Jules Massenet (1842-1912):”Le Mage”

Grand Opéra in cinque atti e sei quadri su libretto di Jean Richepin. Catherine Hunold (Anahita), Kate Aldrich (Varedha), Luca Lombardo (Zarâstra), Jean-François Lapointe (Amrou), Marcel Vanaud (Le roi d’Iran), Julian Dran (Un prisonnier, un Chef Iranien), Florian Sempey (Un chef touranien, Le Héraut). Laurent Campellone (direttore); Coro Lirico e Orchestra Sinfonica Saint-Étienne Loire; Laurent Touche (Maestro del Coro). Registrazione: Opéra Théâtre de Saint-Étienne, 9-12 novembre 2012. 2 CD a cura delle edizioni Palazzetto Bru Zane – Centre de Musique Romantique Française, allegati a un volumetto  rilegato di 144 pagine (13,5×21 cm) in francese e in inglese. Tiratura limitata e numerata a 3000 copie.
Le Mage- Atti 1 e 2 / Atti 3, 4 e 5

Conoscendo il temperamento di Massenet, che, terminata un’opera, non riusciva nemmeno per breve tempo a riposare sugli allori e la sua tristezza per l’impossibilità di far rappresentare Werther, Hartmann e Jean Richepin gli offrirono un libretto per un’opera destinata all’Opéra dal titolo Le mage il cui soggetto s’ispirava alla storia di Zarâstra. Così nell’estate del 1889 il compositore francese cominciò a lavorare a questa nuova opera con l’aiuto del suo amico, lo storiografo Charles Malherbe che lo aiutò a scegliere, fra i suoi manoscritti, alcuni brani da utilizzare per i vari atti. L’opera, in cinque atti e sei quadri, allestita con grande cura da P. Gailhard, direttore del teatro, e con un cast magnifico di cui facevano parte Edmond Verniet (Zarâstra), Jean-François Delmas (Amrou), Jean Martapoura (Re dell’Iran), Caroline Fiérens (Varheda), Marie Lureau-Escalais (Anahita), la famosa ballerina Rosita Mauri e sul podio Auguste Vianesi, andò in scena il 16 marzo 1891 all’Opéra con discreto successo, anche se non duraturo, testimoniato da 40 rappresentazioni nonostante qualche perplessità espressa dalla critica.
Il recensore dell’opera per «Le Figaro», pur non ritenendo Le mage un capolavoro, ne evidenziò alcune qualità:

Abbiamo segnalato di passaggio alcune pagine della partitura del signor Massenet che hanno più vivamente impressionato il pubblico, ma ce ne sono delle altre e numerose, che non l’hanno minimamente interessato. Le mage, se non è proprio un capolavoro dell’autore di Marie-Magdeleine, è un’opera nella quale si ritrovano tutte le qualità del maestro, e soprattutto la chiarezza, la grande qualità francese, che si cerca invano di distruggere. Quanto all’orchestrazione, noi non crediamo che ne esista nelle opere di questi tempi di più moderna né più interessante. (Le mage in «Le Figaro», 17 marzo 1891, p. 3).

Più duro fu il commento di Fourcaud su «Le Gaulois»:
Ma se noi applaudiamo allo sforzo, noi non arriveremo a pretendere che sia coronato da un successo pieno. Dal punto di vista dell’abbondanza di idee e della loro novità, noi non riteniamo Le Mage come una delle migliori opere del signor Massenet e non vi troviamo l’equivalente delle belle pagine del Roi de Lahore, per esempio.  (L. de Fourcaud, Le mage, in «Le Gaulois», 17 marzo 1891, p. 3).
Qualche riserva fu espressa anche da Moreno nella sua recensione per «Le Ménestrel», pur confessando di preferire Le Mage a Le Cid e ad Esclarmonde:

