Verona, Teatro Filarmonico: “Lucia di Lammermoor” (cast alternativo)

Teatro Filarmonico – Stagione d’Opera e Balletto 2014/2015
“LUCIA DI LAMMERMOOR”
Dramma tragico in tre atti, Libretto di Salvatore Cammarano dal romanzo The bride of Lammermoor di Walter Scott
Musica di Gaetano Donizetti
Miss Lucia MARIA GRAZIA SCHIAVO
Sir Edgardo di Ravenswood ALESSANDRO SCOTTO DI LUZIO
Lord Enrico Ashton MARCO DI FELICE
Raimondo Bidebant  SEUNG PIL CHOI
Lord Arturo Bucklaw FRANCESCO PITTARI
Alisa ELISA BALBO
Normanno FRANCESCO PITTARI
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Fabrizio Maria Carminati
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Guglielmo Ferro
Scene Stefano Pace
Costumi Françoise Raybaud
Luci Bruno Ciulli
Video Maker Massimiliano Pace
Allestimento del Teatro Massimo Bellini di Catania
Verona, 16 Dicembre 2014

 Il “martedì young” del Filarmonico continua a riscuotere un buon successo nella bella Verona: ancora una volta fa piacere ritrovarsi in una sala affollata e calorosa, nonostante le innegabili perplessità poste dalla messa in scena di questa Lucia di Lammermoor. Per regia (Guglielmo Ferro) e scene (Stefano Pace) facciamo riferimento al precedente articolo sulla Prima: anche in questa seconda rappresentazione siamo costretti a confermare la  sostanziale staticità registica: certo, lasciando carta bianca agli interpreti si pone il pubblico in condizione di valutarne con maggiore obiettività le effettive doti drammatiche, ma è pur vero che le occasioni sprecate sono numerose. E lo sono particolarmente in un’opera a pezzi chiusi come Lucia di Lammermoor, in cui il tempo della rappresentazione si dilata rispetto a quello della narrazione e la tensione drammatica necessita di essere costantemente ravvivata.  La Scozia di Stefano e Massimiliano Pace è cupa, ma non spaventosa, tetra, ma priva dei funesti presagi che attraversano la mente e le parole di Lucia fin dal suo ingresso in scena. Anche i costumi di Françoise Raybaud ricoprono un range temporale ancora troppo ampio per essere di qualunque ausilio ad una precisa definizione del tempo della rappresentazione – è pur vero che le incongruenze cronologiche non erano sconosciute nemmeno allo stesso Walter Scott – innestandosi su un apparato scenografico di altrettanto difficile collocazione.  Come già accaduto in occasione della Prima, anche in questo caso è il buon cast a risollevare le sorti dello spettacolo.
Lucia è Maria Grazia Schiavo, che accosta alle buone doti drammaticheun timbro elegante in ogni registro; il suo Regnava nel silenzio è potente, qualche acuto un po’ sfibrato nella cabaletta non ne pregiudica l’efficacia complessiva. La scena della pazzia è il risultato di un grande studio scenico e tecnico, la cadenza è perfettamente calibrata e la tensione drammatica al massimo. Anche nei momenti d’assieme la Schiavo ostenta una mirabile facilità in acuto, oltre ad un centro generoso che non teme i volumi orchestrali. Il soprano, che hadebuttato in questo faticosissimo ruolo nel 2011, vi si accosta con grande professionalità e realizza una performance che la conferma interprete di rango. Lo stesso, purtroppo, non possiamo dire con la stessa convinzione del tenore Alessandro Scotto Di Luzio, che, pur mostrando un timbro gradevole e una materia prima di qualità, sostiene con evidente difficoltà l’ingrato ruolo di Edgardo. Nel centro molti suoni restano “indietro”, ingolati e spenti, mentre in acuto manca lo squillo, particolarmente dal duetto della torre in poi, arrivando a un Tombe degli avi miei poco brillante. Dotato di una buona presenza scenica, Scotto Di Luzio era stato, durante la Prima, un buon Arturo; Edgardo evidentemente non è, per il momento, perfettamente nelle sue corde, nonostante tutto l’impegno e lo studio del giovane tenore sia ravvisabile in un efficace legato e in un fraseggio stilisticamente adeguato.  Seung Pil Choi è un Raimondo in ordine, più nel centro che sui gravi, dove fatica ad emergere oltre i volumi orchestrali; il suo Dalle stanze ove Lucia è efficace ma, mal supportato dalla solita immobilità registica, meno intenso di quanto il ruolo preveda; la sua performance è, in ogni caso, del tutto convincente: la buona pronuncia e il gusto nella resa del fraseggio promettono una brillante carriera al giovane coreano.  L’Enrico di Marco Di Felice è ancora più in forma di sabato scorso: la voce passa, si proietta oltre l’orchestra e il timbro generoso del baritono si dispiega in un Cruda funesta smania degno di nota. Pregevole la sua performance anche nei momenti d’assieme, particolarmente nel sestetto e nel duetto della torre, dove si mostra adeguatamente feroce e spietato. Discutibile la scelta di affidare a Francesco Pittari sia il ruolo di Arturo che di Normanno; in ogni caso il tenore se la cava bene, più vocalmente che scenicamente (ma non è colpa del poveretto se c’è chi crede di poter realizzare due personaggi con il mero ausilio di due parrucche): il fraseggio è in ordine e l’intonazione buona.  Completa efficacemente il cast Elisa Balbo (Alisa), che speriamo di poter ascoltare presto in un ruolo sopranile che le renda piena giustizia. Come già osservato nella Prima, la direzione di Fabrizio Maria Carminati è del tutto apprezzabile, il ruolo dei legni è adeguatamente valorizzato e l’orchestra affascina per i toni ammalianti degli archi di timbro più grave. Carminati non perde un colpo e si fa seguire dai cantanti respirando insieme a loro anticipandone le intenzioni espressive. Sempre in ottima forma anche il Coro – particolarmente le voci maschili – istruito da Salvo Sgrò. Foto Ennevi per Fondazione Arena