Venezia: in Francia e Germania,”fin de siècle”, con l’Orchestra Filarmonica della Fenice

Teatro la Fenice, Stagione sinfonica 2013-2014
Orchestra Filarmonica della Fenice
Direttore Markus Stenz
Claude Debussy: “Prélude à l’après-midi d’un faune”
Gabriel Fauré:” Pelléas et Mélisande”, suite op. 80
Emmanuel Chabrier:” España”, rapsodia per orchestra
Richard Strauss:” Don Juan”, op. 20; “Till Eulenspiegels lustige Streiche”, op. 28
Venezia, lunedì 7 luglio 2014

Un programma dedicato al repertorio francese e tedesco di fine Ottocento, quello del recente concerto dell’Orchestra Filarmonica della Fenice, comprendente titoli cruciali per i futuri sviluppi della musica occidentale: il Prélude à l’après-midi d’un faune, primo capolavoro sinfonico di Claude Debussy (prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 22 dicembre 1894), una delle pagine più innovative del geniale compositore francese, che alcuni considerano – a torto o a ragione – come la composizione da cui prende avvio la “musica moderna”, e poi i due celeberrimi lavori di Richard Strauss, Don Juan (eseguito per la prima volta a Weimar, Hoftheater, l’11 novembre 1889) e Till Eulenspiegels lustige Streiche (Colonia, Gurzenichsaal, 5 novembre 1895), entrambi appartenenti al genere del Tondichtung (“poema sinfonico” o più precisamente “poema sonoro”, la cui invenzione si deve a Franz Liszt), altrettante pietre miliari nella storia della musica più vicina a noi.
Gli altri due titoli francesi sono in qualche modo legati a Debussy: la Suite dalle musiche di scena scritte da Gabriel Fauré per la prima rappresentazione in inglese (Londra, 1898) del Pelléas et Mélisande di Maurice Maeterlinck, composta dallo stesso Fauré nell’arco di vari anni, ultimata nel 1909 ed eseguita per la prima volta a Parigi nel 1912, è legata all’autore del Prélude à l’après-midi d’un faune per il fatto cheanch’egli, come altri, fu sedotto dal dramma di Maurice Maeterlinck (non sfuggì al suo fascino neppure Schoenberg!), tanto da realizzarne, dieci anni dopo la sua prima rappresentazione parigina (1892), una versione operistica; mentre la rapsodia España di Emmanuel Chabrier (prima rappresentazione: Parigi, 4 novembre 1883, nell’ambito dei Concerti Lamoureux) si inserisce nel culto, in voga nella Francia di quegli anni, per un’hispanidad, che abbastanza spesso sfuma nel mito, come nel caso della debussyana Iberia, la seconda delle Images pour orchestre, al pari di altre opere di autori francesi contemporanei.
Ma veniamo al resoconto della serata. Innanzi tutto va segnalata la perfetta intesa tra l’orchestra e il maestro Markus Stenz, che ha saputo destreggiarsi con acuta sensibilità e gesto sicuro nell’affrontare un programma variegato e complesso, sorretto da una compagine di strumentisti la cui indubbia professionalità si è imposta ancora una volta. Così è avvenuto nell’esecuzione del Prélude, ispirato ad un’egloga di Stephane Mallarmé, dove in un paesaggio pagano e antico (che si pensa essere la Sicilia di Teocrito) un fauno, appena svegliatosi dal sonno pomeridiano, ripensa, in un lungo monologo, alle sue avventure con le ninfe che ha inseguito la mattina nel bosco e al suo intimo rapporto con la natura, che sente vivere attorno a sé. In questo brano ormai celeberrimo, per il quale lo stesso Mallarmé, dopo qualche perplessità, dichiarò il suo gradimento, poiché prolungava l’emozione del suo poema, si è sentita appieno l’atmosfera incantata, soffusa di languida sensualità, che caratterizza la partitura di Debussy: dal primo tema, dalla tonalità sospesa, enunciato dal flauto solo, al secondo affidato ai fiati, più definito dal punto di vista tonale. E poi via via il discorso si è allargato a tutta l’orchestra fino al ritorno del tema iniziale in tutta la sua seduzione, riproposto poi dai due corni con sordina sul sottofondo dell’arpa. Una volta di più, grazie a questa raffinata interpretazione, si è potuto apprezzare un assoluto capolavoro, vero miracolo di equilibrio e trasparenza, che si snoda senza seguire la sintassi armonica tradizionale, dando libero sfogo alla creatività del compositore e mettendo in valore il parametro timbrico, chiave di volta della futura musica novecentesca.
