Georg Philipp Telemann (1681-1767):”Miriways”

Singspiel  in tre atti su libretto di Johann Samuel Müller. Markus Volpert (Miriways), Ulrike Hofbauer (Sophi), Julie Martin du Theil (Bemira), Gabriele Hierdeis (Nisibis), Stefan Zenkl (Murzah), Ida Aldrian (Samischa), Susanne Drexl (Zemir), Ilja Werger (Ein Gesandter e Scandor). L’Orfeo Barockorchester, Michi Gaigg (direttore). Registrazione: Magdeburger Telemann Festival; Theater Magdeburg 11-17 marzo 2012.  T.Time: 146’41 2 CD – CPO 777 752-2  

La fortuna di Georg Philipp Telemann è stata alquanto altalenante nel corso dei secoli. Stimatissimo dai contemporanei compresi i maggiori compositori del tempo quali Händel e Bach e stato poi quasi completamente dimenticato dai posteri e collocato a torto fra i minori mentre – e l’ascolto in questione lo conferma pienamente – ci troviamo di fronte ad un compositore di altissima statura e di una qualità musicale e teatrale non lontana da quella dei maggiori lavori händeliani unita ad un legame con la tradizione contrappuntistica tedesca che fa delle sue opere teatrali quanto di più simile si possa immaginare all’approccio che Bach avrebbe potuto avere in analogo contesto.
Il presente lavoro – eseguito per la prima volta nel 1728 a Dresda – presenta poi alcuni elementi di originalità che ne fanno un autentico unicum nella storia dell’opera seria dei primi decenni del XVIII secolo. Il librettista Johann Samuel Müller aveva infatti contatti con viaggiatori in oriente e da loro era venuto a conoscenza dei fatti avvenuti pochi anni prima nei possedimenti persiani in Afghanistan dove le popolazioni pastum sotto la guida di Mirwais Khan Hotak si erano ribellate al dominio safavide sbaragliando le truppe persiane e creando un proprio stato regionale attorno a Kandahar. Gli eventi si erano svolti fra il 1709 e la morte di Mirwais Hotak nel 1715 erano quindi praticamente quasi contemporanei all’epoca di composizione dell’opera, scelta che risulta assolutamente originale nel panorama del tempo caratterizzato dalla preferenza per soggetti storici e solo in parte compensato dal contesto orientale della vicenda che in qualche modo allontanava dalla quotidianità vissuta. Attualità resa ancora più stringenti dal fatto che gli avvenimenti narrati vengono a torto attribuiti a Mirways ma vedrebbero in realtà protagonista il figlio Mahmud Hotaki che nell’ottobre del 1723 occupò Isfahan sconfiggendo lo Shah Sultan Husayn il che viene a portare la vicenda quasi nel piano nella cronaca quotidiana. L’altro elemento che colpisce è l’assoluta serietà con cui sono trattati questi personaggi, pienamente reinterpretati nei moduli canonici dell’opera seria senza nessuna caduta nel bozzettismo o nel facile effettismo orientalizzante.
La scrittura musicale di Telemann è di straordinaria ricchezza. Nonostante il libretto in tedesco – ma la definizione adottata Singspiel è comunque abbastanza forzata non essendovi parti parlate – l’impostazione generale è assolutamente italiana tanto nel modello compositivo con alternanza di recitativi ed arie – un unico duetto, quello fra Murzah e Nisibis del III atto “Welch Süses Ergötzen”. L’uso di strumenti esotici – come l’ampia sezione di percussioni – contribuisce a creare una tinta orientale senza però caricare eccessivamente questa componente.
La scrittura vocale è sempre molto attenta al dato espressivo e alle ragioni teatrali senza eccedere del virtuosismo meramente spettacolare mentre il senso melodico di derivazione italiana si unisce alla ricchezza della tradizione contrappuntistica tedesca con risultati di grande originalità così come assolutamente rimarchevole è la forza espressiva dei recitati fra cui spicca quello a due fra Samischa e Nisibis “Mit dankbegier’gem Sim” con continui passaggi fra recitativo secco e accompagnato fino a sfiorare l’arioso dando alla pagina quasi la dignità d’un duetto.

