Verona, Il Settembre dell’Accademia: Alexander Romanovsky

Verona, Teatro Filarmonico, Il Settembre dell’Accademia 2014, XXIII Edizione
Pianoforte Alexander Romanovsky
Ludwig van Beethoven: Sonata per pianoforte n. 30 in Mi maggiore Op. 109
Johannes Brahms: Variazioni su un tema di Paganini Op. 35
Fryderyk Chopin: Ballata n. 2 in Fa maggiore Op. 38; Ballata n. 4 in Fa minore Op. 52; Sonata n. 2 in Si bemolle minore Op. 35.
Verona, 24 Settembre 2014

Il tradizionale appuntamento pianistico dell’Accademia Filarmonica di Verona – nella sua rassegna del “Settembre” musicale – vede protagonista quest’anno il trentenne ucraino Alexander Romanovsky, italiano di adozione e di studi, completati con il maestro Leoind Margarius presso l’Accademia Pianistica Internazionale di Imola.
Già vincitore del celebre Concorso “Busoni” di Bolzano all’età di diciassette anni, è ora avviato a folgorante carriera che lo porta ad esibirsi regolarmente sui principali palcoscenici mondiali.
A Verona ha proposto un programma monumentale, composto di capisaldi del repertorio: in apertura la Sonata per pianoforte n. 30 in Mi maggiore Op. 109 di Ludwig van Beethoven dove fin da subito Romanovsky ha esposto chiaramente la cifra distintiva principale del suo pianismo. Il timbro è sempre maniacalmente controllato da un attentissimo studio del tocco e dell’approccio alla tastiera, conferendo al contempo una grande intensità e presenza sonora ma allo stesso modo una certa quale freddezza interpretativa, non lenita da una gestualità magniloquente e ben marcata. Qualche vuoto di memoria durante le variazioni beethoveniane, per altro risolto con grande disinvoltura, non intaccano il risultato di un’esecuzione comunque vibrante e non priva di una certa brillantezza.
In analogia con la forma del tema e variazioni contenuto nella sonata appena eseguita, Romanovsky completa la prima parte del programma proponendo uno dei suoi cavalli di battaglia: le Variazioni su un tema di Paganini Op. 35 di Johannes Brahms, già incise nel suo CD di debutto targato DECCA Records. Per il talento ucraino questo sembra essere il terreno perfetto per dispiegare le sue qualità tecniche, la scelta dei tempi estremamente veloci minaccia di infrangere il muro del suono regalando all’uditorio uno spettacolo di virtuosismo digitale da vero fuoriclasse, accolto da un profluvio di applausi.
La seconda parte del programma è incentrata sulla figura di Fryderyk Chopin, a partire dalla Ballata n. 2 in Fa maggiore Op. 38 e della Ballata n. 4 in Fa minore Op. 52.
Romanovsky entra sul palco con l’apparente fretta di chi, supponiamo, sente l’esigenza di ritrovare al più presto il contatto con lo strumento. Senza nemmeno aspettare il totale silenzio da parte del pubblico (e sacrificandone così parte dell’intima atmosfera iniziale) attacca la seconda ballata di Chopin, tanto energica e brillante nelle sezioni rapide quanto a tratti monocorde nei sognanti interludi lenti. Di tutt’altro stampo l’indole con cui si accosta alla ballata n. 4, in cui il pianista sembra lasciarsi andare ad un approccio meno controllato, nonché più semplice e scorrevole nel fraseggio per meglio adattarsi ai molteplici e sempre cangianti spunti musicali. Questa nuova disposizione di Romanovsky non può che sposarsi perfettamente l’estetica della composizione, con cui Chopin sembra voler stilare un compendio stilistico di quanto trattato nei due decenni di carriera antecedente al momento della composizione della ballata nel 1842. L’interpretazione maggiormente convincente della serata risulta quella Sonata n. 2 in Si bemolle minore Op. 35, ove il pianista sembra essersi definitivamente lasciato andare ad un atteggiamento comunicativo e interpretativo molto rilassato e decisamente distante dall’attitudine fortemente energica e quasi aggressiva con cui il concerto aveva avuto inizio, senza tuttavia perderne la carica. Nella centrale Marcia Funebre la metamorfosi dell’enfant prodige dalle dita più veloci del west trova definitivo compimento, mostrando lo sbocciare di un musicista di grande maturità capace di portarsi oltre i limiti del suo stesso pianismo e di regalare alcuni momenti di emozionante intensità musicale. Dopo il rapido e travolgente finale un ulteriore, e meritato, profluvio di applausi per Alexander Romanovsky che saluta il pubblico del Teatro Filarmonico con due “encore”: una Mazurka di Chopin e uno studio di Skrjabin. Fotolive