Milano, Teatro alla Scala: Recital di Matthias Goerne

Milano, Teatro alla Scala, Recital di Canto 2013 / 2014
Baritono Matthias Goerne
Pianoforte Enrico Pace
Ludwig van Beethoven:”An die ferne Geliebte” Op.98 nn.1-6
Franz Schubert:”Schwanengesang” D.957 nn.1-13
Milano, 5 ottobre 2014

Milano, rispetto ad altre importanti città europee, non offre grandi possibilità di assistere a concerti dedicati specificatamente al canto da camera e per gli amanti del genere è perciò una grande occasione poter assistere ai recital di canto che La Scala offre al suo pubblico, pur essendo un luogo decisamente più adatto all’opera lirica che alla liederistica. La serata del 5 ottobre ha visto protagonisti il baritono tedesco Matthias Goerne, ormai diventato interprete di riferimento per quanto riguarda il repertorio liederistico tedesco e il pianista italiano Enrico Pace.
Il programma scelto dal duo prevedeva due cicli molto diversi fra loro ma, proprio per questo motivo, ben assortiti nell’ottica sempre apprezzata della varietà (da cui per altro è possibile anche giudicare la grandezza e versatilità di un artista).  Il concerto si è aperto con il delizioso “An die ferne Geliebte” di Ludwig van Beethoven, ciclo scritto nel 1816 formato da 6 lieder strofici il cui tema centrale è la lontananza dall’amata, per poi proseguire con “Schwanengesang” di Franz Schubert, raccolta degli ultimi lieder scritti dal compositore e pubblicata un anno dopo la sua morte.
“An die ferne Geliebte”, nonostante qualche piccola instabilità nell’insieme ritmico, ha messo subito in luce le qualità del duo che se non si è formato per la prima volta appositamente per il concerto è una delle prime volte che si esibisce: Goerne di solito è affiancato da pianisti di nazionalità tedesca e Pace è apprezzato interprete solista e camerista (con altri strumenti più che con la voce). Nonostante ciò il duo ha dimostrato una comunanza d’intenti nell’intrepretare i lieder proposti con una partecipata oggettività e con ciò si intende un atteggiamento di umiltà nei confronti della musica che non vede prevalere l’ego dei musicisti ma che lascia piuttosto parlare la musica suggerendo per quest’ultima una guida nell’interpretazione, convincente ma non artificiosa o prevaricante, atteggiamento mutuato dalla grande tradizione liederistica di Elisabeth Schwarzkopf e Dietrich Fischer-Dieskau (con i quali, si legge nel curriculum di Goerne, il baritono ha impreziosito la sua formazione).
Il ciclo beethoveniano, che può essere concepito come un unico grande arco (il tema del primo lied viene ripreso in quello finale creando una struttura circolare) ha permesso a Goerne di sfoggiare una tecnica affinatissima e una voce molto cangiante, dal timbro molto personale, scuro e pastoso nella zona centrale ma capace di una vasta gamma di sfumature (delicate o aggressive, a seconda delle esigenze testuali) nel passaggio alla zona acuta. Con i lieder di Schwanengesang si è entrati nella zona del programma forse più impegnativa, soprattutto per quanto riguarda i lieder della seconda parte su testi di Heinrich Heine, enigmatici e bellissimi, vero terreno di sperimentazione per l’ultimo Schubert che crea atmosfere rarefatte e quasi stranianti.
Se il primo lied, “Liebesbotschaft”, ha permesso al baritono di sfoggiare le sue capacità tecniche, il celeberrimo “Ständchen” ha avuto un’ esecuzione da manuale, secondo quella oggettività di cui si è già parlato. Il secondo e il quinto brano (“Kriegers Ahnung” e “Aufenthalt”) hanno mostrato appieno le qualità interpretative del baritono in quanto uomo di teatro. Goerne infatti è attivo anche come cantante d’opera (Papageno, Wozzeck, Barbablu i ruoli prediletti) e questa esperienza viene saggiamente sfruttata nell’interpretazione del lied, non disturba per niente a questo proposito notare i movimenti del corpo che Goerne decide di non frenare in quanto espressione di un pensiero teatrale oltreché musicale.  Nell’avvicendarsi dei lieder schubertiani anche Enrico Pace ha avuto modo di affermarsi come pianista raffinatissimo: assai lontano dal pianismo vigoroso ed esteriore, il pianista riminese ha sfoggiato una sapienza coloristica di raro ascolto oggi, fino a far concentrare l’attenzione del pubblico esclusivamente su di sé in alcuni lieder, i cui finali lasciavano sconcertati per l’intensità del gesto musicale. È un pianista che ha rispetto del piano (in termini di indicazione dinamica) e del silenzio e questo stupisce sempre. Capacità e qualità che trovano in Goerne il compagno ideale e che concorrono a creare un crescendo di intensità espressiva: gli ultimi lieder del ciclo (specialmente” Ihr Bild”, “Die Stadt” e “Am Meer”) sono stati il vertice del concerto. Unica piccola delusione della serata è stata l’esecuzione di un solo bis (“Die Taubenpost”, molto probabilmente l’ultimo lied scritto da Schubert prima di morire), ma si spera che sia da attribuire alla stanchezza o indisposizione di Goerne (che si è presentato con una mano fasciata) più che alla scarsa generosità degli artisti.