Juan Diego Florez:”L’Amour”

 Arie da: “La dame blanche” (Boiëldieu) – Ah! quel plaisir d’être soldat ; “La jolie fille de Perth” (Bizet) – Elle est là..À la voix d’un amant fidèle; “La Favorite” (Donizetti) – Parle mon fils…Un ange, une femme inconnue,à genoux, priait, près de moi”; “Les Troyens” (Berlioz) – Ô blonde Cérès; “Le postillon de Lonjumeau (Adam) – Mes amis, écoutez l’histoire d’un jeune et galant postillon; “Lakmé” (Delibes) – Prendre le dessin d’un bijou…Fantasie aux divins mensonges; “Werther” (Massenet) – Alors, c’est bien ici la maison du Bailli?…Ô Nature, pleine de grace; Toute mon âme est là…Pourquoi me réveiller; “Mignon” (Thomas) – Oui, je veux par le monde promener librement mon humeur vagabonde!; “La dame blanche” (Boieldieu) – Maintenant, observons…Viens, gentille dame; “La Belle Hélène” (Offenbach) – Au mont Ida, trois déesses; “Roméo et Juliette” (Gounod) – L’amour!…Ah! lève toi, soleil! Juan Diego Florez (tenore);  Sergeij Artamonov (basso).  Orchestra e coro del Teatro Comunale di Bologna, Roberto Abbado (direttore). Registrazione: Bologna, Teatro Manzoni, luglio 2013. T.Time 62.38 1 CD DECCA 02894785948
L’uscita di un nuovo CD di Juan Diego Florez suscita immediatamente interesse e curiosità nel popolo degli appassionati essendo il tenore peruviano sicuramente una delle personalità più amate dell’attuale scena lirica, il presente recital inoltre presentava un particolare interesse visto la scelta di un repertorio ancora insolito per il cantante, forse spia di una volontà dello stesso Florez di uscire dall’alveo rossiniano e belcantista in cui si è svolta sostanzialmente la sua carriera fino a questo momento.
Alla prova dell’ascolto però non si può nascondere una certa delusione, non solo in rapporto agli standard qualitativi cui Florez ha abituato in questi anni ma soprattutto perché resta l’impressione di qualcosa di non concluso, di una mancanza di autentico approfondimento. Il repertorio francese, specie quello fra la seconda metà del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento potrebbe offrire ottime opportunità a Florez – si veda al riguardo l’incisione del ruolo protagonista dell’”Orphée et Eurydice” di alcune stagioni fa sempre per la Decca – ma nella presente incisione questo repertorio è saltuariamente presente (e solo per autori ottocenteschi) mentre prevalgono aria decisamente molto celebri tratte dal repertorio liryque della seconda metà del secolo il cui stile è ancora sostanzialmente estraneo alla voce di Florez.
Florez è un cantante di classe superiore e questo traspare anche nel presente album. La voce, pur non bellissima in senso tradizionale, è sicuramente di grande fascino mentre la tecnica di altissima qualità complessiva gli permette di cantare con assoluta facilità anche i brani vocalmente più impervi; il controllo dell’emissione è perfetto, i filati da manuale, gli acuti pur non grandi di una sicurezza e luminosità non comuni. Ma queste sono cose che in qualche modo ci si aspetta da Florez, sono le frecce migliori a disposizione del suo arco quello che invece manca è uno studio stilistico più approfondito, un lavoro più attento sul fraseggio e sulla differenziazione espressiva dei singoli brani che tendono ad essere un po’ tutti troppi uniformati in una lettura che privilegia le mere ragioni del canto.
