“Mozart Requiem Ballet” al San Carlo di Napoli

Napoli, Tearo di San Carlo, stagione di balletto 2013-2014
“MOZART REQUIEM BALLET
Coreografia e Regia Boris Eifman
Musica  Wolfgang Amadeus Mozart, Requiem in Re minore K 626
La donna LYBOV ANDREYEVA
L’uomo OLEG GABYSHEV
La madre ALESSANDRA VERONETTI
Il vecchio EDMONDO TUCCI
Il giovane SALVATORE MANZO
Soprano YULIYA POLESHCHUK
Mezzosoprano ADRIANA DI PAOLA
Tenore LEONARDO CORTELLAZZI
Basso UMBERTO CHIUMMO
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo
Direttore Hansjörg Albrecht
Direttore del coro Salvatore Caputo
Scene Semen Pastuh
Costumi Ol’ga Šaišmelašvili
Luci Boris Eifman
Napoli, 19 giugno 2014

Mozart Requiem Ballet: chissà cosa avrebbe pensato il genio di Mozart a un accostamento simile, apparentemente ossimorico. Probabilmente avrebbe gradito. Sì, perché se la danza, come forma di comunicazione universale (prima ancora che arte scenica), ha da sempre accompagnato i momenti rituali più importanti della vita dell’uomo, tra cui inevitabilmente la morte, la rappresentazione visiva del Requiem in Re minore K 626 di Mozart è la lettura di una partitura di musica sacra che inquadra le potenziali intenzioni di una situazione molto particolare. Com’è ben noto, il mistero che avvolge l’ultima e incompiuta opera mozartiana ha fatto favoleggiare, a partire dal Romanticismo, drammaturghi e registi, per la situazione in cui vide la luce, a partire da una committenza anonima e sinistra. In realtà, nessun fantasma foriero di morte, ma solo un nobile prematuramente vedovo, il conte Walsegg, che intendeva ottenere una messa da Requiem per la ricorrenza della scomparsa della moglie e della quale si sarebbe poi attribuito la paternità. Di certo Mozart, già malato, aveva atteso all’opera in uno stato generale di sofferenza fisica e in condizioni nervose particolari; le infondate quanto affascinanti testimonianze secondo le quali avrebbe affremato di comporre l’opera per se stesso vanno perciò guardate con prudenza. La stessa vedova Mozart, Constanze, affidò agli allievi più stretti il compito di terminare la partitura interrotta dalla morte del compositore, il 5 dicembre 1791, senza rivelare la presenza di mani diverse da quelle del marito e alimentò successivamente le chiacchiere fantasiose al riguardo. Oltre a Joseph Eybler e Franz Jacob Freystädtler, l’apporto principale al completamento dell’opera fu affidato a Franz Xavier Süssmayr.
Solo nel 1825 vennero avanzati i primi sospetti reali sulle mani presenti nel Requiem, tanto si avverte la compromissione della coerenza e della qualità dell’opera, mentre e la conclusione “circolare” con la ripresa del tema iniziale, forse da un’idea di Mozart stesso, la sottolinea ancor più. A parte tutto, l’incompiutezza rende questo Requiem qualcosa di molto diverso dalle altre composizioni (sacre e non), perché lo inserisce in una dimensione non solo di morte e proiezione dell’anima nell’aldilà, ma la sua musica sembra ripercorrere la vita intera. Questa è la lettura del grande coreografo siberiano Boris Eifman, che ha descritto sapientemente, attraverso un linguaggio lineare ma complesso, il necessario quanto inevitabile passaggio dell’uomo sulla terra attraverso i suoi legami di vita: il giovane con la madre, l’uomo con la donna, il vecchio di nuovo fra le braccia della madre. Il tutto circondato dalla massa degli altri uomini e donne, della vita che fluisce incessantemente intorno ai protagonisti degli affetti e delle sciagure, col fardello della morte sempre presente nelle coscienze, come sottolinea il passaggio degli incappucciati trainanti un pesante masso da una quinta all’altra. Eifman è uno dei pochi coreografi russi a ricoprire, ormai da decenni, un ruolo di assoluto rilievo nel panorama della danza, contando un repertorio di circa cinquanta balletti per una compagnia (“Eifman Ballet”, con una suo Centro coreografico istituito dallo Stato e dalla città di San Pietroburgo) di oltre cinquanta elementi, vantando inoltre riconoscimenti di grande rilievo (“Artista del popolo di Russia”, Premio di Stato della Federazione Russa, Maschera d’Oro e Golden Soffit, Ordine al Merito per la Patria, etc.). Da coreografo-pensatore, Eifman specula sui problemi della società contemporanea per descriverli attraverso il suo linguaggio coreografico, nell’intenzione di comunicare al pubblico gli aspetti più drammatici della vita, sentendo la danza non come un processo fisico, ma spirituale. Tutto questo si legge alla perfezione nella messa in scena danzata del Requiem di Mozart. In un linguaggio dalla forte ascendenza classica si innestano altri idiomi, dagli elementi di carattere a quelli più moderni e contemporanei, per sviluppare la potenza immaginifica della musica, che diventa visibile nell’aderenza delle sequenze coreografiche di Eifman all’architettura armonica della partitura nei corali, mentre nei soli e nei duetti è più naturale che il movimento, la cui bellissima plasticità non ostacola il processo di interiorizzazione del sentimento e la sua successiva “esplosione”, venga dettato dalla linea melodica. Il Re minore, la tonalità “di morte” usata da Mozart nel Requiem, descrive per Eifman il passaggio dell’uomo che, da ragazzo protetto dalla madre, incontra se stesso divenuto uomo. Una seconda donna entra nella sua vita e con questa egli danza da solo. Il momento più toccante, quello del Lacrymosa, descrive qui la morte della madre, ovvero il suo trapasso in un’altra dimensione, attraverso il riuscitissimo effetto scenico del risucchio nella tomba verticale e animata. Rimane l’uomo, solo con la sua donna. Ma sarà il vecchio a frapporsi tra i due e a far uscire di scena la donna, per danzare dapprima in solitudine e poi ritrovarsi nelle braccia della madre in un ritorno alla nascita, come in una michelangiolesca Pietà, da una madre che si vestirà di bianco e con la quale si allontanerà verso l’infinito. Il bianco è il colore che chiude l’opera, dà luce alle tenebre e proietta verso la positività.
