Une étoile oubliée: Sybil Sanderson (Parte V)

La prima versione di Thaïs  fu l’ultima opera la cui première ebbe come protagonista Sybil Sanderson che, non molto tempo dopo, si sarebbe ritirata dalle scene in seguito al matrimonio nel 1897 con il ricco ereditiere cubano Antonio E. Terry per ritornare sulle scene nel 1899, ma senza successo.

Dopo Hérodiade, Manon e Werther ecco un altro capolavoro di Massenet, Thaïs, in tre atti e sette quadri su libretto di Louis Gallet tratto dal famoso romanzo di Anatole France, nel quale la rievocazione della decadenza della civiltà greca si mescola all’era cristiana. Come accaduto per Manon, anche per questo libretto non mancarono le difficoltà di trarre da un romanzo gli elementi più adatti alle scene e consegnare al teatro in un modo rinnovato la toccante e inquietante storia in cui il sentimento prevale sull’elegante scetticismo presente nella versione originale; ciò spiega la conclusione del libretto con la morte di Thaïs. Alle difficoltà di carattere letterario si aggiunsero anche alcune questioni morali che costrinsero il librettista ad evitare situazioni delicate che avrebbero potuto essere censurate. Tuttavia, pur non essendo stata pronunciata alcuna condanna da parte della Chiesa, l’opera fu tacitamente messa all’indice soprattutto dalle donne dell’aristocrazia e dell’alta borghesia per paura di essere giudicate male. Incurante di questi problemi e affascinato dalla figura di Thaïs, Massenet accettò con entusiasmo il libretto pensando, per il ruolo della protagonista, a Sybil Sanderson, impegnata in quel periodo con Manon all’Opéra-Comique. Il compositore iniziò a lavorare con il suo solito fervore nella primavera del 1892 durante un soggiorno a Neufchâtel-sur-lès-Semere e terminò l’opera nella sua casa di Parigi a Natale. Thaïs era pronta per il suo debutto sulla scena, ma un altro problema turbò profondamente Massenet; egli aveva scritto l’opera per essere rappresentata all’Opéra-Comique, ma nel frattempo la Sanderson aveva firmato un contratto con Gailhard, direttore dell’Opéra senza informare Carvalho, per cui con grande sorpresa il compositore fu costretto ad accettare la messa in scena all’Opéra e anche le accuse di ingratitudine da parte di Carvalho. Thaïs andò in scena il 16 marzo 1894 con Sybil Sanderson (Thaïs), Jean-François “Francisque” Delmas (Athanaël)[1], Alvarez (Nicias), François Delpouget (Palémon), Laure Beauvais (Albine), la ballerina Rosita Mauri, diretti da Paul Taffanel, suscitando l’entusiasmo del pubblico, ma si dimostrò alquanto fredda la stampa che solo col tempo incominciò ad abbandonare i propri scrupoli forse grazie alla famosa Méditation. Charles Darcours, nella sua recensione su «Le Figaro», criticò l’opera negando che ci fossero delle pagine ispirate:
“È probabile che la partitura di Thaïs sarà oggetto delle critiche a cui, dopo l’effetto della rappresentazione, il compositore deve essere il primo ad attendersi. Il signor Massenet, del resto, ha abbastanza spesso trovato il successo, ed è un artista di un troppo incontestabile valore perché la verità non gli sia dovuta. Ciò che si rimprovera all’opera nuova, è, nel suo insieme, di mancare di rilievo. Il signor Massenet è talmente padrone del suo pensiero e della sua scrittura che egli fa sempre la «musica che vuole». Si preferirebbe vederlo commettere di tanto in tanto qualche errore, che riscatterebbe grazie a uno di questi slanci di cui non si è padroni. Ci sono delle pagine ispirate in Werther – suo capolavoro, forse – non se ne incontrano in Thaïs dove tutto è bene, ma della quale nessuna parte si stacca con potenza. Forse la produzione del signor Massenet è troppo frettolosa e costringe la sua ispirazione a un colore troppo regolare. Al di là delle ripetizioni della formule delle quali non gli faremmo un crimine, poiché chi non ha delle formule? – Gounod, Schumann, Wagner in persona hanno le loro – ma quando queste ripetizioni si legano al carattere stesso della melodia, arrivano talvolta a rasentare la reminiscenza. […] Malgrado queste restrizioni, non bisognerà credere che le pagine affascinanti siano rare nell’opera nuova. Il primo quadro tutto intero, il riposo dei Cenobiti e la scena di Athanaël si allontanano, mentre i frati pregano per lui – è un piccolo poema completo e di un colore raffinato […]. L’aria di Thaïs: «O mon miroir fidèle» è la perla della partitura. La Méditation, che precede il terzo quadro del secondo atto con un assolo del violino meravigliosamente suonato dal signor Berthelier è una pagina sinfonica di primordine e che ha fatto scoppiare gli applausi in tutte le parti della sala”[2].
Dello stesso tono è la recensione di Fourcaud su «Le Gaulois»:
