“Rigoletto” a Modena

Modena, Teatro Comunale “Luciano Pavarotti”, Stagione Lirica 2014/2015
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova HO-YOON CHUNG
Rigoletto FABIAN VELOZ
Gilda ILINA MIHAYLOVA
Sparafucile MICHAIL  RYSSOV
Maddalena MICHELA NARDELLA
Giovanna PAOLOA LEVERONI
Il Conte di Monterone DANIELE CUSARI
Marullo GIANLUCA MONTI
Matteo Borsa ROBERTO CARLI
Il Conte di Ceprano STEFANO CESCATTI
La Contessa ANNALISA FERRARINI
Usciere di corte ROMANO FRANCI
Paggio della Duchessa ALESSANDRA CANTIN
Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna
Coro Lirico Amadeus – Fondazione Teatro Comunale di Modena
Direttore Giovanni Di Stefano
Maestro del coro Stefano Colò
Regia Giandomenico Vaccari
Scene Sormani-Cardaropoli su bozzetti di Lorenzo Ghiglia
Costumi Stefano Nicolao Atelier
Luci Andrea Ricci
Coproduzione fra Fondazione Teatro Comunale di Modena e Teatro Sociale di Trento
Modena, 16 novembre 2014
Ve le ricordate le figurine Liebig? Quelle che ritraevano i personaggi dei melodrammi verdiani in pose didascaliche? Ecco, questo Rigoletto modenese sembra una lunga sequenza di quelle immagini. Non mi riferisco tanto all’impianto scenico (tradizionalissimo) realizzato con bel mestiere dall’impresa Sormani-Cardaropoli su bozzetti di un veterano come Lorenzo Ghiglia: sono la profondità, la complessità dei personaggi a latitare. Nella concezione registica di Giandomenico Vaccari (già sovrintendente del Petruzzelli di Bari) Rigoletto, Gilda, il Duca restano ancorati ai più vieti cliché, secondo il frequente equivoco per cui seguire le indicazioni del libretto significa lavorare per stereotipi e gestualità esteriori. Ecco allora i personaggi tutti intenti a tenersi la testa fra le mani, alzare le braccia al cielo, buttarsi a terra, ribaltare sedie e panchine senza la minima credibilità. Quando poi il regista aggiunge, non arricchisce. E ci tocca assistere a sfilate di damigelle che mostrano al pubblico la schiena ostentando una sensualità che proprio non c’è, al fantozziano tramortimento di Giovanna ad opera dei cortigiani, a Maddalena giustiziata nella sua taverna di fronte ad un Duca di Mantova che più che cinico sembra completamente assente.
L’esecuzione vocale e strumentale va di pari passo. Il baritono argentino Fabian Veloz ha voce ben proiettata, ma tratteggia un Rigoletto perennemente esagitato. Se l’attacco di “Cortigiani, vil razza dannata” è di grande effetto, i cantabili risultano faticosi e monotoni. E non manca qua e là qualche falsetto caricaturale di vecchissima scuola. Monotono risulta pure il tenore coreano Ho-Yoon Chung, che fa del Duca un giovanotto baldanzoso a metà fra D’Artagnan e Robin Hood, mai davvero crudele, mai davvero amoroso. “Parmi veder le lagrime” scivola via a voce spianata, senza cura del fraseggio, giocata su un timbro innegabilmente piacevole e su acuti sempre squillanti e sicuri. Ma non basta. Riprova della spiacevole tendenza a fare di Rigoletto una gara vocale prima che un dramma in musica è anche la performance di Ilina Mihaylova, tutta puntature e sovracuti di tradizione (a dire il vero, se si esclude il mi bemolle alla fine di “Sì, vendetta, tremenda vendetta”, sempre ben risolti). La Gilda del soprano bulgaro ha più della principessa disneyana impegnata in leziose giravolte che della ragazza sinceramente turbata dalla scoperta dell’altro sesso. Chiudono il cerchio Michail Ryssov e Michela Nardella, il primo cavernosissimo Sparafucile, la seconda Maddalena di voce non sempre omogenea, entrambi esecutori arruffati. E se Daniele Cusari potrebbe essere un Monterone più incisivo, le altre parti di fianco  sono perlopiù oneste. Efficace anche il coro del teatro modenese.
Chi qua e là si sforza di dare giustizia alle intenzioni del compositore è il direttore Giovanni Di Stefano. Vero, taglia i “da capo” delle cabalette. Ma ripristina certi colori verdiani a cui non siamo abituati (vedi gli archi in pianissimo prima dell’irrisione di Rigoletto a Monterone), rispetta alcune pause di grande valore espressivo, accompagna il canto senza prevaricarlo. All’interno dei singoli numeri non trova tuttavia grandi finezze: passata la brillantezza degli stacchi iniziali, tutto scorre via con fin troppa speditezza e con una punta di superficialità, complice un’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna che stavolta non ha brillato per intonazione e tenuta d’insieme. Segno fra i tanti della difficoltà di trovare un equilibrio fra fedeltà al testo, tradizione esecutiva, credibilità scenica e musicale del teatro di Verdi. Foto Rolando Paolo Guerzoni