Verona, Teatro Filarmonico: “La Bohème”

Teatro Filarmonico – Stagione d’Opera e Balletto 2013/2014
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, tratto da “Scènes de la vie de bohème” di Henri Murger.
Musica di Giacomo Puccini
Mimì CHIARA ANGELLA
Musetta DANIELA BRUERA
Rodolfo JEAN–FRANCOIS BORRAS
Schaunard FRANCESCO VERNA
Marcello ALESSANDRO LUONGO
Colline MARCO VINCO
Benoit DAVIDE PELISSERO
Parpignol SALVATORE SCHIANO DI COLA
Alcindoro PIETRO TOSCANO
Sergente dei Doganieri VALENTINO PERERA
Un Doganiere NICOLÒ RIGANO
Coro e Orchestra della Fondazione Arena di Verona
Direttore Jader Bignamini
Maestro del Coro Andrea Cristofolini
Coro di voci bianche A.Li.Ve diretto da Paolo Facincani
Regia Pier Francesco Maestrini
Scene e Costumi Carlo Savi
Verona, 9 novembre 2014

Pubblico numerosissimo per questa prima pomeridiana de La Bohème al Teatro Filarmonico di Verona.
È una Bohème dal taglio decisamente impressionistico, quella del regista fiorentino Pier Francesco Maestrini, figlio del celeberrimo Carlo Maestrini, firmatario di numerose e apprezzatissime regie areniane.
Sullo sfondo vengono proiettati capolavori del periodo di ambientazione di Bohème (1830 ca.): si va da Manet a Monet passando per Delacroix, Degas, Van Gogh, Toulouse-Lautrec e altri artisti contemporanei. L’idea è senz’altro suggestiva e allo stesso tempo non distrae il pubblico, che anzi, cercando analogie tra l’immagine sullo sfondo e quanto rappresentato in scena – davvero pregevoli a questo proposito le scene e i costumi di Carlo Savi – si ritrova immerso in uno spettacolo multiforme e di elevata godibilità.
Peccato davvero per l’indisposizione – evidentemente non così lieve come annunciato prima dell’inizio della rappresentazione – del soprano (ma l’abbiamo vista rivestire i panni di Azucena a Trapani meno di tre mesi fa!!!) Chiara Angella, che purtroppo pregiudica la buona riuscita complessiva della sua performance. La voce è indietro, sfibrata e affaticata, il fraseggio generalmente piatto, la linea solo a tratti realmente dispiegata. Nel duetto conclusivo del primo quadro la udiamo in lontananza praticamente afona. Il dispiacere è grande, trattandosi di una delle artiste più promettenti del panorama italiano; in ogni caso anche dovendo solo giudicare la presenza scenica, della grisette Mimì è reso con efficacia solo l’incedere malato e tragico, mentre non siamo in grado di percepire la gaiezza e la malizia che contraddistinguono il personaggio nei primi due quadri. Dal terzo quadro la situazione migliora notevolmente, il fraseggio è più curato e nella tenuta della linea si avverte ancora il piglio e la stoffa dell’artista; il problema alle corde persiste in zona acuta, mentre sul centro e sui gravi tutto sembra funzionare piuttosto bene. Speriamo in una pronta ripresa.
Ottima prova e meritate ovazioni per il tenore Jean-Francois Borras (Rodolfo), che sembra trovare la propria migliore collocazione nel repertorio pucciniano. Le dinamiche funzionano, l’emissione in acuto è faticosa ma i suoni non risultano schiacciati; il timbro resta piuttosto chiaro e la ricerca di una linea troppo sfumata talvolta ne pregiudica il colore, non certo l’udibilità. Scenicamente Borras trasmette meglio la disperazione che la passione, ma il duetto del “colpo di fulmine” che occupa tutta la seconda metà del primo quadro sarebbe risultato piuttosto insipido in ogni caso: le due voci non si amalgamano e scenicamente i due protagonisti non riescono a trasmettere che un’idea vaga e stereotipata della fiorente passione tra i due amanti parigini.
