Venezia, Palazzetto Bru Zane:Nei salotti di Carlo X

Palazzetto Bru Zane, Festival “Romanticismo tra guerra e pace”
“NEI SALOTTI DI CARLO X”
Quatuor Mosaïques
Violini Erich Höbarth, Andrea Bischof
Viola Anita Mitterer
Violoncello Christophe Coin
Violoncello Cristina Vidoni
Rodolphe Kreutzer: Quatuor n. 2 en sol majeur
Pierre Baillot: Quatuor op. 34 n. 1
Louis-Emmanuel Jadin: Grand Quintette
Venezia, 27 settembre 2014

Si è aperta la stagione veneziana 2014-2015 del Centre de musique romantique française, che si svolgerà prevalentemente presso il delizioso Palazzetto Bru Zane, piccolo gioiello dell’architettura veneziana di fine Seicento. Sarà proposta fino all’11 dicembre una serie di concerti, incentrata su un tema d’attualità, visto che quest’anno si celebra il centenario dell’inizio della Prima guerra mondiale: “Romanticismo tra guerra e pace”, un festival che – attraverso le sue varie iniziative, anche di carattere didattico per i giovanissimi – ripercorre la storia musicale dei grandi conflitti, portando lo spettatore nei salotti parigini dell’Ottocento, da quelli Napoleonici (con autori come Baillot, Jadin, Montgeroult…) a quelli della Terza Repubblica (con autori come Fauré, Godard, Dubois…) e alternando repertorio lirico e strumentale. Sarà l’occasione per scoprire giovani talenti, come il Quatuor Giardini, il Trio Karénine, il Quatuor Ellipse o il tenore Cyrille Dubois, e per riascoltare grandi artisti che amano i percorsi inconsueti, come il violoncellista Christophe Coin con il Quatuor Mosaïques, i pianisti Jean-Efflam Bavouzet e François-Frédéric Guy…
Per il primo appuntamento della rassegna, si è ricreata nella sala dei concerti del Palazzetto Bru Zane l’atmosfera di un salotto ai tempi di Carlo X, e la magia si è compiuta grazie alla musica di Rodolphe Kreutzer, Pierre Baillot, Louis-Emmanuel Jadin, nonché alla maestria e alla sensibilità musicale dei solisti del Quatuor Mosaïques, già protagonisti di un concerto sullo stesso tema nella scorsa stagione. La soirée, dedicata al repertorio del quartetto e del quintetto d’archi, ha messo in luce un aspetto alternativo di queste figure fondamentali della pedagogia musicale francese, appartenenti alla prima generazione di docenti del conservatorio di Parigi (fondato nel 1795), in particolare i violinisti Baillot e Kreutzer, considerati i fondatori della scuola violinistica francese. Di questi tre autori si sono ascoltate, pagine, la cui riscoperta getta nuova luce sulla musica che si eseguiva nei salotti parigini all’epoca della Restaurazione, così come sulla storia dei relativi generi musicali.
Eccellente la prestazione del Quatuor Mosaïques, di cui il pubblico del Palazzetto Bru Zane ha già avuto occasione di saggiare le ottime capacità tecniche ed interpretative: quello che ci ha particolarmente colpito è la qualità del suono nelle sue varie sfumature, un suono ora corposo ora tenue, ma pur sempre armonioso, rotondo, pastoso. E in questo hanno primeggiato – per quanto davvero primi inter pares – il violino di Erich Höbarth e il violoncello di Christophe Coin.
Nel Quartetto n. 2 in sol maggiore di Rodolphe Kreutzer apparso intorno al 1790 – il secondo dei Sei quartetti concertanti pubblicati a Lipsia da Breitkopf, e dedicati a M. Desentelles, uno degli amministratori dell’Opéra di Parigi – , gli strumentisti hanno saputo corrispondere pienamente al carattere concertante del pezzo, intrecciando tra loro un brillante dialogo fin da primo movimento, Allegro, che inizia con i due violini, che si scambiano il primo tema, cui fa seguito una melodia esposta con intensità dal primo violino, successivamente impegnato con agilità e precisione in passaggi virtuosistici. Vigorosa o meditativa, a seconda dei momenti, l’esecuzione del secondo movimento (un Rondò il cui materiale tematico è affine a quello del primo movimento), dove ha ancora brillato l’insieme: dal primo tema di otto battute esposto con perentorio vigore al successivo episodio dalla scrittura fiorita, allo squarcio lirico in sol minore, reso con suggestiva espressività.
Particolarmente interessante il Quartetto op. 34 n. 1 di Pierre Baillot – dedicato all’amico Joseph Fabre e pubblicato a Parigi nel 1805 – , il cui primo movimento (Allegro non troppo) inizia alla maniera di Beethoven con un unisono dei quattro strumenti che intonano l’accordo di tonica, mentre il successivo Minuetto, che analogamente prende l’avvio con un unisono, è basato su un tema “à l’espagnole”, che riappare nel movimento finale. Si può notare che il quartetto di Baillot anticipa quelle che saranno tre diverse tendenze della musica francese dell’Ottocento: il tentativo di misurarsi con i “tedeschi”, l’interesse per il folklore spagnolo, la ciclicità della scrittura (quest’ultima vera e propria cifra distintiva del quartetto francese fin-de-siècle). Anche in questo brano – forse il più interessante della serata – il Quatuor Mosaïques ci ha regalato un’esecuzione encomiabile sia dal punto di vista tecnico che da quello interpretativo, segnalandosi proprio nel secondo movimento, il più notevole della composizione, che si caratterizza per l’ornamentazione e le variazioni ritmiche.
Per l’ultimo pezzo in programma – il Grande Quintetto di Louis-Emmanuel Jadin dedicato al “suo amico Baillot” e pubblicato probabilmente nel 1828 – si è aggiunto validamente all’organico abituale del Quatuor Mosaïques il violoncello di Cristina Vidoni. Nell’esecuzione si è messo particolarmente in luce, per capacità di fraseggio e qualità di suono, il primo violoncello, che svolge una funzione espressiva importante fin dal movimento iniziale (Allegro moderato), intonando il primo tema, e successivamente, nel terzo movimento (Adagio sostenuto), eseguendo una melodia squisitamente vocale. Notevole anche la prestazione del primo violino – che in modo inusuale entra in scena solo alla diciassettesima battuta –, al quale compete una parte anche di carattere virtuosistico, in particolare nel movimento conclusivo, un Allegretto a tre tempi assai vivace, dove esegue in apertura una scala ascendente puntata per poi cimentarsi in vari passaggi di bravura. Calorosi applausi dopo l’esecuzione di ogni pezzo, in particolare dopo quella dell’ultimo in programma. Ne è derivato un prezioso bis, un incantevole Larghetto, pieno di mestizia tardo settecentesca, tratto da uno dei Quintetti di Luigi Boccherini, un musicista molto noto a Parigi ai tempi di Carlo X, la cui produzione di quartetti e quintetti era apprezzata al pari di quella di Beethoven.