“Non importa! Anche in questa insufficiente e superficiale disposizione del libretto la musica avrebbe potuto essere grande, almeno nelle scene principali tra la cortigina e Athanaël. Essa non lo è affatto. Il signor Massenet è, certamente, un musicista tra i migliori dotati, tra i più abili. Ha più qualità di quante gliene siano necessarie per fare dei capolavori. Cosa gli manca? – Due   virtù: la semplicità di spirito che si raccoglie di fronte alle manifestazioni umane condensate in una finzione, e la dimenticanza del pubblico. La sua ricerca dell’effetto è costantemente percepibile. Desiderio di piacere, desiderio di stupire: è tutta una cosa. Ignoro i suoi modi pratici di procedere; lo vedo solamente troppo preoccupato del lato esteriore del dramma. Che egli si serva o no dei leit-motive, le sue scene sono meschinamente costruite, con contrasti voluti e sottolineati, senza un alto punto di vista musicale, senza una chiara coscienza dei punti culminanti. La sua arte si prende cura di passi buoni per l’applauso e lo sollecita. Il plaudite, cives, è diventato la sua ossessione. Non gli rimprovero il fatto che egli sia un wagneriano: è molto di più di quanto non lo confessi e che me lo si dica. È da Wagner che ha tratto i motivi conduttori, la forma generale delle scene e l’idea stessa degli episodi sinfonici narrativi che egli ha preso l’abitudine, dopo Esclarmonde, di inframmichiare nelle sue partiture. Gli rimprovero piuttosto, in fondo, di chiedere al maestro di Bayreuth degli artifici, quando le vere lezioni dell’autore di Walkyrie, assimilabili a tutti i temperamenti, portano, essenzialmente, all’unità del dramma, considerata dall’interno all’esterno […]. Non mi lamento con il signor Massenet del suo italianismo alla Verdi. Guardate, specialmente, l’ultima scena di Thaïs. Non tengo conto delle impressioni alla Gounod che egli prodiga. Tutto questo eclettismo, mischiato con una trascuratezza di pensiero, ci troverebbe indulgenti se avessimo davanti ai nostri occhi una vera costruzione drammatica. Ma abbiamo solo dei rivestimenti di melodie e di sinfonie più o meno ingegnose, più o meno felici su situazioni date. Detto in un altro modo, non è l’edificio che si mostra agli occhi: è il suo ornamnento[3]”.
Diversa fu l’impressione suscitata dall’opera in Henry Bauer, il critico de «L’Échos de Paris», che, a differenza dei suoi colleghi, non notò in Massenet la ricerca di effetti di facile presa sul pubblico:
“Questa Thaïs parigina è dipinta con i colori di una musica leggera e delicata, marcata con eleganza e grazia. Discretamente sorridente e beffarda all’ingres-so della cortigiana, essa si avvale di accordi estasianti, mormora le sue tenerezze e le sue voluttà, piene di promesse nel duetto con Athanaël e si tinge di dolcezza ineffabile, di un torpore delizioso durante l’intermezzo nella salita dell’adorabile canto del violino che freme come un bacio di grazia sugli occhi di Thaïs toccata dalla nuova fede. Raffinato per la leggerezza e la morbidezza sensuale, il tipo musicale trova la sua compiutezza nella cantilena sulla statuetta di Eros, di una malinconia così distinta, di un sentimento così fine, di una dolcezza, Ah! Quanto penetrante! È il passo più affascinante di tutta l’opera […]. Grazie a questa visione ingegnosa e precisa del maestro, Thaïs è la sorella di Manon; ella trae dalla sua cara sorella un’intera aria per il suo specchio […]. Bisogna essere grati inoltre al signor Massenet per non aver concesso troppo agli effetti facili come era solito[4]”.
Le critiche eccessivamente severe da parte della stampa indussero Moreno su «Le Ménestrel», settimanale pubblicato dall’editore di Massenet, Henri Heugel, a scrivere una difesa dell’opera:
“Liberata dagli stranieri danarosi di aria equivoca, dai politici, dagli snob, dai vecchi dilettanti e anche dai troppo giovani che la affollavano alla prova generale, Thaïs prosegue, davanti a un pubblico di buona fede, la sua tranquilla e luminosa carriera. Tre rappresentazioni nella settimana santa confermano già il suo successo in sale troppo emozionate e che si lasciano andare alle loro impressioni. D’altra parte, i musicisti veri e gli artisti riconoscono, senza farsi pregare, di essere di fronte a una delle opere più strane che si siano sentite in questi ultimi anni, libera di forma e di pensiero. Allora, che pensare delle critiche acerbe che una parte della stampa gli ha indirizzato? Mio Dio, bisogna ben dirlo, è che una una parte dei nostri musicografi, quelli stessi che si supponga siano eminenti, è composta solamente da mezzi-ignoranti, i peggiori, e che l’altra è formata da passione e partito preso. Andate dunque a persuadere i nostri wagneromani che si possa scrivere della musica dopo Tristano e che soprattutto dell’altra musica! Non bisogna pensarci su. È come se si volesse servire degli ortolani o il chiaro vino della Gironda a persone rimpinzate di crauti e di birra di Monaco[5]”.
L’interessata difesa d’ufficio di Moreno nasconde, tuttavia, una verità: la novità formale dell’opera, chiamata dal critico strana per ironizzare sui giudizi dei suoi colleghi, ma che ne rappresenta uno degli aspetti costitutivi e una delle ragioni del suo successo. Furono necessari quindici anni a Thaïs per raggiungere la sua centesima rappresentazione celebrata nel mese di maggio 1909, ma, solo dopo la morte di Massenet, essa entrò definitivamente nel repertorio soprattutto all’Opéra. Nel frattempo il compositore nel 1898 aveva rivisto interamente la partitura apportando notevoli modifiche che, come notato da Modugno, se da una parte contribuirono a darle maggiore equilibrio, dall’altra la trasformarono in un lavoro più convenzionale[6], ma più vicino sia ai gusti del pubblico che a quelli della stampa. In particolar modo il compositore Alfred Bruneau su «Le Figaro», pur mostrando qualche perplessità sul balletto composto per questa versione, apprezzò il nuovo tableau Oasis, con cui si apre l’atto terzo[7], mentre il critico di «Le Gaulois» espresse il suo apprezzamento anche per il balletto[8].

