“Hänsel und Gretel” trionfano al Teatro Real di Madrid

Alice Coote e Sylvia Schwartz

Teatro Real de Madrid – Temporada 2014-2015
“HÄNSEL UND GRETEL”
Opera fiabesca in tre atti su libretto di Adelheid Wette, dall’omonimo racconto dei fratelli Grimm
Musica Engelbert Humperdinck
Peter BO SKOVHUS
Gertrud DIANE MONTAGUE
Hänsel ALICE COOTE
Gretel SYLVIA SCHWARTZ
La strega di marzapane JOSĖ MANUEL ZAPATA
Il nano sabbioso ELENA COPONS
Il nano rugiadoso RUTH ROSIQUE
Orchestra e coro del Teatro Real di Madrid
Pequeños Cantores de la JORCAM
Direttore Paul Daniel
Maestro del coro Andrés Maspero
Maestro del coro di voci bianche Ana Gonzáles
Regia e costumi Laurent Pelly
Scene Barbara de Limburg
Luci Joël Adam
Produzione del Festival di Glyndebourne
Madrid, 7 febbraio 2015

Freschezza, spontaneità, vitalità. Ecco con quali caratteri si può sintetizzare lo spettacolo che Laurent Pelly portò sulle scene del Festival di Glyndebourne nel 2008, ora ripreso dal Teatro Real di Madrid. E dopo sette anni – che nella storia delle regie d’opera sono un periodo lunghissimo – l’allestimento si conserva nuovo e convincente. In primo luogo perché diverte molto; della fortunatissima favola di Hänsel e Gretel, infatti, a Pelly non importa l’aspetto morale (meno ancora quello religioso, su cui invece insiste il finale del libretto di Adelheid Wette), perché preferisce quello narrativo, vale a dire una storia con due bambini come protagonisti. Nel corso dei tre atti, dunque, la regia fa di tutto perché non venga mai meno la dimensione infantile dei soggetti: sembra un’ovvietà, ma non lo è affatto. Per l’intera durata dell’opera il pubblico – senza quasi accorgersene – vede due artisti che saltano, ballano, giocano, scherzano in continuazione, fanno capriole, ridono, si abbuffano e naturalmente cantano; ma la gestualità e i movimenti dei due personaggi, ancor prima del canto e del rispetto di quanto la musica richieda, restituiscono due bambini nella loro inesauribile vitalità. Paul Daniel, il direttore d’orchestra, coopera a tale impostazione registica, nell’assunto di accompagnare con grande precisione soprattutto i duetti dei fratellini (anche senza esaltare troppo la dimensione strumentale della wagneriana scrittura di Humperdinck); tutto, insomma, determina che il vero protagonista dell’opera sia il bambino, sempre animato dalla furia del gioco e della spensieratezza. Ecco perché lo spettacolo risulta tutto fresco, spontaneo, vitale, oltre a reinterpretare l’antica fiaba in uno spirito consono alla società del XXI secolo. Hänsel und Gretel di Humperdinck, infatti, restano pur sempre congegnati come “dramma musicale”, la cui struttura narrativa guarda al modello wagneriano; e come in Wagner, anche nell’opera-fiaba (Märchenoper ) tutto tende alla peripezia del III atto, ossia l’incontro con la strega di marzapane. Appunto nel III atto l’idea registica di Pelly raggiunge lo sviluppo completo, quale parodia del consumismo occidentale, del mondo come immenso mercato, del rapporto tra adulti e bambini come dettato esclusivamente dal tornaconto commerciale. Le scene, una per atto, sono molto stilizzate oppure decisamente innovative, ma comunque sempre coerenti all’impianto complessivo di fondo; la casa dove i bambini e i loro genitori vivono è un grande scatolone di cartone, con pareti divisorie interne e finestre; ma è un cartone gualcito e consunto, ricorda subito l’esistenza degradata di banlieue e di bidonville di oggi (come conferma l’abbigliamento iper-realistico dei quattro personaggi); stilizzata è la foresta del II atto, i cui alberi sono nudi tronchi sbilenchi che non ricordano affatto piante, ma