Francesco Cilea (1866-1950):”L’Arlesiana”

Opera in tre atti su libretto di Leopoldo Marenco. Giuseppe Filianoti (Federico), Iano Tamar (Rosa Mamai), Mirela Bunoaica (Vivetta), Kyoung-Eun Lee (L’innocente), Jin Seok Lee (Marco), Francesco Landolfi (Baldassarre), Juano Orozco (Metifio). Philarmonisches Orchester Freiburg, Opernchor und Kinderchor des Theater Freiburg, Camerata Vocale FreiburgFabrice Bollon (direttore). T.Time:105′ 57, Registrazione: Konzerthaus Freiburg, 12-17 luglio 2012. 2 CD CPO 777805-2

 Poche opere hanno una storia compositiva ed editoriale complessa come quella de “L’Arlesiana”. Andata in scena la prima volta al Teatro Lirico di Milano il 27 novembre 1897 fu accolta alquanto freddamente nonostante la prova – esaltata da tutta la stampa dell’epoca – di un giovane Enrico Caruso come Federico. A pesare furono soprattutto le eccessive lungaggini – l’opera era in origine in IV atti – aggravate dalla sostanziale unitarietà di registro espressivo in tutta la partitura. Miglior accoglienza ebbe l’anno seguente un nuovo allestimento sempre al Lirico di Milano questa volta di una versione più snella condensata in tre atti.
Per quanto più simile a quella definitiva questa versione milanese del 1898 è ancora solo un passaggio provvisorio. Una nuova versione drasticamente modificata andò in scena al San Carlo di Napoli il 28 marzo 1912 questa volta con grande successo anche in conseguenza della trionfale accoglienza che ovunque accompagnava la successiva opera di Cilea, quell’”Adriana Lecouvreur” che del compositore reggino è sicuramente il massimo capolavoro. Ancora non soddisfatto di quest’opera il compositore continuo ad apportare modifiche nel corso degli anni 20-30, fra cui si segnalano l’aggiunta del preludio – di ottima fattura musicale per linea melodica e orchestrazione – nel 1936 e dell’intermezzo sinfonico che apre il III atto nel 1938 che con i suoi toni leggeri e festosi rappresenta un momento di rottura rispetto al lirismo patetico dominante. La versione in qualche modo definitiva vide la luce il 23 gennaio 1940 al Teatro Municipale di Piacenza ed è in questa versione che l’opera ha circolato nelle per altro non frequentissime riprese degli anni seguenti limitandosi la sua fortuna a quella di poche arie come il celeberrimo “Lamento di Federico” autentico cavallo di battaglia per tutti i grandi tenori lirici del Novecento.
Una così complessa storia editoriale ha comportato la modifica o la radicale esclusione di sezioni musicale più o meno ampie e si è ancora lungi dal giungere ad una versione filologica delle varie versioni dell’opera. Un importante contributo è giunto al riguardo nel 2011 quanto il tenore Giuseppe Filianoti – anch’egli reggino – ha riscoperto negli archivi del Museo Francesco Cilea di Palmi lo spartito per canto e pianoforte fino a quel momento sconosciuto di una breve romanza per tenore integrata nel duetto fra Vivetta e Federico appartenente alla stesura in quattro atti del 1897, orchestrato appositamente da Mario Guido Scappucci questo duetto è stato inserito nel III atto dell’opera attuale – che drammaturgicamente corrisponde al IV della prima versione – ed eseguito in occasione di alcune recite in forma di concerto a Friburgo con protagonista lo stesso Filianoti.
