Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2014-2015
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Juraj Valčuha
Tenore Dominik Wortig
Baritono Markus Werba
Joseph Haydn : Sinfonia in fa diesis minore Hob I n. 45, “Abschieds-Symphonie” (Sinfonia degli addii)
Gustav Mahler : “Das Lied von der Erde” (Il canto della terra), sinfonia per due voci e orchestra, su liriche tratte da Die Chinesische Flöte di Hans Bethge
Torino, 16 gennaio 2015
L’accostamento parrebbe molto strano, per non dire anomalo: all’inizio il nono concerto della stagione RAI porge la pagina di Haydn celebre per la stravaganza del finale, in cui tutti gli strumentisti se ne vanno uno a uno, poi il grandioso polittico di poesia e di musica sinfonica di Mahler, esito della ricomposizione di una serie di lutti e sciagure personali (a sua volta reso celebre dalla sofferta pellicola manniana di Visconti, Morte a Venezia). Sarebbe bizzarria unire un Haydn giocoso e un Mahler luttuoso, al solo scopo di confezionare il programma di una serata concertistica? No, non è così; anzi, l’abbinamento si rivela una profonda riflessione sul significato dell’addio, che il direttore intende con grande serietà, e concerta con corrispondente capacità analitica. Juraj Valčuha, alla guida dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, accentua le sonorità scure e i timbri corruschi sin dall’avvio della sinfonia n. 45, che Haydn compose nell’estate del 1772 con il proposito di far capire al mecenate ospite, Nikolaus Esterházy, quanto i musicisti desiderassero tornare alle loro case, dopo tanto tempo di permanenza nella pur principesca residenza estiva del castello di Esterháza (questo il significato dell’andarsene progressivo di tutti, primo violino e direttore compresi). Valčuha fa capire bene all’ascoltatore come tutto nella sinfonia – dalla rara tonalità di fa diesis minore alle iterazioni in pianissimo, dal minuetto che trascorre al tono maggiore fino alla destrutturazione del finale in adagio – sia peculiare, e la porge quindi come una pagina di ripiegamento, quasi di espressione di paura di fronte alla realtà. Un terrore intimo che la musica denota con un duplice effetto di spegnimento: il direttore lo rintraccia sin dall’Adagio del II movimento, secondo le qualità agogiche tradizionali, e poi naturalmente, in termini quantitativi, quando gli strumenti vengono meno uno dopo l’altro. Se la cifra esecutiva del Minuetto (Allegretto – Trio) è la leggerezza, con le musicalissime enunciazioni del tema a cura del primo violino, Alessandro Milani, la trouvaille del finale è declinata con garbo, ma senza alcuna ridicolaggine; come a dire che si tratta pur sempre di un addio, cioè di una separazione, di un distacco. E Valčuha sottolinea bene come Haydn avesse sfruttato un’occasione giocosa, per esprimere un tema in realtà tragico.
Anche Das Lied von der Erde reca impresso in sé un marchio totale di originalità e di sperimentazione, essendo la forma e la struttura del Lied amplificate fino a trasformarsi nelle articolazioni di una sinfonia tardo-romantica. A parte qualche tentazione di forti volumi sonori, in Mahler il direttore sortisce di nuovo un effetto molto convincente, poiché tutto costruito sull’espressività musicale del testo poetico. Valčuha comprende, in altre parole, che nella sinfonia cantata il ruolo dell’orchestra è innanzi tutto quello di accompagnare e sostenere l’effusione lirica dei versi. L’unico rischio di una lettura così espressivamente analitica è che manchi un tratto conduttore riconoscibile, un respiro unitario che la musica richiede, al di là dei singoli momenti poetico-musicali. A questo proposito, il Lied più complicato da affrontare è il sesto, quello finale (Der Abschied, Il commiato), articolato in due sezioni vocali e in un lungo interludio orchestrale di struggente bellezza. Valčuha, con perfetta aderenza allo spirito del testo di Hans Bethge – in cui un cavaliere al tramonto prefigura il ritorno definitivo alla sua terra – evita di rendere troppo monumentale l’allusione alla morte, arrestandosi a un gesto, ad accenti, a sonorità decisamente sobri. L’espressività si tramuta piuttosto in espressionismo strumentale nell’interludio che precede il finale: un modo, forse anche retorico ma efficacissimo, per evitare le cadenze cimiteriali in cui incorrono alcune esecuzioni.
La parte vocale non è così sorprendente come quella orchestrale: il tenore Dominik Wortig ha voce assai baritonale (e per questo è un po’ in difficoltà con gli acuti, specie nell’irta pagina d’apertura, Das Trinklied von Jammer der Erde, Il brindisi del male della terra); la voce è piccola, certo adatta al repertorio liederistico, ma non in grado di reggere l’orchestrazione di Mahler (soprattutto se il direttore non si preoccupa di coprirla con i volumi sonori dell’orchestra). Se all’inizio il cantante risulta poco espressivo, riesce più persuasivo nel terzo Lied di sua competenza (Der Trunkene im Frühling, L’ubriaco in primavera). Per contro il baritono Markus Werba ha voce assai chiara (i due cantanti sembrano essersi mutuati i registri), ma notevole capacità interpretativa, tecnica ed emissione più sicure. Al termine, comunque, sono entrambi festeggiati dal pubblico, insieme all’orchestra e al direttore, che ricevono un’autentica ovazione.
Il momento più commovente dell’intera esecuzione è nel finale, allorché si riaffacciano in partitura le due arpe, a sottolineare come «Die liebe Erde allüberall / Blüht auf in Lenz und grünt / Aufs neu!» (La cara terra ovunque Fiorisce in primavera e verdeggia Di nuovo!), prima che il baritono ripeta all’infinito «Ewig … ewig …» (Sempre … sempre …), e che la musica si spenga davvero, in un addio alla vita terrena pregno di dignità e di consapevolezza. Foto PiùLuce – OSN RAI Torino