Beethoven all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: Semyon Bychkov e Kirill Gerstein

Roma, Auditorium “Parco della Musica”, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, stagione 2013-2014 
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Semyon Bychkov
Pianoforte Kirill Gerstein
Ludwig van Beethoven: Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 73 “Imperatore”; Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55 “Eroica”
Roma, 6 maggio 2014       
Le composizioni di Ludwig van Beethoven sono amatissime e stranote: per l’ “Imperatore” e l’ “Eroica” la sala Santa Cecilia dell’auditorium era gremita dagli spalti, giù fino in platea. Sul podio, un direttore noto agli abbonati dell’accademia: Semyon Bychkov; al piano, il russo Kirill Gerstein, al suo esordio all’Accademia. Il programma è − chiaramente − seducente, ma ha il rischio di cadere in tautologie interpretative, proprio per l’estrema fama di cui godono le due partiture: ma, del resto, trovare una marca interpretativa universalmente accettabile per Beethoven, è oggi più che mai impresa folle, tali e tante sono state le esposizioni della lettera beethoveniana alle bacchette di tutto il mondo. E ciò non può che essere, certamente, un bene per la vita del repertorio classico.
La prima parte del concerto vede l’esibizione di Gerstein, che sta da poco impennandosi in una carriera di livello internazionale. Non gli mancano, del resto, alcune doti essenziali per un pianista di successo: possiede tocco, intelligenza, gestualità, ma la sua musicalità pecca sovente di un sovraccarico interpretativo, di una retorica troppo pronunciata, che lasciano troppo palesare un suo Beethoven (peraltro, alquanto atemporale, forse slittato verso una modernità novecentesca), invece che un Beethoven in sé. Ciò non toglie che vi siano momenti di puro godimento serafico, di un virtuosismo squillante, acquatico, su cui però pesa, come una sempre vigile spada di Damocle, qualche incognita di senso: dunque sospetto percepisca più distintamente il particolare che il generale. Come preannunciato, non mancano momenti di qualità nella performance, soprattutto nel primo movimento. La magniloquente cadenza incipitaria è eseguita degnamente; il timing del pianista con l’orchestra è ottimale, e l’eccellente orchestra lo accompagna perfettamente. Merito è soprattutto del direttore, Semyon Bychkov, che sa essere un ottimo concertatore di voci: coglie divinamente gli aspetti ritmicamente marziali dell’esposizione orchestrale, valorizza ogni suono della tavolozza, e permette un dialogo fluidissimo con il solista, giungendo a momenti godibilissimi, aerei, stellari, di estasi sensoriale sonora. Trilli nitidi si ascoltano sempre volentieri; nel II movimento, ancora si fa apprezzare per squarci trasognati, dov’è più asciutto e austero che nel I. Stupendo il passaggio al III movimento, il Rondò, con il pedale degli ottoni sopra cui il pianoforte ricama. Bychkov nel III perde il destro per tenere l’orchestra a un ritmo più brillante: affronta tutto il concerto con un’agogica morbidamente gentile, a tratti direi eccessivamente. Gerstein sciorina un buon virtuosismo nei vari salti e scale, anche se swinga un po’ troppo il tema del Rondò: l’elaborata cadenza conclusiva è apprezzabilissima. Certo, si deve anche tenere in considerazione l’emozione per l’esordio in una delle istituzioni musicali più antiche e importanti del mondo: all’ANSC, infatti, hanno eseguito il concerto un filare di talenti, da Busoni, passando per Cortot, Benedetti Michelangeli, Fischer, Rubinstein, Gilels, Ashkenazy, Pollini, fino a Lupu, Zimerman, Schiff.
La seconda parte del concerto vede l’esecuzione della Terza sinfonia. Va premesso che Bychkov è certamente più talentuoso come accompagnatore che come interprete: s’aggiunga, poi, che la titanica partitura della Terza non si lascia leggere da sola. Sovente non eccita a sufficienza l’orchestra: e in Beethoven è operazione più svilente, che igienica. L’inizio del I movimento (Allegro con brio) è buono, ma non certo indimenticabile: ancora uno strascicarsi spesso troppo indugiante, che toglie verve al pezzo. I crescendo non giungono mai a una vera esplosione; qualche pedanteria ritmica di troppo, però, non impedisce di creare qualche oasi di riuscita e compiuta ispirazione (come la sezione deputata ai legni dopo la fuga). Ma il I scorre così, impaludato e impantanato: esempio ne è il non aver sfruttato adeguatamente la falsa entrata dei corni, cui si aggiunge un loro poco piacevole sfiato. Negli altri movimenti fa meglio. Bello il crescendo all’inizio del II movimento, la marcia funebre, dove trova anche momenti in cui l’orchestra è debitamente espansa: molto probabilmente, è proprio il brano che si confà maggiormente alla sua indole estetica. L’abbrivio del III (Scherzo) è danzante e il carattere coreutico è ben marcato: la gestione delle dinamiche diviene, ora e finalmente, più appagante. Nel IV (Allegro molto) risulta aggraziato e guardingo: porge liricamente la melodia.
Il crescendo di qualità nella lettura della Terza gli garantisce un applauso cordiale, ma non esultante; del pari, Gerstein, pur applaudito, non riceve nessun bravo, in un concerto, (che la fama estrema ha reso a tutti più che familiare), dove non mancano certo occasioni per compiacere il pubblico. Foto © Riccardo Musacchio & Flavio Ianniello