Registrata in occasione di dette recite questa incisione edita dalla tedesca CPO ha due fondamentali meriti, il primo quello relativo a proporre all’ascolto un momento musicale praticamente sconosciuto e musicalmente ben riuscito nel suo lirismo prossimo alla celebre aria del secondo atto; l’altro di fornire di quest’opera una lettura rigorosa e precisa secondo un gusto contemporaneo che si affianchi alle uniche edizioni precedentemente disponibili sul mercato, molto datate e legate ad un approccio stilistico molto – per non dire eccessivamente – plateale abbastanza lontano dalla nostra sensibilità attuale.    Pur senza essere complessi di prima importanza l’orchestra e il coro dell’opera di Friburgo – affiancati dal coro di voci bianche cui sono affidati alcuni importanti momenti specie nel III atto – si disimpegnano con precisione e proprietà. La direzione di Fabrice Bollon non presenta particolari colpi d’ala – la partitura non concede neppure molto al riguardo – però ha il merito di offrire una lettura precisa, attenta ai valori musicali e scevra di inutili cedimenti ad eccessi di patetismo in cui si evidenziano soprattutto alcune belle linee melodiche e alcuni interessanti spunti di orchestrazione che l’opera presenta ad esempio nei preludi al I e III atto.
Il cast pur senza suscitare particolari entusiasmi si presenta omogeneo,  ben inserito nel quadro interpretativo generale. Giuseppe Filianoti è ovviamente al centro dell’operazione non solo per il contributo filologico offerto ma perché al personaggio di Federico è affidato l’unico brano dell’opera ad aver goduto di autentica e mai cessata fortuna, il celeberrimo lamento “E’ la solita storia del pastore” (Atto secondo). Filianoti dispone di una voce naturalmente molto bella per timbro e colore ed è interprete sensibile e musicale cui si aggiunge l’autentico coinvolgimento verso quest’opera. Il già citato Lamento non avrà l’assoluta magia che alcuni storici interpreti sapevano evocare in questo brano ma non si può negare che Filianoti canti molto bene e che l’esecuzione sia assolutamente godibile. Qualche poblema però lo si riscontra però quando il cantante  I problemi per il tenore emergono quando la voce deve spingersi nel settore acuto dove tende ad indurirsi e a non essere sempre perfettamente controllata come già si palesa nella chiusura del  breve inciso d’entrata “Io solo son volato innanzi a tutti” (Atto primo). Nella parte di Rosa Mamai troviamo la georgiana Iano Tamar; nata con soprano drammatico d’agilità – il pubblico italiano la ricorderà principalmente come Semiramide al Rossini Opera Festival del 1992 – qui passa al registro di mezzosoprano seppure in un ruolo dalla tessitura a tratti sopranile. La voce resta sostanzialmente quella di un soprano  e lo si sente, certo, il  settore medio-grave è solido ma privo di quell’espansione e di quelle risonanze della vera voce mezzosopranile, in compenso l’interprete è di grande efficacia e perfettamente calata nella parte con l’accento che morde le linee vocali facendo palpabile il dolore del personaggio – da sentire con quanta verità espressiva venga affrontato “Ah! Tu me lo puoi guarire…” alla fine del duetto con Vivetta (Atto secondo) – senza però lasciarsi andare a facili effettismi.   La rumena Mirela Bunoaica è una Vivetta vocalmente piuttosto  flebile anche se elegante e musicale; riesce per altro a trovare una maggior espansione vocale nei momenti più drammatici che unita a un’innegabile vivacità interpretativa con cui trasmette l’idea di un personaggio spontaneo e brillante. Il mezzosoprano coreano Kyoung-Eun Lee canta il ruolo en-travesti dell’Innocente con un timbro chiaro e luminoso, persino troppo femminile per il ruolo ma sempre con grande musicalità. Buone le prove dei due baritoni. Francesco Landolfi è un Baldassarre di bella voce è sicuro squillo in acuto – notevole la salita a “e il sole…e il sol” che chiude il monologo d’ingresso “Come due tizzi accesi” (Atto primo) che nella sua semplicità appare uno dei momenti musicalmente più compiuti dell’opera – e capace di rendere bene la natura bonaria del vecchio pastore mentre il messicano Juano Orozco ha tutta la provocatoria irruenza di Metifio, il rivale in amore di Federico. Completa il cast  un piuttosto debole Jin Seok Lee (Marco) basso coreano dalla voce opaca e povera di armonici.  Esecuzione nell’insieme soddisfacente anche se senza particolari splendori, dopo l’ascolto resta comunque l’impressione che l’oblio che ha coperto quest’opera per lunghi decenni non sia in fondo totalmente immeritato.