Cronache del MITO: Yuri Temirkanov e l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo a Torino

Torino, Auditorium del Lingotto, 7 IX 2014

Torino Milano – Festival Internazionale della Musica, VIII Edizione – MITO Settembre Musica
Torino, Auditorium “Giovanni Agnelli” del Lingotto
Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo
Direttore Yuri Temirkanov
Anatolij Konstantinovič Ljadov : Kikimora, poema sinfonico op. 63
Igor Stravinskij : Petruška, burlesque in quattro scene (versione del 1947)
Pëtr Il’ič Čajkovskij : atto II da Lo schiaccianoci, balletto op. 71
Torino, 7 settembre 2014

Si potrebbe chiamare “effetto T”. È un fenomeno che riesce a rendere un’esecuzione musicale molto lontana da ogni forma di prevedibilità, lasciando sempre incantato l’ascoltatore. La “T” sta ovviamente per Temirkanov. Il direttore dell’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo è nuovamente in Italia per partecipare al Festival MI.TO., di cui è certamente un sostegno portante dai tempi di Settembre Musica. E il complesso è stato nominato “Orchestra residente” di MI.TO. Il pubblico di Torino adora questo direttore, ed egli sembra ricambiare tale affetto, pur con un atteggiamento misuratissimo e indecifrabile. Al Lingotto (stranamente non gremito; qualche anno fa «Repubblica» aveva coniato per Yuri Temirkanov l’epiteto “Mister Sold Out”) porta un binomio collaudatissimo: Petruška di Stravinskij e Lo schiaccianoci di Čajkovskij; in apertura invece una pagina più rara, il breve poema sinfonico Kikimora di Ljadov (racconto fiabesco basato su un tema musorgskijano, che via via diventa un poco decorativo). Il gesto di Temirkanov è di una chiarezza esemplare: ampio, non ricorre alla bacchetta, sembra un continuo abbraccio agli strumenti: da qui un carattere del tutto positivo e gioioso dell’esecuzione, anche quando non lo si attenderebbe.
I tempi sono giusti, gli accordi netti, la grana del suono pastosa e fluida; per il direttore la musica del balletto è sinonimo di vitalità. Petruška, attraversato da una gamma incredibile di colori, non ha nulla di tragico, di angosciante, di inquietante; non sembra neppure appartenere al Novecento, anche se tutto è autenticamente “drammatico”, nel senso di “teatrale”. Politonalità e sovrapposizione delle voci sono per Temirkanov occasione di spettacolarità sonora, che comincia dalle singole note e da accordi stagliati con ineguagliabile nitidezza. L’effetto teatrale parte cioè dalla forte intensità di ogni singola emissione sonora, squillante ma non angosciante. È come se l’ineffabile Temirkanov ammiccasse al pubblico suggerendo di non inquietarsi troppo, perché non è una storia vera, e la morte e l’apparizione del fantasma di Petruška sono solo storie di marionette, fanno parte di una favola edificante e terribile, ma non della realtà.
Tra le prime esecuzioni pubbliche di Petruška (1911) e dello Schiaccianoci (1892) non intercorrono neppure vent’anni; eppure in musica sembrano trascorsi secoli, c’è un abisso che divide due idee profondamente diverse di poetica. Perché Temirkanov vuole annullare tale distanza, colmare l’abisso di separazione, facendo così apparire la musica di Stravinskij come la naturale prosecuzione di quella di Čajkovskij? In più conclude con la fiaba a lieto fine, quella ottocentesca, priva di traumi e di turbamenti. Non è il caso di evocare scelte “passatiste” o “nostalgiche”; forse il direttore intende semplicemente concentrarsi sulla bellezza del suono dei due balletti, sul prodigio strumentale realizzato prima da Čajkovskij e poi da Stravinskij, nella convinzione che il teatro musicale destinato alla danza racconti un mondo favoloso e comunque positivo, in cui anche la morte è riparata e sublimata dalla bellezza della musica. L’effetto T si propaga quindi a tutte le danze e ai valzer dello Schiaccianoci con scorci di profondità nel velluto strumentale; e riesce sempre a sorprendere e a stupire, perché tra accelerazioni, dosaggio dei piani sonori, analisi dei temi e degli accenti interni, ogni numero rivela qualcosa di nuovo e di inesplorato: addirittura il modo di far suonare il tamburello nella Danza Russa – tanto per dire – ha qualcosa di affascinante, reca l’impronta della genialità.
Il pubblico è progressivamente contagiato dall’entusiasmo con cui gli orchestrali seguono il loro direttore; apprezza il garbo di Ljadov, s’incanta alle fantasmagorie tonali di Stravinskij, s’inebria di bellezza pura con Čajkovskij, tanto che alla fine l’entusiasmo è incontenibile. Temirkanov sorride con timidezza, quasi confuso da tanto affetto; ma chi lo conosce bene sa che ha pronto almeno un altro coup de théâtre, in forma di bis. E infatti i brani fuori programma sono addirittura due, come per abbinare allo Schiaccianoci e poi ancora a Petruška due pagine stilisticamente congrue; ma le simmetrie sul momento si notano poco, perché sommerse dalla bellezza della musica in sé, e dalla trionfale gioia che ne scaturisce.

Fotografie MI.TO. Settembre Musica