Ecco la nuova partitura dell’autore di “Marie-Magdeleine. Tutto sommato la preferiamo, ancora al Cid, che fu una pura fontana di acqua chiara, o a Esclarmonde, che fu un’opera di falsità. Le mage è un’opera scientifica, dove nessuna regola di pesantezza è stata certamente trascurata. L’avremmo preferita piena di ispirazione e di idee nuove, ma bisogna almeno constatare qui un grande cura della forma, una fattura notevole e una tenuta di stile poco ordinaria. Il signor Massenet inclina ogni giorno di più verso il dramma che si preconizza oggi, quello dove la declamazione gioca il ruolo più grande e che si scosta sempre più dalla musica propriamente detta. È un peccato; con questo gioco, la fantasia si prosciuga e perde in freschezza e in invenzione ciò che guadagna dalla parte di quella che si chiama verità drammatica […]. Del luogo comune ridondante, ecco la caratteristica di Le Mage. Noi preferiamo di gran lunga, a questo sistema voluto di pesantezza e di pretesa, la poetica seducente di Manon e di Hérodiade. Il signor Massenet si trova evidentemente in un periodo di agitazione, che non gli permette più di vedere con chiarezza la strada che egli aveva intrapreso così felicemente al suo debutto. Come per il suo eroe Zarastra, un periodo di raccoglimento gli si impone. Egli farà bene a ritirarsi sulla montagna santa e a meditarvi sui pericoli di una produzione troppo affrettata. Allora tornerà a noi più forte e ritemprato per nuove lotte. Siamo in diritto di attenderci molto dal signor Massenet, il compositore più meravigliosamente dotato forse della nostra epoca; noi abbiamo dunque il dovere di risparmiargli parole zuccherate che lo farebbero smarrire ancora di più. (H. Moreno, Le mage, in «Le Ménestrel», ann. 57, n. 12, domenica 22 marzo 1891, p. 92).

La vicenda è ambientata nella città di Bakhdi e sulla montagna sacra, in Persia, e ha per protagonista il generale persiano Zarâstra, innamorato di Anahita, regina dei Touraniens, una tribù sciita che aveva tentato la conquista dell’Iran ed era stata vinta in battaglia. Quest’amore scatena la gelosia di Varheda, sacerdotessa della dea Djahi e le ire di suo padre, il gran sacerdote Amrou che si oppone al fidanzamento, deciso dal re per premiare il gran condottiero, tra Anahita e Zarâstra. Avendo appreso dal sacerdote che il generale si era impegnato a sposare Varheda, il re ordina allora a Zarâstra di mantenere la promessa fatta. Il generale allora fugge da Bakhdi e rinnega i suoi dei votandosi al dio del fuoco Ahoura Mazdah del quale, ritiratosi sulla montagna sacra, diviene l’eletto, il mago di una setta iniziatica. Nello stesso tempo il re costringe Anahita a sposarlo, ma l’esercito dei Touraniens invade la città distruggendola e facendo strage dei Persiani. Zarâstra giunge quando è ormai troppo tardi, ma incontra Anahita a capo del suo esercito e, vincendo i sortilegi di Varheda, i due innamorati riescono a salvarsi.
L’ambientazione orientale dell’opera risalta già nella prima scena ambientata nel campo di Zarâstra grazie all’arabeggiante vocalizzo del Prisonnier Touranien, che, dopo un intervento del coro, intona un dolente. languido e poetico canto di prigionia Par les monts, par les vaux (Es.1). Subito dopo giunge Varheda che si produce Massenet es. 1in un’ardente professione d’amore per Zarâstra (Et cet amour), in cui Massenet può esprimere compiutamente tutta la sua vena lirica. Zarâstra, tuttavia, è innamorato di Anahita e rifiuta con forza nel successivo duetto con Varheda, l’amore della donna. Molto più raffinato è il duetto con Anahita in quanto vibra, in alcuni passi, di profonda passione mentre l’atto si conclude con l’arabesco iniziale. Questo quadro iniziale fu esaltato anche da Moreno il quale non era stato tenero nei confronti dell’opera nella sua recensione per «Le Ménestrel»:

