Torino, Teatro Regio – Stagione d’Opera e Balletto 2013/2014
“TOSCA”
Melodramma in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca ANNA PIROZZI
Mario Cavaradossi MARCO BERTI
Scarpia MARCO VRATOGNA
Angelotti GABRIELE SAGONA
Il sagrestano MARCO CAMASTRA
Spoletta LUCA CASALIN
Sciarrone RYAN MILSTEAD
Un carceriere MARCO SPORTELLI
Un pastorello ANITA MAIOCCO
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Renato Palumbo
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia Jean-Louis Grinda
Scene Isabelle Partiot-Pieri
Costumi Christian Gasc
Luci Andrea Anfossi
Allestimento in coproduzione con Palau de les Arts Reina Sofia (Valencia), Opéra de Monte-Carlo e Fondazione Festival Pucciniano (Torre del Lago Puccini)
Torino, 11 Marzo 2014 (prova generale)
Nei mesi di febbraio e marzo il Regio di Torino ha inserito nel proprio cartellone un mini-festival dedicato a Puccini , comprensivo di tre recite fuori abbonamento di Tosca, proposta nell’allestimento curato da Jean-Louis Grinda, già visto nel gennaio 2012 e in tale occasione recensito. Il successo del popolarissimo titolo è tale che i biglietti per le serate sono andati esauriti, e la stampa è stata spostata sulla prova generale. L’impostazione registica a flashback, che nulla toglie né aggiunge alla drammaturgia pucciniana, è definita dalle proiezioni filmiche che mostrano il suicidio di Tosca (col salto dagli spalti di Castel Sant’Angelo) prima dell’apertura del sipario sul I atto, il mantello della protagonista che volteggia per aria sulle prime note del II atto, e infine la caduta, vista dagli occhi della diva, verso il pavé su cui finirà il volo mortale (quest’ultima proiezione, sul postludio orchestrale che segue «O Scarpia, avanti a Dio!», a dire il vero non si è vista l’11 marzo, ma voci informate sostengono che si sia trattato d’un problema tecnico). Per il resto, la regia è stata fedele, anche se non nei dettagli, al dettato del libretto e della partitura. Certo, si poteva risparmiare a Tosca d’infierire sul corpo di Scarpia con pugnalate su pugnalate, e farle invece compiere i gesti di pietà cristiana che molto più direbbero sulla sua personalità; ma sui dettagli non vale la pena di soffermarsi più di tanto. Piuttosto, una sorpresa ha atteso gli spettatori in teatro: ancor prima dell’ingresso del direttore, nella sala buia è stato proiettato un video pubblicitario dello sponsor che ha sostenuto la produzione. Che sia la nuova frontiera dell’ingresso dei finanziatori privati nei teatri lirici? In fondo, come lo si considera normale al cinema, non ci si deve scandalizzare che capiti all’opera, anche se di primo acchito verrebbe da storcere il naso; e siano benvenuti liquidi freschi in casse sempre più esauste! L’importante è che questa resti la frontiera: quando i siparietti pubblicitari si facessero largo nei cambi di scena sarebbe tempo di preoccuparsi seriamente.
Quanto all’esecuzione musicale, la serata è stata caratterizzata da un crescendo qualitativo che ha portato, dopo un primo atto piuttosto deludente – in cui tuttavia è emersa, ben sbozzata, la figura del Sagrestano, appannaggio del baritono Marco Camastra –, a una conclusione soddisfacente. La sensazione che le voci abbiano via via acquisito duttilità e calore ha riguardato tutti gli interpreti, e in particolare i due protagonisti. Il soprano Anna Pirozzi è dotata di uno strumento importante, vocato al repertorio lirico-drammatico. Nel I atto, tuttavia, le sue potenzialità sono rimaste in certa misura inespresse, penalizzate da un’emissione e un fraseggio non molto rifiniti; ciò non ha impedito di far balenare, in taluni passaggi come l’ammiccante «ma falle gli occhi neri», il carisma interpretativo dell’attrice che avrebbe dato i suoi frutti nel seguito dello spettacolo. L’animo fiero, passionale, disperato di Tosca è infatti emerso nel II atto, e in particolare nel «Vissi d’arte», appassionato e vibrante ma non dimentico d’essere una preghiera, e richiedere dunque una patina intimistica; non si possono tacere alcune finezze, come la pausa che ha preceduto il verso finale, quasi sussurrato in un atteggiamento di impotente sottomissione all’inspiegabile silenzio del Cielo. La capacità di giocare sulla dolcezza di piani e pianissimi si è riproposta nella chiusa del duetto dell’ultimo atto, «gli occhi ti chiuderò con mille baci / e mille ti dirò nomi d’amor». E non è mancata, al personaggio disegnato dalla Pirozzi, la violenza espressionistica, quasi dissennata, che la regia ha voluto sottolineare nel suo confronto con Scarpia. Anche la recita del tenore Marco Berti, nel ruolo di Cavaradossi, è stata caratterizzata da una progressiva ascesa: se nel I atto il suono tendeva a rimanere ingolato, in «E lucevan le stelle» la voce brunita, riscaldatasi, ha saputo definire l’atmosfera nostalgica del ricordo grazie a un fraseggio espressivo e appropriato. Più omogeneo è stato lo Scarpia del baritono Marco Vratogna; omogeneo ma al contempo monocromatico, perché il capo della polizia dovrebbe essere un uomo viscido in abiti rispettabili e signorili, capace di compiere i gesti più spregevoli con somma nonchalance, mentre in questa recita era costantemente pervaso da una brutalità manifesta, appropriata quando egli si rivela nella sua natura di violentatore, o quando muore senza che il suo sguardo riesca a sollevarsi dalla materialità, ma prima decisamente eccessiva.
Tra le seconde parti, oltre al già citato Sagrestano, si è distinto lo Spoletta del tenore Luca Casalin, che, con i suoi interventi appropriati, ha saputo far percepire l’atmosfera di sottomissione e terrore vissuta da coloro che si muovono intorno a Scarpia. L’orchestra, sotto la direzione non molto carismatica di Renato Palumbo, non ha contribuito a porre in rilievo la varietà di colori della partitura; anzi, il mini-poema sinfonico dell’alba romana è risultato un po’ appiattito, non più rilevato di un qualsiasi preludio. Una buona recita di routine, insomma, che ha riscosso grande successo tra il pubblico; un pubblico il cui interesse sembra, sempre più, quello di riascoltare comunque e soltanto i soliti titoli noti. Foto Ramella&Giannese