 Le cose funzionano ovviamente meglio nei brani stilisticamente più prossimi all’impostazione stilistica di Florez come nella prima delle due arie da “La dame blanche” di Boiëldieu presenti nell’incisione “A quel plasir” dove il taglio virtuosistico e la vocalità di matrice post-rossiniana si adattano al meglio alle doti di Florez così come lo squillo acuto facilissimo e naturale ma già nella seconda aria della stessa opera “Maintenant, observons…Viens gentile dame” il raffinato lirismo intriso di malizia tende a perdersi a scapito di un patetismo un po’ troppo monocorde. Riflessione analoga può valere per “O blonde Cérès” eseguita con assoluta musicalità ma priva di quel senso di classica compostezza che la scrittura berlioziana pretenderebbe.
l Fernand de “La Favorite” è ruolo per certi aspetti più naturalmente posseduto da Florez non solo per aver affrontato integralmente l’opera ma anche per un suo essere calato in una vocalità di tradizione italiana che è quella più congeniale al cantante dove si apprezzano la nobiltà della linea e la proiezione della voce ma anche qui l’accento tende ad essere sostanzialmente monocorde e al riguardo non lo aiutano di certe l’anonima direzione di Roberto Abbado e il Balthasar sgraziato e vociferante di Sergeij Artamonov e ci si chiede come mai la Decca non possa aver trovato un cantante più dignitoso specie considerando la non trascurabile importanza che hanno gli interventi del basso in questo brano.
In “Mes amis, écoutez l’histoire” da “Postillon de Longjumeau” partecipa anche il coro del Teatro Comunale di Bologna fornendo una prestazione decorosa ma sostanzialmente di routine mentre Florez può superando di slancio le impennate in acuto richieste non riesce a trasmettere quel senso di scanzonato divertimento che – ad esempio –  in una  storica registrazione, Gedda sapeva dare ad ogni nota del medesimo brano.
Le arie rimanenti sono tratte da opera lyrique del secondo Ottocento, repertorio ancor meno abituale del precedente per il tenore e questo si riverbera in modo palese sull’esecuzione. Gli estratti dal “Werther” di Massenet meritano forse una riflessione a parte, qui ci troviamo di fronte ad un azzardo a ben vedere eccessivo per la vocalità di Florez. Se infatti è improprio leggere Werther come fosse un heldentenorer wagneriano – e il riferimento ad un importante interprete attuale del ruolo non è casuale – altrettanto improprio e lontanissimo dal gusto moderno è darne una lettura totalmente de-virilizzata come quella offerta da Florez che annulla ogni forza interiore del personaggio sostituendola con una mollezza troppo femminea; un tipo di lettura che ha una tradizione anche illustre nella prima metà del Novecento ma che al gusto odierno risulta pesantemente datata.
I brani di Thomas “Oui je veux per le monde” da Mignon e Delibes “Prendre le dessin d’une bijou….Fantaisie aux divins” trascorrono all’insegna di un eleganza di maniera e di un’aulica routine sostanzialmente priva di emozioni non compensata dalla pulizia della linea vocale. Meglio al riguardo il racconto “A Mont Ida, trois déesses” da “La belle Hélène” dove la scrittura brillante e leggera di Offenbach  lo portano ad un’esecuzione più vivace e movimentata anche se un po’ povera di quella fatua ironia che il brano sembra naturalmente ispirare.
A la voix d’un amant fidèle” non è priva di suggestione anche se quello di Florez è più un mezzo forte che un’autentica mezza voce ma anche qui si nota un limitato gioco di colori e di accenti ancor più evidente in un brano che trova la propria ragion d’essere proprio sul versante espressivo. Chiude il programma un’esecuzione di “L’amour, l’amour…Ah! Lève-toi, soleil” dal “Roméo et Juliette” di Gounod elegante e musicale ma povera di slancio e passione.  L’Orchestra e il coro del Teatro Comunale di Bologna accompagnano il cantante sotto la direzione di Roberto Abbado fornendo una prova complessivamente corretta ma anch’essi senza mostrare particolare ispirazione; l’incisione è tecnicamente esemplare come sempre nei prodotti Decca. L’impressione complessiva è quella di  un buon cd,  sicuramente curato ma che – considerando le forze in campo – delude però le aspettative in quanto sarebbe stato lecito attendersi un approccio decisamente più meditato e approfondito.