L’opera
La trama
All’apertura del sipario si offre al pubblico la vita tranquilla e felice che si svolge in un monastero di cenobiti dediti, dopo la cena, alla preghiera. In quel momento appare Athanaël di ritorno da Alessandria, stanco e sconvolto per lo spettacolo peccaminoso a cui ha assistito la sua anima e soprattutto perché fra le cortigiane ha riconosciuto una sua compagna di infanzia, Thaïs. Decide allora di ricondurla sulla via del bene nonostante il suo saggio amico Palémon cerchi di distoglierlo per paura che possa cadere nelle insidie del demonio. Durante la notte Athanaël sogna Thaïs seminuda che, davanti a una folla acclamante, mima gli amori di Venere. Svegliatosi, implora il Signore a favore della peccatrice che vuole salvare a tutti i costi nonostante i consigli dell’amico. Giunge così ad Alessandria, la città dei piaceri, e trova ospitalità nella casa di Nicias, al quale chiede di poter essere presente alla festa a cui parteciperà Thaïs. Vestito di porpora e assunto un aspetto da uomo di mondo, si mescola ai convitati e prende parte al banchetto suscitando la curiosità di Thaïs. Rimasti soli, egli non perde tempo ad esortare la giovane a cambiare vita per la sua salvezza rivelandole le pene dell’Inferno, ma Thaïs gli risponde mimando in modo lascivo gli amori di Venere. Pur infuriato, Athanaël non rinuncia alla sua missione e va a trovare a casa sua Thaïs alla quale continua a parlare dell’amo-re divino, della verità eterna e della felicità celeste, ma la giovane gli risponde cantando dolcemente gli splendori del culto di Venere. Egli allora mostra il suo cilicio e continua a parlare della felicità del Paradiso e delle pene dell’Inferno. Rimasta sola, Thaïs si abbandona ai suoi pensieri accompagnati da un espressivo interludio; qui incomincia la famosa Méditation. Finita la melodia, la donna esce dalla casa e si dirige verso Athanaël seduto a terra nella piazza di Alessandria e gli comunica che è pronta a cambiare vita. Il monaco le ordina allora di distruggere tutto ciò che riguarda il suo passato tra cui la casa e i suoi tesori per entrare in un monastero. Mentre si scatenano le danze sulla piazza, appare sulla soglia della casa di Thaïs Athanaël con una torcia in mano dichiarando che la donna appartiene ormai a Dio e in quel momento essa esce vestita con una tunica di lana pronta a seguirlo senza ascoltare le suppliche di Nicias e dei suoi amici, mentre le fiamme incominciano a bruciare la casa. Si avviano così verso il deserto dove si trova il monastero della badessa Albine che accoglie amorevolmente la giovane penitente. Athanaël ritorna allora al suo monastero, ma è turbato e non fa altro che sognare la giovane in mezzo ai piaceri. Poi la visione cambia e sente delle voci che gli annunciano la vicina morte di Thaïs. Sperando di trovarla ancora in vita, Athanaël si precipita al monastero di Albine e dice alla giovane morente parole di amore terreno, mentre lei vede già la felicità divina vicina e, quando egli pronuncia la frase Rien n’existe au prix de la vie et de l’amour, Thaïs ascolta soltanto musiche celestiali e muore lasciando nella disperazione l’uomo che l’aveva salvata.

