Christoph Willibald Gluck (Erasback, Alto Palatinato 1714 – Vienna 1787)
I lunghi mesi di prove che accompagnarono la prima esecuzione di “Iphigénie en Aulide” e la successiva pausa dovuta al lutto per la morte di Luigi XV consentirono a Gluck di portare avanti anche un secondo progetto teatrale ovvero l’adattamento per il pubblico parigino di “Orfeo ed Euridice” l’opera che nel 1762 aveva segnato il suo più luminoso successo viennese e aveva dato il via al progetto di riforma dell’opera seria. Il passaggio da Vienna a Parigi ha comportato per quest’opera una profonda trasposizione che va ben oltre la semplice traduzione del libretto curata da Pierre-Louis Moline ma si è attuato attraverso una radicale riconsiderazione della partitura nel complessivo.
I lunghi mesi di prove che accompagnarono la prima esecuzione di “Iphigénie en Aulide” e la successiva pausa dovuta al lutto per la morte di Luigi XV consentirono a Gluck di portare avanti anche un secondo progetto teatrale ovvero l’adattamento per il pubblico parigino di “Orfeo ed Euridice” l’opera che nel 1762 aveva segnato il suo più luminoso successo viennese e aveva dato il via al progetto di riforma dell’opera seria. Il passaggio da Vienna a Parigi ha comportato per quest’opera una profonda trasposizione che va ben oltre la semplice traduzione del libretto curata da Pierre-Louis Moline ma si è attuato attraverso una radicale riconsiderazione della partitura nel complessivo.
Se lo schema di fondo – con solo tre personaggi e il coro – rimane analogo a quello viennese la prima e più macroscopica differenza sta nella riscrittura della parte di Orfeo per tenore haute-contre; il gusto francese non amava i castrati che infatti erano di fatto inesistenti nel paese e richiedeva una più rigida corrispondenza fra tipologia vocale e sesso del personaggio limitando al minimo anche i ruoli en-travesti alle semplici parti infantili ed adolescenziali – Amore resta soprano anche in questa versione- e quindi naturale veniva la trascrizione della parte per voce tenorile ed il ruolo così rivisto venne destinato a Joseph Legros con il quale superati i contrasti iniziali si era venuto a creare un rapporto di fertile collaborazione mentre un’altra fra le protagoniste di “Iphigénie en Aulide” il soprano Sophie Arnauld si vide affidato il ruolo di Euridice.
Ma le trasformazioni non riguardarono solo la tessitura del protagonista. Le proporzioni dell’opera vengono a crescere notevolmente per venire in contro al gusto francese per la spettacolarità anche se questo compromette in parte il rigore e la concentrazione emotiva della versione italiana. Vengono aggiunte: Nel primo atto un’aria per Amour – con “pertichini” di Orfeo – “Si les doux accords de ta lyre” che viene di fatto a creare un unico blocco con la successiva “Soumis ou Silence” che di fatto è la semplice versione tradotta di “Gli sguardi trattieni” della versione italiana ed un’aria di Orfée “L’espoir remnait dans mon ame” di taglio marcatamente virtuosistico che viene a chiudere l’atto in sostituzione del più austero e commosso cantabile della versione italiana. Nel II atto viene inserita una nuova e ampia danza delle furie chiamata a chiudere la scena e tratta dal precedente balletto “Don Juan” caratterizzata da un’orchestrazione molto ricca e da un trattamento decisamente virtuosistico soprattutto degli archi mentre nei campi Elisi sono aggiunti in nuovo blocco solistico corale composto intorno all’aria dell’Ombra gioiosa “Cet asile aimable et tranquille” nonché un’ampia sezione di danze mentre nel III si aggiungono un duetto Orfée – Eurydice “Je goûtais les charmes”, un terzetto “Tendre Amour” ricavato da “Paride ed Elena” ed il ballo conclusivo.
Estremamente significative le modifiche sull’orchestrazione. Se alcuni trasferimenti di parte sono dovuti alle trasposizioni di tessitura altrove si riconosce un significativo arricchimento e raffinamento degli impasti orchestrali conseguenza dell’evoluzione avuta dal compositore negli anni trascorsi. Alcuni strumenti furono modificati per venire incontro alla diversa prassi delle orchestre francesi rispetto a quelle viennesi di impostazione italiana mentre rimase l’uso dell’arpa per rappresentare la lira di Orfeo facendone uno dei primi significativi esempi di uso di questo strumento in un’opera francese.
Sul piano della scrittura notiamo due fenomeni differenti che verosimilmente rispecchiano la realtà dei complessi a disposizione. L’intenso lavoro imposto da Gluck nei mesi trascorsi dall’arrivo a Parigi doveva cominciare a dare i primi frutti e il trattamento virtuosistico di alcune sezioni orchestrali – soprattutto gli archi – dimostrano un deciso miglioramento rispetto alle sconfortanti lettere appena successive all’arrivo a Parigi mentre in altre sezioni si notano significative semplificazioni in alcuni passaggi – la parte dei tromboni è ad esempio fortemente ridota – in ragione di limiti esecutivi che dovevano ancora rimanere.
