determinato qualche sfasatura.
In ultimo la regia di Chiara Muti: veramente deludente. Quanto piacevole fu il Dido and Aeneas alle Terme di Caracalla la scorsa estate, tanto questa Manon Lescaut può apparire come un esperimento da teatro di provincia. Nessuna idea particolare, se si eccettua il flashback iniziale che mostra immediatamente il deserto della Louisiana dove Manon muore e che compare come sfondo in tutto lo spettacolo: ma qui finiscono le idee. Si avverte qualche intuizione soprattutto nei momenti in cui è in scena la Netrebko, ma probabilmente più per l’innata capacità interpretativa della cantante che non per volontà della Muti. Le scene di Carlo Centolavigna sono apparse particolarmente anonime, escludendo sempre il secondo atto dove gli specchi girevoli con il deserto sullo sfondo potevano forse avere un qualche significato. Molto brutta la realizzazione del terzo e quarto atto, con un deserto dipinto, scarsamente suggestivo o la prua della nave nel terzo atto che compare all’improvviso. Neanche i costumi di Alessandro Lai sono apparsi particolarmente interessanti. In definitiva serata emozionante per la presenza della diva Anna, non felicemente supportata dal contorno ma con trionfo finale per tutti e qualche dissenso per il tenore.