L’analisi musicale

Thais Es. 1Delle due versioni approntate da Massenet sarà analizzata in questa sede la seconda che si è affermata nel repertorio. Il primo quadro dell’atto primo, La Thébaide, che nella versione originaria era l’unico dell’intero atto, introduce il pubblico nelle capanne dei cenobiti sulle rive del Nilo. L’orchestra dà vita ad un’atmosfera mistica con gli strumenti che si aggiungono progressivamente in un pianissimo. Su un tema esposto inizialmente dai violoncelli (Es. 1), semplice e conciso, ondulante come il calmo movimento delle acque del Nilo e, al tempo stesso, esotico per il suo carattere modaleggiante, i cenobiti consumano una frugale cena, mentre Palémon recita una preghiera alla quale i monaci rispondono con un salmodiare mormorato.
Thais Es. 2Si avanza Athanaël, introdotto dal Leit-motiv (Es. 2), che lo caratterizzerà in tutta l’opera e che è strutturato su una settima diminuita carica di tensione, come il suo animo tormentato, mentre Hélas! Enfant encore, nella quale rievoca il suo incontro con Thaïs, è un’arietta tripartita stilizzata piuttosto semplice e convenzionale.
La prima visione di Athanaël, nella quale l’uomo vede Thaïs che mima gli amori di Afrodite nel teatro di Alessandria, è un piccolo capolavoro per la sua concezione scenica e strumentale con un’orchestra dans les coulisses, formata dal flauto, dal corno inglese, dal clarinetto e dall’arpa, delicatamente accompagnati da un har-monium, che eseguono una musica esotica tutta giocata su triadi aumentate e su di-segni avvolgenti (Es.3)
Thais Es. 3Destatosi dalla visione e ringraziato Dio per avergli fatto comprendere la sua missione, Athanaël parte dopo essersi congedato dai Cenobiti. Posto originariamente all’inizio del secondo atto e in seguito trasferito al primo, il secondo quadro si svolge ad Alessandria, rappresentata in un breve ma significativo preludio con colori orchestrali lussureggianti e, al tempo stesso, ammalianti che cercano di affascinare con il loro carattere seducente Athanaël. L’uomo ne respinge le seduzioni producendosi nell’arioso Voilà donc la terrible cité!, ma queste sembrano non lasciare la sua mente materializzandosi nei disegni melodici del preludio affidati all’orchestra che lo Thais Es. 4accompagna. Annunciato dai vocalizzi di Crobyle e Myrtale, giunge Nicias che instaura con Athanaël un lungo duetto quasi in forma di recitativo puntellato da incisi orchestrali. La successiva apparizione di Thaïs è una vera e propria epifania profana con le commedianti, gli istrioni e i filosofi che la invocano, mentre una musica di marcia, di carattere frivolo (Es. 4), rappresenta perfettamente l’ambiente in cui vive la donna che si presenta con un vaga frase C’est Thaïs, l’idole fragile qui vient pour la dernière fois. Thais canta una forma di duettino-recitativo con Nicias costruito su un’armonia anch’essa vaga e senza punti fermi.
Thais Es. 5Un breve preludio strumentale, costruito sul tema della marcetta già sentito nel primo atto, introduce il pubblico nella casa di Thaïs, dove la donna, sola e delusa dal mondo che la circonda, intona la famosa aria dello specchio (Air du miroir), Dis-moi que je suis belle, nella quale molti critici hanno visto notevoli somiglianze con alcuni passi di Manon. Dopo una breve introduzione nella forma dell’arioso dalla languida scrittura cromatica, la vera e propria aria, anch’essa scritta secondo lo stile dell’arioso, presenta una struttura tripartita con un andamento ritmico piuttosto libero e passi in declamato; l’aria mostra la perfetta adesione della musica al testo esprimente il tormento della protagonista per la bellezza che col tempo sfiorisce. Con l’arrivo di Athanaël prende avvio un duetto di vaste proporzioni, durante il quale l’uomo cerca di convertire Thaïs pur essendo soggiogato dalla sua bellezza. All’inizio Athanaël prega Dio (Seigneur!… Seigneur!), affinché lo preservi da un’ambigua passione per la donna che vorrebbe fare oggetto di un amore cristiano, ma alla cui bellezza non riesce a resistere. Il vero attacco del duetto corrisponde alle parole On dit que nulle femme ne t’égale, pronunciate da Athanaël nella speranza di convertire Thaïs la quale risponde in modo provocatorio, mentre il monaco esplode in tutto il suo furore religioso alle parole, Je suis Athanaël, al punto da impaurire la giovane donna che alla fine esclama Je reste Thaïs. Tra il primo e il secondo quadro è inserita la pagina più famosa dell’opera, quella Méditation religieuse, formalmente una romanza per violino e orchestra dalla struttura tripartita, il cui tema si distingue per la sua ampiezza melodica e per lo spiccato lirismo (Es. 5). È una musica che scava nell’anima di Thaïs e di chi l’ascolta.
