Viktoria Mullova con l’OSN RAI a Torino

Viktoria Mullova e Jakub Hrusa durante le prove con l'OSN RAI di Torino

Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2014-2015
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Jakub Hrůša
Violino Viktoria Mullova
Bedřich Smetana : Hakon Jarl, poema sinfonico op. 16
Dmitrij Šostakovič : Concerto n. 1 in la minore per violino e orchestra op. 77
Antonín Dvořák : Sinfonia n. 6 in re maggiore op. 60
Torino, 31 ottobre 2014

Che cosa hanno in comune un poema sinfonico scritto in Svezia da un compositore boemo, un concerto per violino scritto in Russia a metà Novecento, una sinfonia scritta per Vienna a fine Ottocento (ma eseguita per la prima volta a Praga)? Probabilmente nulla; ma è molto bello e stimolante così, specie se il direttore d’orchestra, Jakub Hrůša, s’ingegna per differenziare il più possibile lo stile esecutivo dei brani, e far sì che ognuno abbia una fisionomia inconfondibile.
Nel caso di Hakon Jarl, con cui la serata si apre, il direttore insiste ovviamente sulla dimensione epica dell’orchestrazione, senza però dimenticare di rilevare gli evidenti wagnerismi (pre-tristaniani) dei legni, e un ricorrente andamento ballettistico; anche grazie alla resa dei numerosi colori della partitura, emerge il respiro tutto narrativo della vicenda dell’eroe e della sua morte.
Momento senza dubbio più atteso della serata l’apparizione di Viktoria Mullova per l’esecuzione del Concerto n. 1 per violino e orchestra di Šostakovič, tra i brani favoriti dalla celebre virtuosa, molto festeggiata dal pubblico della RAI. Il concerto si apre con larghe e intense frasi del violino, praticamente solo: la Mullova esprime benissimo l’atmosfera sospesa, eppure sovraccarica di tensione, soprattutto quando rende il suono diafano fino all’estrema debolezza. Nel Notturno. Moderato la solista appare compunta, severissima, del tutto concentrata sulla memoria del pezzo; anche nell’interpretazione tutto è dramma irresolubile, non c’è spazio alcuno per l’ironia, e neppure per il sarcasmo. Il demoniaco ritmo dello Scherzo. Allegro – Poco più mosso è reso in modo inesorabile, grazie all’intesa perfetta con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI. La Passacaglia (Andante) è caratterizzata da un ottimo attacco, affidato agli ottoni, ed è in generale il movimento più struggente di tutto il concerto, grazie all’arte della Mullova: i suoni risultano così tesi da risuonare persino brutti, quasi disarticolati, in una narrazione chiarissima nella sua scheletricità, ossia la storia di una tragedia personale. La cadenza che chiude la Passacaglia è uno straordinario spettacolo di virtuosismo, inarrivabile per tecnica e per tenuta spasmodica del suono. Ottimo anche il tonante avvio della Burlesca finale (Allegro con brio), anche se della burla non c’è proprio nulla; l’orchestra a tratti sghignazza, ma il violino no, resta impassibile nel riferire la tragedia della Storia (il concerto fu scritto tra 1947 e 1948, in un periodo di disgrazia per il compositore, più che mai vessato dalla censura stalinista, e più che mai convinto nell’insistere sulla figurazione-firma re-mib-do-si, corrispondente alla sigla D.SCH secondo la notazione tedesca). Nel convulso finale il violino non è affatto travolto, poiché è piuttosto esso a travolgere tutto il resto con la sua fermezza. Dopo tanta concentrazione, nel corso del trionfo che il pubblico tornese le tributa (attendendo invano un brano fuori programma) anche la Mullova elargisce qualche sorriso liberatorio, ma – da vera grande diva – senza alcun atteggiamento divistico.
Il giovane Jakub Hrůša è il direttore musicale e principale dell’Orchestra Filarmonica di Praga, la stessa compagine che nel 1881 eseguì per la prima volta la sinfonia n. 6 di Dvořák; è quindi prevedibile un coinvolgimento speciale nella concertazione di un’opera che difficilmente può definirsi capolavoro della letteratura sinfonica. L’iniziale dialogo tra fiati e archi in ritmo cullante permette di fare emergere sin da subito le qualità di ottimo concertatore del direttore ceco. In un clima sonoro dall’enunciazione magniloquente, i temi secondari dell’Allegro non tanto sgorgano con grazia a dolcezza, mentre nell’Adagio Hrůša preferisce staccare un tempo piuttosto rapido, sottolineando i passaggi neoclassici del movimento. Il Furiant dello Scherzo (Presto – Trio. Poco meno mosso) ha un suono molo bello, anche se la sgranatura delle note non è del tutto perfetta, perché Hrůša preferisce legare, più che staccare. E tale predilezione si ravvisa anche nel Finale (Allegro con spirito – Presto), allorché il direttore si sforza di realizzare sonorità brahmsiane, basate su contrasti agogici dal perfetto equilibrio: scelta grazie alla quale è valorizzato un brano in cui, più che l’idea musicale, domina il sapiente mestiere dello strumentatore abilissimo. Il pubblico torinese, ormai espertissimo in un repertorio slavo sempre più frequentato dall’OSN RAI, intende e apprezza con entusiasmo.