Fermiamoci su questo primo quadro che è stato particolarmente propizio al musicista. Non lo troveremo più in seguito in così felice vena. È che qui, il signor Massenet si trova bene nella sfera naturale al suo talento. Egli eccelle nel dare alle melodie quel giro sdolcinato e graziosamente malaticcio che si addice ai languori amorosi; e questa volta ancora, egli non ha mancato di trovarsi a suo agio, per dipingere la passione vaneggiante di Anahita e del suo vincitore, di queste frasi di un fascino avvolgente che hanno fatto il meglio della sua fama. Ha dunque qui scritto un duetto che non deturperà certo in alcun modo la raccolta di quelli che noi gli dobbiamo già nella stessa maniera delicata e tenera. Ha naturalmente prestato a Varedha, la serva dei piaceri, degli accenti più tormentati e più turbanti; non è più l’amore casto e puro di Anahita. La sfumatura è stata molto bene scelta e resa dal musicista. Il canto dei prigionieri turanici ha molto calore nella sua tristezza e l’invocazione di Amrou agli dei Dévas non manca di ampiezza. Ecco dunque un primo tableau completo, che fondava bene l’opera dall’inizio e ci dava la speranza di un’autentica serie di incantesimi. (Ivi, p. 91).

Protagonista del primo tableau del secondo atto è Varheda la quale, dopo le urla esultanti della folla che acclama Zarâstra vincitore, canta l’aria Descendons plus bas, il cui carattere funereo, reso da una scrittura che insiste sui suoni bassi, contrasta con le acclamazioni popolari. Varedha manifesta il suo desiderio di morire, ma proprio in quel momento interviene Amrou il quale le annuncia che la sua vendetta è prossima. Il relativo duetto tra Amrou e Varedha presenta uno stile declamatorio, poco apprezzato dalla stampa dell’epoca, mentre le fanfare conducono al tableau successivo, una scena trionfale che, in alcune situazioni sceniche e in alcune scelte musicali, ricorda quella trionfale dell’Aida di Verdi. In questa scena spiccano, dal punto di vista musicale, l’andante cantabile di Zarâstra, Ah! Parais, astre de mon ciel di grande lirismo e il finale che si distingue per la raffinata scrittura contrappuntistica con Zarâstra che alla fine si eleva sulla massa invocando il dio Mazda. Piuttosto contrastata nei giudizi della critica contemporanea è la scena della Montagne sainte, che, preceduta da un burrascoso preludio, vede come protagonista Zarâstra ritiratosi sulla Montagna sacra. Questa scena, giudicata in modo contrastante dalla critica, è in realtà una rielaborazione dell’ode Apollo’s Invocation, composta nel 1884 ed eseguita al Festival di Norwich nello stesso anno. Dopo una breve invocazione, da parte dei Mages, al Dieu de feu in una scrittura solenne, a cappella, e su una melodia orientaleggiante, si sente fuori dalla scena l’invocazione di Zarâstra a Mazda che alla fine si manifesta con un tuono reso da una vera e propria esplosione orchestrale e dall’uso di disegni cromatici discendenti. Zarâstra eleva, quindi,  la preghiera, Heureux celui dont la vie, giudicata come uno dei passi buoni della partitura, anche da chi, come Moreno, non aveva lesinato critiche all’opera. È questa, in effetti, una pagina intrisa di lirismo che sfocia nell’inno vero e proprio, O ciel d’Ahoura, vibrante di esaltazione mistica, nonostante il ricordo delle passioni terrene e in particolar modo della bella Anahita turbino ancora l’animo di Zarâstra. Sopraggiunge Varheda che cerca di irretire l’uomo con un lungo discorso con il quale gli promette il trono dell’Iran, aggiungendo che Anahita l’ha dimenticato e ha deciso di sposare un altro uomo. Il duetto, che ne consegue, sebbene un po’ troppo lungo, è una delle pagine più ispirate dell’opera che raggiunge il suo hapax nella parte conclusiva quando Zarâstra afferma: Sous le coups tu peux brisser – Tout mon corps qui t’aime. Nel quarto atto la scena si sposta nel tempio della dea Djahi dove i sacerdoti la invocano; in questa scena sono collocate le danze d’obbligo nel genere del Grand-Opéra che, pur essendo di ottima fattura grazie alla scrittura che indulge su stilemi esotici, delusero la critica alla prima esecuzione. Moreno, sempre su «Le Ménestrel», scrisse un commento del tutto condivisibile:

Quinto tableau. – Ecco l’ora del balletto. Lo si aspettava con una certa impazienza. È là dove di consueto il signor Massenet, che è un sinfonista abile, dissemina fiori con profusione; questa volta il suo bouquet è sembrato un po’ appassito. Certo, ci sono sempre degli effetti timbrici curiosi, accompagnamenti strumentali ingegnosi; in un certo punto anche l’antico caprone esplode in suoni rauchi, come nelle feste del dio Pan. Non si tratta pertanto qui che di celebrare le feste della dea Djahi, che si adatterebbe molto più alla mollezza e a idee voluttuose. Il balletto non ha fatto impressione. 