Registrata nel corso del festival dedicato a Telemann dalla natia Magdeburgo la presente edizione può contare su una compagine orchestrale di riconosciuto valore internazionale come L’Orfeo Barockorchester guidata dalla fondatrice e direttore stabile Michi Gaigg. Fatti salvo numerosi tagli – specie nei recitativi ma anche di alcune arie – verosimilmente da relazionare all’esecuzione dal vivo, la prova è altissimo livello su tutti i punti di vista. La Gaigg guida con mano sicura e autorevole, pienamente dominatrice delle esigenze musicali e stilistiche. Le sonorità sono luminose, pulite, chiarissime nella loro articolazione; il canto sempre sostenuto al meglio con grande attenzione alle necessità sia tecniche sia espressive dei vari cantanti, i brevi interventi del coro tendono ad esaltare la propria forza teatrale come quello del III atto “Feuer! Feuer! Helfet, rettet” con la fuga degli ospiti dal padiglione incendiato accompagnata dai colpi di tossi dei coristi per dare maggiore presenza teatrale al momento ma con soluzioni forse eccessive sul piano stilistico. Le variazioni dei “da capo” sono contenute in modo da lasciare in evidenza la linea melodica principale. Va inoltre sottolineata la cura con cui la Gaigg risolve i recitativi evidenziando al meglio le loro possibilità espressive ed evitando quella possibile ripetitività in cui queste pagine rischiano frequentemente di cadere.
Pur non perfetto il cast vocale è in ogni caso molto buono i tutti i suoi componenti e permette di far pienamente luce sulle altissime qualità musicali di questa partitura. Nel ruolo del protagonista troviamo Markus Volpert, il baritono già ascoltato nella registrazione di Betulia Liberata sempre con L’Orfeo Barockorchester e nei confronti del quali avevamo avanzato delle  riserve. In questo caso bisogna però riconoscere che per ragioni stilistiche ed espressive si trova decisamente molto più a suo agio qui rispetto ai titoli italiani. Certo la coloratura non è sempre precisa e qualche difficoltà nella linea di canto si ravvisa ma nell’insieme la prova è convincente e soprattutto sul piano espressivo costruisce un personaggio efficace, grazie anche a un fraseggio  nobile e autorevole che rende pienamente giustizia alla figura del  sovrano afgano in cui convivono la forza del regnante (’aria di sortita “Ein dopp’ler Kranz”) accanto a quelle umane (il commosso finale in cui ricompone il complesso gioco di tensioni dinastiche ed affettive “Lass, mein Sohn, ach, lass dir raten”) passando per brani dal carattere più irruente e virtuosistico  (ad esempio la sfida a Sophi “Geh, undakbares Herze”) . Volpert  è bravo a cogliere tutte queste sfumature del personaggio.
Samischa, la moglie segreta di Miriways è il giovane mezzosoprano Ida Aldrian protagonista di una prova rimarchevole, la voce di suo è molto bella, scura e vellutata dai riflessi quasi contraltili così come la linea di canto sempre molto pulita e di grande musicalità. La grande aria di entrata “Könnt ich nur ihm noch sprechen” è brano di altissima ispirazione musicale e il canto della Aldrian riesce a rendere pienamente la nobile sofferenza di un personaggio che sul piano espressivo ricorda per molti aspetti la Cornelia del “Giulio Cesare in Egitto” di Händel. La loro figlia Bemira è il soprano Julie Martin du Teil  che presenta un taglio brillante espresso dall’unica aria “Zwar diese, di edu winst umfassen” di gusto galante e leggero adatto al timbro giovanile della cantante.  Un altro soprano, Ulrike Hofbauer veste i panni  del principe persiano Sophi, forse il ruolo vocalmente più impegnativo dell’intera opera, quello per cui sono previste le tessiture più acute e i più impervi passaggi di coloratura. La cantante ne esce con indubbio onore e se è innegabile che si noti qualche difficoltà nei passaggi di più impervia scrittura quanto non toglie i meriti di una voce pura e luminosa e di un accento ben curato che coglie al meglio la natura nobile ed eroica del principe innamorato.  L’infido Zemir è  il mezzosoprano Susanne Drexl. Vocalmente la parte non presenta particolari difficoltà ma risulta impegnativo  rendere questa ambigua figura ad un tempo seducente e ambigua, una sorta di  Jago in salsa barocca. Nonostante qualche forzatura nel registro acuto la cantante riesce decisamente nell’intento lavorando con intelligenza su accenti e sfumature  che rende  credibile il gioco di seduzione (vedi l’aria “Die Danbarkeit wird dich verpflichten”) e i contrastanti giochi di emozioni che caratterizzano il personaggio.
Entrambe le parti dei principi persiani sono scritte per voce femminile, in questo appare evidente la volontà del compositore di richiamarsi al modello italiano dei ruoli per castrato adattandolo però alla realtà di Dresda dove  gli evirati cantori non erano presenti e quindi costruendo i ruoli fin dall’origine per cantanti donne impegnate in abiti maschili. Ruolo femminile è invece quello di Nisibis, la nobile persiana contesa fra il tartaro Murzah e il perfido Zemir.  Personaggio di natura sostanzialmente lirica ed elegiaca, con una preferenza per tonalità di dolente eleganza ottimamente resa dalla voce morbida sopranile di  Gabriele Hierdeis che canta  con grande sensibilità alcuni dei brani migliori composti da Telemann in quest’opera ( “Komm, sanfter Schalf! Komm” o “Mein widriges Geschicke”). Murzah è il solido basso Stefan Zenkl dalla voce robusta  e brunita e dall’accento autorevole ma anche morbida e duttile  ( duettino con Nisibis). Completa il cast il tenore Ilja Wegner ( il messaggero dello Shah – presente solo nei recitativi – e di Scandor, servo di Nisibis cui è affidato lo spumeggiante brindisi “Seid Lustig, ihr Brüder”).