Dima Slobodeniouk e Beatrice Rana per Prokof’ev

Dima Slobodeniouk e Beatrice Rana (Torino, Auditorium RAI, 8 V 2014)

Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2013-2014
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Dima Slobodeniouk
Pianoforte Beatrice Rana
Igor Stravinskij : Concerto in re per orchestra d’archi
Ludwig van Beethoven : Sinfonia n. 1 in do maggiore op. 21
Sergej Prokof’ev : Concerto n. 2 in sol minore per pianoforte e orchestra op. 16
Torino, 8 maggio 2014

Avrebbe dovuto tornare a Torino la blasonatissima Yuja Wang per un recital pianistico all’Unione Musicale e per il doppio concerto con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, in tre giorni consecutivi; e invece, per «un errore nella pianificazione dell’agenda» (dicono con un pizzico di ironia i comunicati-stampa) la giovane artista cinese non ha potuto onorare l’impegno, ed è stata sostituita quasi in extremis dalla ventunenne e bravissima Beatrice Rana (già vincitrice del primo premio e di tutti i premi speciali al Concorso Internazionale di Montreal del 2011, e del secondo premio e del premio del pubblico al Concorso Pianistico “Van Cliburn” del 2013). La giovane artista dà prova di grande professionalità, prima di tutto perché mantiene il programma originariamente previsto per la Wang, cimentandosi dunque in un difficile concerto di Prokof’ev, il secondo per pianoforte e orchestra. La gestazione dell’opera fu particolare: completata nel 1913, ma interamente riscritta nel 1923 a seguito dello smarrimento della partitura originale, fu definita di stile futurista, cubista, ed è nel novero dei brani concertistici che più hanno scandalizzato il pubblico alla sua prima comparsa (a Pavlovsk, il 23 agosto 1913: al pianoforte sedeva il compositore stesso, all’epoca ventiduenne, ossia di un anno più anziano dell’interprete giunta a Torino).
Il ritmo rilassato dell’Andantino iniziale fa credere che il concerto quasi fatichi a partire, soprattutto nelle frasi della solista; ma ben presto la sapiente architettura agogica (evidentemente suggerita da un direttore russo, che conosce benissimo tale repertorio) svela la “finta partenza” in sordina e rende tutto incalzante e perfettamente plausibile. Beatrice Rana appare all’inizio come assente, svagata, e invece si rivela sicurissima, capace di porgere un suono intenso e ben scandito. È perfetta la lunga, difficile cadenza del I movimento, completamente scoperta perché il pianista è lasciato a nudo dall’orchestra, come nel mezzo di una sonata per strumento solo; i colori e gli intenti espressivi derivano dalla compiuta resa di tutte le note, accuratamente sgranate e percepibili, una per una. Ed è superbo Dima Slobodeniouk quando fa rientrare l’orchestra a tutta forza, per avviare il movimento a una conclusione inesorabile. Lo Scherzo. Vivace è una frenetica danza di elfi e coboldi invasati dallo spirito bacchico; anche qui la pianista si disimpegna bene, con il vigore necessario, così come dimostra grande abilità negli arpeggi incrociati che aprono il III movimento (Intermezzo. Allegro moderato). Il modo in cui pianista e direttore rendono la terribile inquietudine e la diabolica concitazione che rispettivamente chiudono il III e aprono il IV movimento è davvero efficace: sempre più permette di apprezzare la corrispondenza di sonorità tra orchestra e strumento solista. La cifra tecnica ed espressiva dell’intero concerto è infatti l’aplomb tra tessitura orchestrale ed enunciazioni del pianoforte, sempre perfettamente calibrate. Grande è l’entusiasmo del pubblico al termine dell’esecuzione, tanto che la Rana porge due brani fuori programma: una delle Études tableaux di Rachmaninov e Widmung, il Lied schumanniano nella trascrizione di Liszt. A volte, anche nei bis, l’interprete tralascia la delicatezza, prediligendo un porgere più scabro, duro, metallico; ma si tratta di attimi di acerbità: Beatrice Rana dimostra idee interpretative molto chiare e determinate, e in futuro non mancherà di diventare artista di riferimento nel panorama internazionale.
Il concerto solistico occupava la seconda parte del programma, secondo una scansione anomala, perché solitamente è collocato in seconda posizione, dopo una pagina di apertura. Nell’occasione tale ruolo spettava al Concerto in re per orchestra d’archi di Stravinskij, la celebre pagina “neoclassica” scritta nel 1946, che il direttore russo affronta con piena serenità. Il nervosismo a scatti del I movimento è reso soltanto in parte, a discapito di quella segmentazione del ritmo che caratterizza l’intero brano. Evidentemente Slobodeniouk preferisce approfondire l’Arioso centrale, di cui anzi esalta l’aspetto cullante e quasi ipnotico. È danzante il gesto direttoriale, aereo, forse un po’ istrionico, ma certamente molto chiaro e funzionale. Bravissimo il primo violino, Roberto Ranfaldi, nella parte obbligata a ridosso del finale del Rondò. Allegro; ma soprattutto bellissimo il suono complessivo degli archi dell’OSN RAI, di pregevole omogeneità e pastosità.
Al centro del programma la Sinfonia n. 1 di Beethoven, che il direttore affronta con nuova serenità e sicurezza (come se non si trattasse di un’opera del sinfonista classico e inquieto per eccellenza). Sin dall’attacco si percepisce nella direzione di Slobodeniouk quella giusta e necessaria compenetrazione di grazia haydniana e di irruenza personale beethoveniana (peccato soltanto che quest’ultima infici talvolta precisione nel ritmo e nella sgranatura delle note). Nell’Andante cantabile con moto il direttore valorizza legni e ottoni per dare risalto alla melodia, ancor più che alla struttura ritmica, diversamente rispetto alla scelta interpretativa applicata al precedente movimento. Il Minuetto centrale (Allegro molto e vivace – Trio) è forse il momento migliore dell’intera esecuzione, sebbene le rapide frasi degli archi siano a volte un po’ spianate; questo accade perché mentre compie l’arcata sintattica dei periodi musicali, Slobodeniouk imprime in fase di clausola una leggera accelerazione: sul piano agogico essa produce un effetto di grande vivacità (condotto a conseguenze estreme nel corso del Finale. Adagio – Allegro molto e vivace), ma su quello stilistico incrina la precisione dell’enunciazione. Il Beethoven di Slobodeniouk è dinamico, brillante, abbastanza ricco di colori, ma sostanzialmente caratterizzato da un suono omogeneo, appena velato dalle striature dei corni, dell’oboe, del flauto. Grandissimo successo presso il pubblico dell’Auditorium “Arturo Toscanini”: ancora una volta gli artisti russi alla guida di una grande orchestra italiana raggiungono una qualità esecutiva davvero notevole. Foto Michele Rutigliano