Erna Ómarsdóttir and Valdimar Jóhannsson, ”To the bone”

Dro, 34esima edizione Drodesera
‘’TO THE BONE’’
Ideazione e direzione artistica: Erna  e Valdimar Jóhannsson
Drammaturgia: Friðgeir Einarsson
Consulente Speciale: Sjón
Creato da: Dora Jóhannsdóttir, Lovisa OSK Gunnarsdóttir, Sigridur Soffía Níelsdóttir, Sigtryggur Berg Sigmarsson, Ólafur Ólafsson Darri, Óttar Proppe, Flosi Thorgeirsson, Valdimar Jóhannsson, Friðgeir Einarsson, Erna Ómarsdóttir, Sissel Merete Björkly, Siri Jontvedt
Eseguita a Dro da Dora Jóhannsdóttir, Sigridur Soffía Níelsdóttir, Sigtryggur Berg Sigmarsson, Óttar Proppe, Flosi Thorgeirsson, Valdimar Jóhannsson, Friðgeir Einarsson, Erna Ómarsdóttir, Sissel Merete Björkly, Siri Jontvedt e Jacopo Lanteri
Produzione e distribuzione: Esther Welger-Barboza
Una produzione: Shalala
Sostenuta da: dal Ministero della Cultura, Città di Reykjavík, Il Teatro Nazionale d’Islanda, Foundatione Islanda-Norvegia, Kulturrådet – Kulturrådet – Arts Council Norway.
Dro, 1 agosto 2014

Riuscire a coinvolgere subito lo spettatore è cosa essenziale per ogni spettacolo, tuttavia è di pari importante che le promesse vengano mantenute fino alla fine. “To The Bone” coinvolge subito per l’ottimo sound & light design. La scena è vuota e appare e scompare all’alternarsi di luce e buio. Così, mentre sul fondo si distingue un grande armadio a due ante, ricoperto di velluto nero, un gruppo di quattro ballerine e quattro ballerini appaiono in scena cambiando posizione e posa ad ogni “colpo di luce” ed emissione di suono. L’impatto è davvero molto suggestivo. Poche ed essenziali coreografie permettono di capire che si tratta di un perfetto parallelo con la scena iniziale di “2001 Odissea nello spazio”. Qui i ballerini si contendono degli scalpi (parrucche di capelli lunghi e biondi) che potrebbero significare i peli di quella pelliccia che milioni di anni fa ricopriva il nostro corpo. Infatti gli australopitechi del capolavoro di Kubrik vengono richiamati per gesti ed urla, soprattutto quest’ultime, e per quella danza attorno al monolite: quell’armadio tutto nero che avrà il suo preciso compito alla fine dello spettacolo: racchiudere le urla di ogni persona.
Fin qui entusiasti della citazione, di quella semplice reinvenzione come preludio a considerare l’urlo come il nostro strumento di comunicazione e conoscenza. Quel modo bestiale che abbiamo sempre voluto fosse capace di emancipare ogni nostra inibizione e che ci consentisse di conoscerci dentro e, come sottende il titolo della rassegna di Drodesera: “Skill Buildings”, in grado di costituirsi capacità d’aiuto del prossimo.
Quindi il bisogno di capire quali potevano essere le potenzialità positive di questa skill, e quali quelle negative, per gli autori dello spettacolo ha voluto essere il cambio repentino di registro che ha significato interrompere la magia della danza accendendo le luci su di un divano, l’altare dei talk-show, in cui i ballerini venivano intervistati e facevano sfoggio delle loro particolari originalità.
Un vero peccato. Tutta la suspense e l’aspettativa dell’inizio è svanita velocemente. Si è persa in un susseguirsi di sketch tutti in lingua inglese che volevano strappare qualche risata consensuale che il pubblico non ha restituito, già scoraggiato al pensiero che da quel momento non sarebbe ritornato a vedere ancora danzare quelle figure così emblematiche, ormai messe a nudo dalle proprie confessioni da salotto.
Quindi niente si è visto e sentito che valesse la pena. E c’è chi tra il pubblico ha pensato bene di tagliar corto con quella sofferenza, alzandosi è andandosene. A niente è valsa la presenza di una comparsa che avrebbe dovuto, anzi voluto, essere il traduttore in italiano dei dialoghi così serrati tra i ballerini e l’intervistatrice, che potesse in qualche modo coinvolgere emotivamente il pubblico.
Perciò, se danza poi si è vista ancora è stata solo una coreografia stile aerobica televisiva. Brutto e presuntuoso modo di credere di fare dello spettacolo senza avere una minima cognizione dei tempi scenici che potessero definirsi tali. Quello che si è visto non era teatro danza. La delusione è stata ancor più forte per effetto dell’aspettativa nei confronti di Erna Ómarsdóttir, già ballerina su coreografie del coreografo belga Jane Fabre. Erna Ómarsdóttir ha sfogato e bruciato tutte sue credenziali in reiterate performance che stavano tra le grida di Diamanda Galas e le convulsioni epilettiche di Linda Blair ne “L’esorcista”. Con Valdimar Jóhannsson, l’artista islandese ha fondato una compagnia di danza e canto (che si muove tra Reykjavík e Bruxelles), la Shalala Dance, ma sembra che in quest’ultimo voglia perseverare nella ricerca. Purtroppo, addirittura lo slogan della compagna ha un limite. Si presenta come un gruppo di persone interessate alle espressioni senza limite, ma ha il grosso limite di ridursi in spettacoli pieni di convulsioni, urla ed headbanging.