Una grande sensibilità per i colori orchestrali e per le sottolineature dinamiche ha dominato anche nel pezzo successivo, la Suite di Fauré, incentrata sull’esile e fragile figura di Mélisande, ad evocare il delicato simbolismo del poeta e drammaturgo belga. Nel Prélude archi e legni hanno creato con sonorità delicate un’atmosfera da sogno, turbata solo dalle note ribattute del corno, annunciante l’arrivo di Golaud, il cui motivo ricorda quello di Hunding nella Valchiria (siamo, del resto, in una situazione abbastanza simile: Golaud sa che tra Mélisande, la propria sposa, e Pélleas, il proprio fratellastro, è nato l’amore. Finirà con l’uccidere Pelléas, facendo morire di dolore poco dopo anche Mélisande). Ancora i legni si sono segnalati nel secondo brano della suite (Fileuse) con la tenera canzone di Mélisande all’arcolaio. Splendida l’arpa nella Sicilienne insieme agli archi, mentre ne La mort de Mélisande il clima tragico era annunciato con grande efficacia dalle note puntate delle trombe e degli archi.
Tutta l’orchestra nelle sue varie sezioni ha poi brillato nella rapsodia España, concepita da Chabrier ancora sotto la suggestione di un viaggio compiuto nel paese iberico nel 1882: nella composizione egli ha utilizzato due temi di danza: l’uno vivace e brillante ispirato alla Jota aragonese, scandito dalle percussioni con ritmo spagnolesco ed enunciato dalla tromba in sordina e dal fagotto, poi ripreso dal corno e dall’arpa e inseguito da un esplosivo ripieno orchestrale; l’altro languido e sensuale, evocante la malagueña, affidato ai fagotti, ai corni e ai violoncelli. Travolgente esecuzione. Impeccabile, tra l’altro, la sezione di tromboni, cui è affidato un ruolo fondamentale in questa rapsodia.
Straordinaria anche la seconda parte del concerto, tutta straussiana. Scattante, brillante, coesa l’orchestra a rendere lo smagliante ordito strumentale, la freschezza e la potenza dei temi, le arditezze dell’armonia post-wagneriana, che caratterizzano i due poemi sonori dall’impianto formale libero, anche se in qualche modo ricollegabile alla forma sonata o al rondò. Lo si è potuto apprezzare nel Don Juan, la cui fonte è l’omonimo poema di Nikolaus Lenau (1802-50), da cui il musicista riportò sulla partitura tre citazioni relative al protagonista, concernenti la sua inesauribile ansia di piacere, il suo desiderio sempre nuovo di fronte a ogni donna e i momenti di calma, quando ogni desiderio prende apparenza di morte. Dal primo tema, figura musicale del protagonista, che apre il lavoro con slancio irresistibile, a tutti i motivi secondari che si succedono a delineare i diversi aspetti dell’ideale femminile, fino a quello, veramente memorabile, che i corni, verso la conclusione del poema, disegnano sopra il serrato tremolo degli archi, l’interpretazione di Stenz, scevra da ogni pesantezza, ha saputo mettere in debito rilievo la brillantezza sonora e tutte le sfumature di questa partitura, che ha confermato – splendidamente eseguita – la sua grande grande presa sul pubblico. Questo vale, a maggior ragione, per l’interpretazione di Till Eulenspiegels lustige Streiche, il più estroso tra i poemi sinfonici di Strauss, incentrato su un personaggio-simbolo dell’identità nazionale al tempo della vecchia Germania, una sorta di Faust nei panni d’un instancabile burlone. Strauss ne fu affascinato assistendo, nel 1889 a Weimar, ad una rappresentazione dell’opera Eulenspiegel di Cyrill Kistler. Anche in questo caso brillantezza, verve, padronanza tecnica, sensibilità musicale ci hanno regalato un’esecuzione, che ha sedotto per non dire travolto il pubblico con la sua seducente bellezza: dalle prime battute introduttive (corrispondenti per alcuni al classico incipit della favole: “C’era una volta …”), al tema di Till, vitale e spavaldo, reso egregiamente dal corno, che anche in questa composizione – come nel Don Juan – ha un ruolo di rilievo, alla narrazione variamente colorita dei tiri burloni dell’eroe, fino all’epilogo: la condanna e la morte, dove dominano sonorità scure. Applausi calorosi alla fine di ogni pezzo (con segnalazione da parte del Maestro delle parti più meritevoli), e in particolare a conclusione della felicissima serata.