Un lavoro toccante, quello di Eifman, portato in scena e “ricostruito” in pochissimo tempo per la compagnia del Teatro di San Carlo con l’aiuto dei ripetitori Oxana Tverdokhlebova, Igor Polyakov, Valentina Morozova e i due solisti della Compagnia russa, Oleg Gabyshev nel ruolo dell’Uomo e Lybov Andreyeva nel ruolo della Donna, entrambi portatori di uno stile difficile da assimilare in poco tempo, di grande bravura e presenza scenica. Nel ruolo della Madre Alessandra Veronetti, Prima ballerina del Teatro di San Carlo, che ha saputo rendere la drammaticità di una figura così importante nella struttura del lavoro (e d’altra parte la Veronetti si era già distinta come protagonista della Giselle di Mats Ek al San Carlo). Salvatore Manzo è stato il Giovane, tecnicamente impeccabile e dal movimento fluido e delicato (piuttosto “classicheggiante”), mentre il Primo ballerino Edmondo Tucci ha vestito i panni del Vecchio, con il suo consueto carisma e la sua predisposizione naturale al tipo di linguaggio portato in scena, è risultato quello stilisticamente molto convincente. Il “nuovo” Corpo di Ballo, reduce da un lavoro intenso, ha risposto positivamente alla sfida (che è crescita artistica) soprattutto nell’elemento femminile. Questa volta le donne sono state più convincenti degli uomini. La coreografia di Eifman, sia pure adattata a un organico inferiore rispetto a quello per cui è stato composto il lavoro, fa in modo che l’occhio cada sulla massa, per cui ogni singolo idividuo scompare e si “legge” l’insieme, un insieme che è la potenza della storia dell’uomo. La nuova via percorsa da Mozart nel Requiem, una via che si basa sull’antico della polifonia e del contrappunto dei modelli barocchi, appare la stessa che Eifman percorre con la sua innovazione della danza legata alla tradizione, in cui il contrappunto musicale trova corrispondenza in quello coreico. Le atmosfere sonore peculiari dell’opera mozartiana, il timbro opaco e spettrale dei corni di bassetto e dei fagotti nelle uniche sezioni del tutto autografe, ossia l’Introitus e il Kyrie, sono “sentite” dal coreografo siberiano come dramma fortemente corale. I pizzicato degli archi e le note staccate invece guizzano nei richiami alle danze popolari. Le scene, tutte costruite con luci (a cura dello stesso Eifman) e movimenti del fondale, richiamano la massoneria cui Mozart aveva aderito nel 1784, con la simbologia dell’occhio all’interno del triangolo inscritto in un cerchio. E questo cerchio diventa il meraviglioso sfondo dei duetti dell’Uomo e della Donna, il mondo dal cielo azzurro che accoglie l’umanità. L’ottima orchestra del Teatro di San Carlo è stata magistralmente diretta da Hansjörg Albrecht, Direttore Artistico del Münchener Bach Chor und Orchester. Applauditissima la condotta dei cantanti: il Soprano russo Yulia Poleshchuk, il Mezzosoprano Adriana di Paola (che ha sostituito per due recite la già annunciata Francesca Russo Ermolli), il Tenore Leonardo Cortellazzi e il Basso Umberto Chiummo (a sostituzione, sempre per le prime due recite, del già annunciato Masashi Mori). Il Coro, diretto dal Maestro Salvatore Caputo, ha eseguito con trasporto e precisione le proprie parti, come di consueto. Uno spettacolo riuscitissimo che ha visto impegnate tutte le Maestranze del San Carlo, che, come lo scorso anno con i Carmina Burana, ha offerto al proprio pubblico uno spettacolo importante. Uno sforzo notevole, se si pensa che il Corpo di Ballo è ancora senza un Direttore e l’annuncio della nuova stagione con ben sette titoli di danza è stato dato senza che un Direttore del Ballo abbia potuto considerare la situazione in prima persona. Un momento in cui, se a Firenze la compagnia del Maggio Musicale Fiorentino è diventata “Mag.Da”, compagnia ospite dal capitale privato, Roma e Napoli tremano. Eppure i professionisti si danno da fare per il proprio pubblico e l’attività del Corpo di Ballo è sempre più intensa. Ci vogliamo augurare che questo Requiem Ballet sia davvero un inno alla vita, non solo dell’umanità, quanto della Danza stessa.Foto Francesco Squeglia