Nel secondo quadro, gli echi di una musica orientale fanno da sfondo alla conversione della donna che, dopo aver dichiarato di essere stata colpita dalle parole di Athanaël, intona un brevissimo canto di addio alla statuetta di Eros. È una piccola aria tripartita dalla melodia caratterizzata da un accentuato lirismo e interrotta da Athanaël. Subito dopo giungono Nicias e i suoi amici che, annunciati da un tema frivolo, costituiscono l’unica motivazione per il balletto, una pagina affascinante e deliziosa nonostante la sua presenza appaia avulsa dal contesto e giustificata soltanto dall’adesione al genere del Grand-Opéra. Di grande fascino è l’intervento, nel sesto numero, della charmeuse, una forma di alter ego della protagonista, che attrae l’at-tenzione del pubblico con i suoi vocalizzi. Il quadro si conclude con la fuga di Thaïs e di Athanaël.
Il primo quadro dell’atto terzo, Oasis, che costituisce l’altra aggiunta di Massenet nella seconda versione dell’opera, si apre con un preludio estremamente raffinato nelle scelte timbriche e soprattutto simboliche con l’esotico tema iniziale affidato all’oboe e accompagnato da un’armonia non ambigua grazie alle appoggiature che “sporcano” l’accordo tonale di fa minore , con un tema corale per terze, esposto dai clarinetti, che evoca i monaci, e infine, con un tema che allude al mormorio dell’acqua e alla nuova vita pura di Thaïs.
Punto culminane del quadro è, tuttavia, il duetto tra Thaïs e Athanaël Baigne d’eau mes mains dove la consonanza di sentimenti tra i due protagonisti trova la sua espressione nel procedere omoritmico delle due voci. Nel quadro successivo, La Thébaïde, ritorna, già introdotto all’inizio dell’opera, il clima austero nel quale si insinua il tarlo della tentazione, la cui rappresentazione costituisce il punto culminante della scena nella prima versione grazie ad una fusione perfetta tra musica, testo cantato e coreografia. In entrambe le versioni Athanaël sogna Thaïs che intona, come nel primo atto, Qui te fait si sévere, provocando ancora il monaco in una musica più insinuante e inquietante resa da una diversa scrittura orchestrale. Successivamente le due versioni differiscono, dal punto di vista scenico, in quanto quella del 1894 ritrae Thaïs redenta, sdraiata su un letto di porpora, mentre in quella del 1898 la protagonista giace immobile all’ombra di un grande albero nel giardino del monastero di Albine; non disseriscono, però, dal punto di vista musicale perché in entrambe vi è il canto delle suore bianche che intonano, in una scrittura quasi mistica, Une sainte è près de quitter la terre, /Thaïs d’Alexandrie va mourir! Queste ultime parole gettano nella più profonda disperazione Athanaël che corre dalla donna amata, mentre l’orchestra dà vita ad una pagina agitatissima che si conclude con la ripresa, da parte del primo flauto, del tema di Méditation che anticipa l’atmosfera mistica dell’ultimo quadro con le monache che pregano sommessamente. Un nuovo fremito orchestrale introduce Athanaël che dà vita con Thaïs al vibrante ed emozionante duetto conclusivo nel quale si assiste a due dimensioni totalmente diverse: quella spirituale di Thaïs, la quale, spirando, afferma Je vois Dieu, e quella di Athanaël, che, preso dalla passione carnale per la donna, non riesce a vedere la vita oltre la morte e alla fine grida Morte! Pitié! In tutto il duetto si erge il sublime canto di Méditation che sembra accompagnare in cielo Thaïs morente, concludendo un’opera di grande fascino che meriterebbe, anche nella prima versione, maggiore spazio nei teatri.

