Venezia, Palazzetto Bru Zane: Quintetto “Opus V”

Palazzetto Bru Zane, Festival “Félicien David, Da Parigi al Cairo”
Quintetto “Opus V”
Violini Jae-Won Lee, Vanessa Szigeti
Viola Adrien Boisseau
Violoncello Eleonore Willi
Contrabbasso  Davide Vittone 
Félicien David:”Les Quatre Saisons” (extraits): Soirée de printemps n. 2, Soirée d’été n. 10, Soirée d’automne n. 13, Soirée d’hiver n. 19.
George Onslow:
Quintette n. 12 avec contrebasse en la mineur op. 34.
Venezia,  17 aprile 2014      

Altra tappa importante lungo il percorso finalizzato alla riscoperta di Félicien David, un compositore – è il caso di ribadirlo – ingiustamente caduto nell’oblio o comunque sottovalutato, in quanto a lungo considerato come mero esponente dell’orientalismo musicale, in voga in Francia tra la prima e la seconda metà dell’Ottocento, senza tenere nella giusta considerazione la sua cospicua produzione cameristica e sinfonica. A riproporlo all’attenzione del pubblico è il Centre de musique romantique française di Venezia, cui è dovuta l’organizzazione del Festival Félicien David, da Parigi al Cairo (5 aprile-17 maggio 2014), di cui già abbiamo dato conto su queste pagine, nel corso del quale sarà proposta un’ampia scelta di composizioni da camera dell’autore. Questa volta si è trattato di estratti da Les Quatre Saisons, costituite da brevi composizioni per quintetto con contrabbasso, primo titolo di un programma, che comprendeva anche il quintetto n. 12 (sempre con contrabbasso) di George Onslow, altro musicista, conterraneo di David, che subì un’analoga damnatio memoriae. A questo proposito ci permettiamo di notare che la strada intrapresa dal Centro francese ci sembra quella giusta, meritevole di essere presa come esempio dalle italiche istituzioni musicali, al fine di riproporre degnamente opere ed autori ottocenteschi del Bel Paese, anch’essi troppo a lungo ignorati: Martucci, Sgambati, ma anche certi gioiellini cameristici di Donizetti, un autore famoso per il numero imponente di melodrammi che compose (alcuni dei quali non proprio ispiratissimi), ma quasi sistematicamente ignorato per quanto riguarda la produzione da camera, nella quale – ricordiamo che il compositore bergamasco visse sotto l’Imperial Regio governo austriaco – si può cogliere un’eco lontana della grande produzione viennese.  Ma il discorso si farebbe complicato …
Torniamo dunque al concerto di cui dobbiamo occuparci, svoltosi presso la deliziosa sala, a ciò adibita, del Palazzetto Bru Zane, dove – com’è noto – ha sede il Centro francese: uno spazio particolarmente adatto per dimensioni ed acustica al repertorio da camera. Innanzi tutto un cenno sui giovani esecutori, componenti il quintetto d’archi Opus Five, nato nel 2008 per volontà del contrabbassista italiano Davide Vittone e del mezzosoprano statunitense Jennifer Larmore, con l’obiettivo di alternare programmi che mettano in luce la dinamica tra voce e strumenti e altri di carattere cameristico strumentale: si tratta di musicisti di prim’ordine, che suonano nelle maggiori orchestre europee, specializzati nel repertorio da camera. Il che si è sentito senza ombra di dubbio nel corso della piacevole serata.