Massenet es. 2Le danze appaiono un lavoro raffinato ma di mestiere, come il resto dell’atto nel quale è rappresentata la celebrazione delle nozze tra Anahita e il re. Tra i brani spiccano la preghiera di Amrou Fais fleurir, ô sainte ivresse e l’andante di Anahita Ah! si tu m’aimes, che è una delle pagine più significative dell’atto. Nell’ultimo atto si distingue l’aria di Zarâstra, O mon pays, che con i suoi slanci lirici è uno dei brani più belli per tenore (Es. 34) scritti da Massenet il quale ne avrebbe rielaborato la musica in Sapho. L’ingresso sulla scena di Anahita dà l’occasione a Massenet di scrivere un duetto pieno di passione, Anahita vivante!… toi!… toi mon adoré!… nel quale la musa lirica del compositore trova libero sfogo, mentre l’invocazione finale di Varheda alla dea Djahi mostra una troppo scoperta influenza wagneriana.
Non così popolare come altre opere di Massenet e offuscata dai suoi capolavori, Le mage, dopo la sua prima rappresentazione, è praticamente scomparsa dai cartelloni teatrali e non ha conosciuto, se non per pochissimi brani, una vera e propria fortuna discografica. A parziale risarcimento di questa scarsa attenzione tributatale è stata da poco pubblicata la prima edizione integrale dell’opera in CD realizzata, con l’Orchestre Symphonique dell’Opéra di Saint-Étienne diretta da Laurent Campellone, nel mese di novembre 2012 a cento anni dalla morte di Massenet. Quest’incisione, oltre ad avere il merito di far conoscere al largo pubblico quest’opera caduta in oblio, si distingue per un’esecuzione precisa e nel complesso buona. Un merito va accordato preliminarmente  alla concertazione di Laurent Campellone, direttore d’orchestra dalla vasta cultura musicale (annovera tra i suoi studi il violino, la tuba, le percussioni e anche il canto), che si è mostrato particolarmente attento alla scelta dei tempi e al carattere sinfonico della partitura; ciò emerge nella ricerca di sonorità che non sovrastano mai le voci, ma si amalgamo con esse al fine di realizzare una superiore unità suggerita dalla partitura nella quale sono presenti continui richiami tra gli strumenti e la voce. Anche le sonorità più forti, come quelle prescritte dall’autore all’inizio del quarto atto prima del Divertissement, non appaiono mai aspre, mentre una certa morbidezza è riscontrabile nei passi lirici degli archi di cui è disseminata la partitura. Complessivamente valido  il cast vocale scelto con particolare attenzione alla vocalità, tutt’altro che facile, di quest’opera. Appassionato nel duetto dell’atto primo con Anahita e fervente di zelo religioso nella preghiera dell’atto terzo, il tenore Luca Lombardo (Zarâstra) affronta con musicalità e sicurezza il ruolo allo stesso modo del soprano Catherine Hunold, interprete sensibile e cantante dalla bella linea vocale, pur con qualche tensione nel registro acuto. Domina il cast la personalità autenticamente teatrale del mezzosoprano Kate Aldrich, che tratteggia una Varheda appassionata e vocalmente sicura su tutta la linea vocale, come si può vedere nell’aria Descendons plus bas dell’atto secondo. Particolarmente versato per i ruoli di Massenet, il baritono Jean-François Lapointe ci consegna un Amrou estremamente credibile sotto ogni punto di vista. Completano degnamente il cast: Marcel Vanaud (Le Roi d’Iran); Julien Dran (Un Prisonnier Touranien) e Florian Sempey nella doppia veste di Un Chef Touranien  e di Le Hérault. Buona, infine, anche la prova del coro ben preparato da Laurent Touche.

La parte storico-musicale è un estratto da: Jules Massenet. Les tribulations d’un auteur. Una vita per il teatro musicale, di Riccardo Viagrande. Casa Musicale Eco, Monza, 2012, pp. 85-89. Si ringrazia l’editore per averne concesso la pubblicazione.