[1] A proposito della performance della Sanderson e di Delmas, Moreno scrisse nella sua recensione uscita su «Le Ménestrel» (ann. 60, n. 11, 18 marzo 1894, p. 83: «L’interpretazione è stata del tutto superiore da parte della signorina Sibyl Sanderson e del signor Delmas. Il talento e la voce della prima sembrano essersi duplicati dopo Phryme. Il suo organo, che appariva esile all’Opéra-Comique, ha preso un’ampiezza inattesa, e si può dire che in questa sala immensia dell’Opéra non si perde una delle sue note, una delle sue parole. Ha cantato dunque con infinito talento. Quanto alla donna, è sempre meravigliosa, d’una eleganza e di una seduzione irresistibili quando giunge da Nicia, avvolta nel suoi veli così morbidi che gli danno l’aria di una statua raffinata di Tanagra; più bella ancora quanto toglie questi veli, di una bellezza da fare dannare tutti i santi del Paradiso. Il povero Athanaël a maggior ragione è completamente scusato. Il signor Delmas ha anche lui degli accenti superbi, una grande maniera di fraseggiare e con i movimenti di un attore». Anche Charles Darcours nella sua recensione per «Le Figaro» (17 marzo 1894, p. 3) manifestò tutto il suo compiacimento per l’inattesa performance della Sanderson ed elogiò Delmas: «La signorina Sanderson faceva il suo debutto all’Opéra nel ruolo di Thaïs: è stata perfetta e quasi inattesa: si temeva che la sua voce fosse troppo debole per lo spazio vasto; essa è sembrata svilupparvisi, al contrario, più largamente che all’Opéra-Comique. La cantante ha detto con un’adorabile civetteria tutte le capricciose melodie del suo ruolo […]. Quanto alla scena della morte, l’ha cantata e recitata con una dolcezza e con una semplicità che hanno causato una profonda impressione. Questa sera è stato un grande successo personale per la signorina Sybil Sanderson, che è stata chiamata più volte con acclamazioni. Il signor Delmas, incaricato del ruolo di Athanaël, l’ha composta e cantata da maestro e merita ogni elogio. Noi dobbiamo, tuttavia, segnalargli l’esagerazione di una qualità della quale egli mancherebbe; accentua talvolta le parole con un’affettazione imbrazzante. È poca cosa da correggere».