Nate in gran parte per una sorta di scommessa con il violinista Jules Armingaud e altri partecipanti alle soirées musicali, organizzate dallo stesso Armingaud a casa  propria, che lo sfidarono simpaticamente a consegnare ogni settimana un nuovo quintetto da suonare a prima vista (cosa che avvenne con scrupolosa puntualità), Les Quatres Saisons, divise in quattro serie di sei quintetti, dedicate ad altrettanti amici, furono pubblicate tra il 1845 e il 1846. Si tratta di pura musica da camera senza alcuna tinta orientaleggiante, scevre in linea di massima da qualsiasi intenzione descrittiva, che invece rivelano le celeberrime Quattro Stagioni vivaldiane. Nella Soirée de printemps n. 2 , che si apre con l’accordo perfetto discendente di La maggiore, il valzer brillante, introdotto dal violino ha dato modo a tutti gli esecutori, che in qualche modo dialogano insieme riprendendone il tema o parti di esso, hanno sfoggiato un perfetto insieme e una sicura  padronanza dei rispettivi strumenti in un brano sicuramente salottiero, ma che, se ben eseguito come di fatto è stato, rivela un gusto raffinato e un’ottima fattura. L’insieme ha brillato, per affiatamento e bel suono giustamente vigoroso, anche nella successiva  Soirée d’été n. 10, caratterizzata da maggiore vitalismo e ritmi più incalzanti e marcati. Un clima mesto, ma espresso con accenti decisi, si è colto nella Soirée d’automne n. 13, un pezzo in cui si alternano passaggi più sonoramente  tristi a squarci intrisi di contenuto lirismo fino alla conclusione morbida e tenue: nel complesso un brano dove i solisti hanno rivelato grande senso dei colori e dei volumi sonori. Romanticamente tumultuoso e appassionato l’attacco della Soirée d’hiver n. 19, cui segue un delizioso cantabile, dove ancora una volta Opus V ha dimostrato uno spiccato senso delle sfumature, confermatosi anche nel successivo episodio di trasognato lirismo e in altre pagine di simile carattere all’interno della composizione.
Quanto al secondo titolo, la produzione di George Onslow (nato da padre inglese e madre francese),  costituita da 36 quartetti e 34 quintetti per archi, fu tenuta, durante la vita dell’autore e fino alla fine del XIX secolo, nella più alta considerazione, in particolare in Germania, Austria e Inghilterra, meritandosi, tra l’altro, l’ammirazione di Beethoven e Schubert. Quest’ultimo – diversamente da quanto viene spesso affermato – modellò l’organico del proprio quintetto in do maggiore (D 956) su quelli di Onslow e non su quelli di Boccherini. Con il mutamento del gusto dopo la Prima guerra mondiale, la sua musica, insieme a quella di tanti altri compositori, cadde nell’oblio, e fino al 1984, anno in cui si è celebrato bicentenario della sua nascita, l’autore è rimasto praticamente sconosciuto. Da allora, la sua musica si sta lentamente riscoprendo come testimonia anche questo concerto presso il Palazzetto Bru Zane. Del resto, la scrittura di Onslow è straordinaria, in quanto riesce a stemperare la drammaticità dell’opera nel linguaggio della musica da camera sull’esempio dei più insigni maestri di Vienna.
Il quintetto per archi n. 12, op. 34 risale al periodo centrale dell’attività creativa del compositore. Completato nel 1828, divenne subito dopo la sua pubblicazione immensamente popolare. Venendo all’interpretazione che ne ha offerto Opus Five, nel movimento di apertura, un ampio e variegato Allegro, il violoncello ha esposto con giusto accento e bel suono rotondo il tema principale lento e struggente, imitato poi dal violino, dopodiché il tempo si è animato con l’intervento degli altri strumenti, che hanno intrecciato con i primi un dialogo appassionato. Altrettanto affascinante il secondo tema, fino al vigoroso finale. Perfetto l’insieme nelle sonorità spesso vigorose del secondo movimento, indicato come Menuetto, ma in realtà uno scherzo dal ritmo alquanto martellante e dal piglio romantico, inframezzato da un trio – reso con la dovuta grazia e leggerezza – dal sapore di semplice ma incantevole danza popolare. Indimenticabile l’Adagio espressivo, una splendida mesta melodia intonata dai vari strumenti con suggestiva morbidezza di suono, inizialmente accompagnata da morbidi pizzicati: una delle più belle pagine di tutta la letteratura da camera (quasi alla pari con il movimento lento del citato quintetto di Schubert), nella cui splendida sezione centrale, il contrabbasso si è autorevolmente imposto prendendo la parola in un passaggio cromatico alquanto veloce. Nel finale, Allegro non troppo presto, i violini e ancora il contrabbasso si sono segnalati per precisione e affiatamento nel brillante, virtuosistico tema che lo percorre. Di eccellente livello l’esecuzione fino alla concitata ed emozionante coda con cui il pezzo si conclude. Scroscianti, ripetuti, meritatissimi applausi, ma … niente bis.