Venezia, Teatro La Fenice: Concerto di Capodanno 2015

Venezia, Teatro La Fenice
Concerto di Capodanno 2015
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

Direttore Daniel Harding
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Soprano Maria Agresta
Tenore Matthew Polenzani
Ludwig van Beethoven: “Die Weiche des Hauses” (La consacrazione della casa) Ouverture, op. 124; Sinfonia n. 8 in fa maggiore, op. 93
Gioacchino Rossini: “La gazza ladra” –  Sinfonia
Gaetano Donizetti: “Lucia di Lamermoor”- “D’immenso giubilo”
Giacomo Puccini: “La Bohème”-  “Che gelida manina”- “Mi chiamano Mimì” – “O soave fanciulla”
Nino Rota: “Napoli Milionaria”- Boogie-woogie
Amilcare Ponchielli: “La Gioconda”- Galop dalla “Danza delle ore”
Giuseppe Verdi: “Luisa Miller” –  “Come le sere, al placido”
“La Traviata” – “Sempre libera degg’io”
“Nabucco” – “Va pensiero sull’ali dorate”
“La Traviata” –  “Libiam ne’ lieti calici”
Venezia, 30 dicembre 2015     
Rose ed orchidee gialle, insieme ad altri fiori e a stelle filanti d’argento, addobbavano, in un tripudio di colori e di freschezza, il palcoscenico del Teatro La Fenice, in occasione della dodicesima edizione del Concerto di Capodanno: sul podio Daniel Harding, già protagonista dell’edizione 2010-2011; solisti di canto, il soprano salernitano Maria Agresta,  recente protagonista del Simon Boccanegra, che ha aperto la corrente stagione lirica del teatro veneziano –, e il tenore americano Matthew Polenzani.
Nella prima parte del concerto, che come nelle precedenti edizioni era esclusivamente strumentale, l’orchestra si è cimentata in due brani beethoveniani: l’ouverture Die Weihe des Hauses (La consacrazione della casa) op. 124 e la Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93. Un Beethoven davvero austero quello offerto da Harding, che ha puntato alla sintesi formale imponendo tempi alquanto stretti e sonorità piuttosto decise con marcate contrapposizioni dinamiche, in una lettura scarna e, per così dire, oggettiva delle due composizioni del sommo Maestro di Bonn; una lettura, che nel contempo ne metteva in risalto – soprattutto per quanto riguarda l’Ottava – gli aspetti parodistici e giocosi. Nella Consacrazione della casaun’opera, composta nello spirito di Händel nel settembre 1822 su commissione di Carl Friedrich Hensler, il direttore del rinnovato Theater in der Josefstad a Vienna, ed eseguita per la riapertura del teatro medesimo il 3 ottobre 1822 – Harding, sorretto da un’orchestra a dir poco impeccabile, ha quasi esasperato il carattee marziale e festoso, che progressivamente potevale nell’ouverture, dopo un inizio solenne e drammatico. Nell’Ottava sinfonia – composta circa un decennio prima – il ritorno al passato, cioè ad Haydn e Mozart, dopo l’originale potenza creativa caratterizzante le tre sinfonie precedenti, si traduce in una tendenza a giocare con le forme tradizionali non senza una buona dose di umorismo. Nel primo movimento (Allegro vivace e con brio), che si apre con un primo tema gaiamente accattivante, Harding ha portato analogamente all’estremo la provocante asciuttezza ritmica del secondo, costituito da un doppio salto di ottava, evidenziando fortemente un certo suo carattere meccanico, oggettivo; il che si è percepito anche nel successivo Allegretto scherzando. Una meccanicità parodistica si è colta anche nel finale (Allegro vivace), che riprende Haydn pur con originalità di invenzioni trattate con sublime maestria compositiva.
Maria Agresta e Matthew Polenzani sono stati, quindi, protagonisti di un ampio stralcio dalla parte finale del primo quadro della Bohème di Puccini: “Che gelida manina”, “Mi chiamano Mimì” (le poetiche autopresentazioni di Rodolfo e della sua eterea vicina), e l’a due “O soave fanciulla”. Entrambi gli interpreti hanno brillato per padronanza tecnica, chiarezza del fraseggio, appassionata espressività.
La seconda parte del concerto  (quella  trasmessa in diretta da Rai 1 e da altre varie emittenti europee )– era dedicata al melodramma, aprendosi con la Sinfonia della Gazza ladra di Gioachino Rossini, eseguita con magistrale chiarezza. Le ha fatto seguito “D’immenso giubilo” dal terzo atto della Lucia di Lammermoor, dove il coro ha cantato in perfetto accordo con l’orchestra, nonostante la stringatezza agogica di Harding. Poi con un notevole salto nel tempo, ci siamo immersi nel Boogie-woogie dell’eclettica Napoli milionaria, ultimo lavoro composto per il teatro lirico da Nino Rota, dall’omonima commedia di Eduardo De Filippo. In questa danza frenetica di soldati americani insieme a ragazze napoletane, che diventa simbolo di una certa corruzione dei costumi partenopei a causa della guerra, Harding e l’orchestra hanno saputo aderire con spigliatezza al clima evocato da Rota, che spazia attraverso il repertorio americano – dal jazz al musical, da Gershwin a Bernstein – contaminandolo con citazioni dalle proprie colonne sonore. Assolutamente travolgente e nello stesso tempo, stringata e precisa, la lettura del pezzo successivo, il celeberrimo scatenato Galop dalla Danza delle ore della Gioconda, in cui ancora una volta è emerso appieno il gusto per la parodia nei confronti di un’opera che è una summa del romanticismo macabro e satanico.
Altro cambio di atmosfera con Luisa Miller (1849), una tragedia romantica d’amore e morte, in cui Verdi, accantonate le aspirazioni risorgimentali, si concentra sul dramma interiore dei singoli personaggi: “opera da tenore”, secondo la definizione del compositore, e al tenore è affidata non a caso la pagina più celebre (“Quando le sere, al placido”). Anche qui, come prima nello squarcio dalla Bohème, Harding si è dimostrato un direttore sensibile ed attento alle esigenze del canto accompagnando il solista con garbo e raffinatezza e mettendo in rilievo la delicata bellezza dell’orchestrazione. Quanto al tenore la sua interpretazione è apparsa appassionata, ma anche misurata, grazie ad un buon controllo della voce di pasta omogenea, liricamente adeguata ad esprimere il clima nostalgico dell’aria.
Brillante nelle non facili scollature, che sprizzano effimera gioia, quanto vagamente pensosa di fronte all’idea di un “serio amore”, Maria Agresta nella tradizionale – per questi concerti – “Sempre libera deggi’io” dalla Traviata, che ha letteralmente soggiogato il pubblico. Analogamente Harding ha diretto con gesto leggero l’altrettanto tradizionale “Va’ pensiero” dal Nabucco, dove il coro, come sempre ottimamente istruito dal Maestro Moretti, ha sfoggiato precisione nel fraseggio e una cantabilità fondata su un’emissione mai eccessiva e su un seducente legato. In chiusura – sempre come d’abitudine – il festoso, augurale brindisi dalla Traviata. Successo caloroso per tutti. Foto Michele Crosera