[2] Charles Darcours, Thaïs, in «Le Figaro», 17 marzo 1894, p. 3.

[3]L. de Fourcaud, Thaïs, «Le Gaulois», 17 marzo 1894, p. 3.

[4] H. Bauer, Thaïs, «L’Écho de Paris», 18 marzo 1894, p. 3.

[5] H. Moreno, Notes et impressions sur Thaïs, in «Le Ménestrel», ann. 60, n. 12, 25 marzo 1894, p. 90.

[6] M. Modugno, Op. cit., p. 209.

[7] A. Bruneau, Le ballet et le tableau nouveaux de Thaïs, in «Le Figaro», 14 aprile 1898, p. 4: «Preferisco il quadro nuovo, Oasis, dove è richiamato l’affascinante racconte del doloroso pellegrinaggio di Paphnunce e di Thaïs, al monastero di Albine, e della tappa dei viaggiatori sotto gli alberi freschi del deserto. Noi abbiamo così il duetto calmo, contemplativo e tenero che, preparando la scena finale, smarrita e appassionata, mancava fino ad ora alla pièce, e ciò ci vale una di quelle frasi carine e languide di cui si dice comunemente che appartengano al buon Massenet».

[8] Reprise de Thaïs, in «Le Gaulois», 14 aprile 1898, p. 3: «Infine da molte settimane già l’Opéra preparava la ripresa di Thaïs, e l’opera ha ripreso ieri sera il suo posto nel rerpetorio, nel sua cornice scenografica, nei suoi costumi abbaglianti del sole dell’Oriente. Essa rappresenta nel suo insieme, con la sua interpretazione di primodine, con la sua impeccabile esecuzione, uno spettacolo fiabesco, completamente pieno di emozioni che ci piace incontrare a teatro. I corrieri di teatro hanno raccontato che il signor Massenet aveva aggiunto alla sua opera un nuovo balletto e un quadro completo ancora inedito. Il balletto è delizioso. È collocato nel secondo atto. Abbiamo applaudito qui un divertissement incantevole per la signorina Zambelli, e in cui gli occhi e le orecchie sono affascinanti nello stesso modo».

La presente guida all’ascolto è tratta dal libro di Riccardo Viagrande, Jules Massenet. Les tribulations d’un auteur, Casa Musicale Eco, Monza, 2012, pp. 106-116 Si ringrazia l’editore per aver concesso la pubblicazione di questo estratto.