Davvero strepitoso il Marcello di Alessandro Luongo. Il baritono non teme sicuramente i volumi orchestrali: la voce è sempre perfettamente in maschera, la naturale bellezza del fraseggio ben si accosta alla direzione puntuale di Bignamini, che lo asseconda senza forzature. Tecnicamente ineccepibile, Luongo si dimostra a proprio agio anche come attore, dando a Marcello un taglio alternativamente giocoso, sarcastico e commosso; in zona acuta non ha un cedimento, i centri sono caldi e perfettamente udibili. Davvero bravo.
Bene anche Daniela Bruera, una Musetta interessante, vocalmente in ordine ma con qualche risonanza aspra in zona acuta. L’attrice è graziosa, frivola, e se qualcosa in più poteva essere fatto nel quarto quadro (è Musetta a interrompere i giochi dei quattro artisti per annunciare l’arrivo di Mimì morente) il risultato è comunque apprezzabile. Nel valzer di presentazione Quando m’en vo la voce è avanti, corposa e mai spinta; tecnicamente le cose funzionano, qualche insicurezza permane nel dialogo con l’orchestra, ma in questo senso un ruolo devono averlo giocato anche i tempi relativamente ristretti per le prove, dovuti alla sostituzione last minute del direttore Xu Zhong con il bravo Jader Bignamini.
Il giovane direttore si dimostra all’altezza del compito assegnatogli: tutto fila liscio, i momenti più critici (l’assieme con Benoit nel primo quadro, l’inizio del secondo) sono risolti con intelligenza. Qualche chiusura forse più ritenuta del necessario non sembra mettere a disagio le voci, che non soffrono nemmeno dal punto di vista dinamico.
L’orchestra da parte sua sembra decisamente a proprio agio, lo spartito è del tutto assimilato e, con la direzione di Bignamini, tutta l’opera si snoda senza intoppi e, anzi, con rinnovato entusiasmo.
Non delude proprio mai il nostro Marco Vinco, che riesce a dare al filosofo Colline una caratterizzazione davvero a tutto tondo: simpaticissimo e scatenato nel primo quadro e nel giocoso inizio del quarto, appassionato e commosso nell’eccellente Vecchia zimarra, da molti studiosi identificato come vero e proprio finale della Bohème: in questo momento di tragico raccoglimento – in cui l’addio non è dedicato solo al cappotto venduto in cambio di qualche soccorso per l’agonizzante Mimì, ma a tutta la gioiosa giovinezza dei quattro coinquilini della soffitta – la linea del canto è naturalmente dolcissima, il fraseggio ricco e il timbro caldo e corposo.
Molto bene anche lo Schaunard di Francesco Verna, in cui alle ottime doti vocali si accosta un’eccellente presenza scenica. Brillante al suo ingresso nel primo quadro, divertentissimo e ben diretto nei giochi con Colline nel secondo e nel quarto. Fin dall’inizio – nella descrizione degli eventi che l’hanno portato a guadagnarsi il “tesoro” che i quattro sperpereranno al bar entro il secondo quadro – la voce è sempre avanti, il fraseggio e l’intonazione precisi. È proprio lo squattrinato musicista ad accorgersi per primo della morte di Mimì, e Verna ne rappresenta con commozione tutta la disperata tragicità: «Marcello, è spirata…».
Davide Pelissero, Benoît, ruolo “minore” ma di nota complessità (a partire dal micidiale “Una parola…”) non è solo una macchietta, canta bene, recita ancora meglio ma senza nascondersi dietro l’ispirazione “giocosa” del ruolo.
L’Alcindoro di Pietro Toscano è vocalmente in ordine, per quanto non dica granché scenicamente. Commovente il Parpignol di Salvatore Schiano di Cola, ottimo artista del Coro, come artisti del Coro – preparato da Andrea Cristofolini e complessivamente autore di una buona performance – sono anche Valentino Perera (Sergente) e Nicolò Rigano (Doganiere). Ben dirette e davvero adorabili le voci bianche del Coro A.Li.Ve. come sempre preparato da Paolo Facincani. Foto Ennevi