Verona, Amici della Musica: Alexander Kobrin

Verona, Teatro Ristori, Amici della Musica, Stagione concertistica 2014-15
Pianofote Alexander Kobrin
Ludwig van Beethoven: Sonata n. 24 in Fa diesis maggiore op. 78, Sonata n. 30 in Mi min. op. 109
Sergej Rachmaninov:
Etudes-tableaux, Op.33
Verona, 26 novembre 2014

In genere si annovera la Sonata op. 78 di Beethoven nel computo delle sue pagine più sottovalutate, e certamente vedendola in programma più di un pianista avrà ricordato con un sorrisetto “ah, la 24, quella che porti al diploma quando non sei tutto ‘sto talento”. Certo, troppo spesso capita di poterla ascoltare nella veste di un pasticcio eccessivamente pedalizzato di sterili virtuosismi da circo, ma, benvenuti al Ristori, qua la musica cambia: Alexander Kobrin fa appena in tempo a poggiare le mani sul pianoforte che siamo già proiettati su un altro pianeta. È un gioco di pesi perfettamente calibrato, un suono di incredibile purezza. Kobrin manovra Beethoven con una sicurezza in cui il naufragar è dolce, il disegno è limpidissimo: non c’è un dito che pesi più di un altro, i tempi sono funzionali a rendere tanto la cantabilità quanto il virtuosismo, il tocco è sublime. Mirabile l’Adagio, fraseggiato con grazia delicatissima, trionfale la pioggia di semicrome del secondo movimento.
E la Sonata op. 30, che trionfo. Ne esce un Beethoven davvero a tutto tondo, spezzato a metà tra Settecento e Ottocento, classico, preromantico, quello che volete, tanto c’è tutto: salotti viennesi, razionalismo, rottura, sonno della ragione, tormento, estasi. Kobrin non ha paura di niente, si lancia in virtuosismi sperticati e si sublima in cantabili delicatissimi ed evanescenti. Le geometrie si rincorrono nella realizzazione di un meccanismo di precisione assoluta e di sottile introspezione. Nel terzo movimento, il tema con variazioni, ci tiene letteralmente incollati; particolarmente affascinante la sua interpretazione della quinta variazione, formalmente una fuga a tre voci: Kobrin non si accontenta di far emergere la perfezione degli ingressi di soggetto e controsoggetto, ma ne dà un’interpetazione che rende giustizia al tardo Beethoven pre-romantico, senza tuttavia profanarne la trasparente geometria, facendosi nuovamente ammirare per la perfetta calibratura dei pesi.
A metà concerto sembra già tutto troppo bello. Ma manca ancora Rachmaninov, vero cuore della serata. L’integrale dell’op. 39 sfianca anche semplicemente leggendola sul programma. Kobrin torna sul palco per nulla affaticato, con quest’aria un po’ buffa da tetro ingegnere, e torna a rapirci con il suo suono trasparente, la perfetta fluidità dei cantabili, i virtuosismi resi con eleganza sopraffina. Gli Etudes-tableaux sono pennellate impressionistiche e Kobrin vi si accosta con la sicurezza di un maestro del colore; ogni studio ci lascia rapiti, emozionati, ci chiediamo che succederà con il successivo, e con quello dopo ancora. Pendiamo dalle mani di questo secco trentaquattrenne russo, dalle prime note dell’appassionato n. 1 alle brusche strappate del n. 6, dal lieve n.2 al temibile e vertiginoso n.5. Kobrin e Rachmaninov ci avvolgono in questa turbolenta danza russa con la classe e la potenza di un mondo ancora intatto, vicinissimo, quasi palpabile e poi infinitamente distante e formidabile. Le chiamate per il giovane pianista sono numerosissime, così alla fine Kobrin ci omaggia con tre bis: il celeberrimo La fille aux cheveux de lin di Debussy, reso con particolare dolcezza, lo Studio op. 25 n.2 e il Preludio op. 28 n.7 di Chopin.