La scrittura orchestrale di Gluck raggiunge in quest’opera vertici assoluti di preziosità e raffinatezza, la capacità di giocare con i timbri degli strumenti, con i chiaroscuri strumentali, con la capacità di evocare strumentalmente situazioni e stati d’animo supera tutto quanto si fosse ascoltato fino a quel momento ma in fondo resta una sensazione di incompiutezza, con tutte le sue raffinatezze questa versione francese non riesce a mantenere quella forza emotiva che la più lineare ma concisa e vissuta versione italiana aveva in tutto il suo sviluppo.
Anche la vocalità subisce alcune modifiche, il rigore della versione italiana in cui il canto era sempre fondato sul valore espressivo della parola lascia qui spazio ad un’impostazione più virtuosistica con il ritorno a passaggi di coloratura in cui le ragioni della spettacolarità del canto tendono a prevalere. Molti dei nuovi brani aggiunti – soprattutto quelli destinati al protagonista – presentano caratteristiche di questa natura e anche in momenti ripresi dalla versione italiana come gli interventi di Orfeo durante la scena delle Furie presentano un andamento più variato e ricco di effetti vocali.
L’opera andò in scena al Théâtre du Palais-Royal il 2 agosto 1774 – precedendo quindi di alcuni mesi il ritorno in scena di “Iphigenie en Aulide” – accolta da un successo convinto e sincero. L’opera si rivelò negli anni seguenti uno dei maggiori successi di Gluck in Francia con quasi trecento repliche fino al 1833. Va inoltre ricordata la fortuna successiva filtrata attraverso rimaneggiamenti più o meno radicali il più noto dei quali è quello realizzato nel 1859 da Berlioz con il ruolo del protagonista riportato ad una vocalità mezzosopranile – destinataria ne era Pauline Viardot – in quattro atti e con fusione di elementi delle versioni di Vienna e Parigi resi poi canonici dalla successiva versione a stampa di Ricordi del 1889.
La trama
La versione parigina non presenta nessuna differenza di trama rispetto all’originale viennese cui si rimandano i lettori eventualmente interessati.
L’incisione
“ORPHÉE ET EURYDICE”
Opéra Tragédie in tre su libretto di Pierre-Louis Moline dal libretto originale di Ranieri de Calzabigi
Opéra Tragédie in tre su libretto di Pierre-Louis Moline dal libretto originale di Ranieri de Calzabigi
Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre du Palais-Royal 2 agosto 1774
Orphée Richard Croft (haute-contre)
Eurydice Mireille Delunsch (soprano)
Amour Marion Harousseau (soprano)
Coro e Orchestra “Les Musiciens du Louvre”
Direttore Marc Minkowski
Registrazione: Poissy, Théâtre de Poissy, Salle Molière, giugno 2002
La registrazione edita dalla Archiv colpisce subito per l’assoluta qualità della componente orchestrale testimoniando, fosse ancora il caso, di come un complesso specializzato di alto livello sappia dare a questa musica un fascino ed una forza vitale impossibile da raggiungere per un’orchestra moderna e qui abbiamo una delle migliori compagini al riguardo ovvero Les Musiciens du Louvre perfetti in ogni sezione e splendidamente guidati dal loro fondatore e direttore stabile Marc Minkowski. Il direttore francese propone infatti una lettura di ammirevole chiarezza stilistica unita ad una forza vitale veramente incontenibile e se è innegabile che Minkowski raggiunga vertici autenticamente esaltanti nei momenti più virtuosistici e furiosi – da ascoltare cosa diventa la danza delle Furie con una direzione di così incontenibile, dionisiaco vitalismo – altrettanto abile e nel gioco di chiaroscuri e di inflessioni nei momenti più compostamente dolenti così che rare volte il lamento sulla tomba di Euridice è stato altrettanto coinvolgente pur nel suo perfetto rigore classico.
Notevole l’Orphée di Richard Croft tenore americano di spicco in questo repertorio. La voce non è particolarmente bella e il timbro pur piacevole è infatti un po’ anonimo di contro però la qualità del canto e il senso dello stile e del fraseggio compensano ampiamente permettendogli di dare del ruolo una lettura perfettamente compiuta. La linea di canto è sempre molto curata, ottimo il controllo del fiato – da ascoltare i passaggi a mezza voce di “J’ai perdu mon Euridice” – ottima la tecnica nei passaggi di coloratura, molto curati accento e fraseggio e se nell’insieme non si raggiunge il fascino incantatorio che i grandi contralti hanno saputo dare alla parte questo non è certo colpa di Croft ma dovuto ad un maggiore realismo della versione tenorile francese che in questo perde di suggestione rispetto all’originaria versione per castrato.
Mireille Delunsch dona ad Eurydice la sua voce morbida e una personalità interpretativa non comune che emerge anche in mancanza della componente visiva così importante per una cantante dalle non comuni doti di attrice come il soprano francese e riesce a dare una non comune verità espressiva al ruolo che emerge in tutta la sua forza nella ricchezza di accenti del duetto con Orfeo all’inizio del III atto. Alla cantante è affidata come da tradizione l’aria “Cet asile aimable et tranquille” con la conseguente identificazione fra Euridice e l’Ombra gioiosa degli Elisi. Completa il cast l’Amour musicale ed elegante di Marion Harousseau. Edizione assolutamente da segnalare