gigantesche stecche di cannella (cui si aggiunge la desolazione dei sacchetti d’immondezza appesi ai rami). Pelly non vuole stravolgere l’opera, bensì adeguarla alle predilezioni dei bambini di oggi. I quali farebbero follie non per dolcetti di marzapane, ma per i luccicanti prodotti di un moderno supermarket. E allora la casa della strega, nel III atto, è sì una casetta con comignolo fumigante, ma costruita da cumuli di scaffali e ripiani, colmi di caramelle, biscotti, cioccolatini, creme dolci e ogni altra golosità. La strega altri non è che la grottesca cassiera del cake shop, in tailleur fucsia, pronta a regalare ai bambini tutti i dolciumi che vogliono, pur di riuscire a imprigionarli, ingrassarli e poi cuocerli come marzapane.
Paul Daniel dirige l’Orchestra del Teatro Real con una giusta misura di compromesso tra la portata sonora wagneriana della partitura e la leggerezza della fiaba; sin dall’ouverture i tempi sono pacati, mai sottoposti ad alcuna urgenza, sempre al servizio dei cantanti; l’esito complessivo è felice, anche se non evita del tutto un suono di fondo che tende alla cupezza (il timbro del corno è sovente in primo piano, gli archi un po’ troppo schiacciati). Il direttore rende efficacemente le robuste modulazioni “nibelungiche” che costellano gli snodi dell’opera, soprattutto nei due interludi orchestrali. Molto convincente il versante vocale: i due fratellini hanno quella giusta differenza di timbro e di registro che dà risalto a ogni duetto. La Gretel di Sylvia Schwartz (soprano dal nome tedesco, ma di nazionalità spagnola; fu scoperta da Barenboim, che le fece iniziare una brillante carriera mozartiana) è ottima: in primo luogo ha voce capace di sostenere l’imponente tessuto orchestrale di Humperdinck, che è pur sempre wagneriano; ma soprattutto è musicale – dote sempre più rara negli interpreti di oggi – nel senso che vibra di armonici in tutto il registro, ha intonazione perfetta, sa dosare l’emissione con equilibrio, ed è anche espressiva. Se si aggiunge poi la spigliatezza richiesta in ambito attoriale – Gretel è bambina vivacissima che non sta ferma un attimo – la Schwartz realizza davvero l’interprete ideale del personaggio. Anche l’Hänsel di Alice Coot è molto convincente, ed è un piacere sentirli duettare sopra il velluto orchestrale di Daniel. Porge un cameo Diane Montague nella parte di Gertrud, l’avventata madre dei due bimbi: è emozionante riascoltare dal vivo il mezzosoprano dalla carriera internazionale (e pluridecennale), celebre per le molteplici incisioni di melodrammi della tradizione italiana: grande eleganza vocale e presenza scenica adeguatissima. Molto interessante il Peter, padre dei bimbi, del baritono danese Bo Skovhus: allegrissimo il suo ingresso in scena da “alticcio” nel I atto, ma sempre molto fedele alle indicazioni musicali; anche nella sua voce si percepiscono i benefici di una scuola in gran parte mozartiana. Buone, corrette, sicure le voci di Elena Copons e Ruth Rosique, rispettivamente il Nano sabbioso e il Nano rugiadoso. Fenomenale la strega di José Manuel Zapata: chi ricorda l’aggraziato tenore rossiniano fa fatica a riconoscerlo nel ruolo en travesti, con parrucca ramata – che si toglierà da sé per terrorizzare i bambini – e movenze libidinose da vecchia malvissuta; è divertentissima, con il corpo e con la voce, che non risparmia di certo. Forse l’emissione è in qualche passaggio un po’ forzata, ma a richiederlo è la sguaiataggine del personaggio voluta dal regista e perfettamente condivisa dall’interprete. Dopo l’esplosione del forno appaiono nel finale, ridicolmente ingrassati fino all’inverosimile, tutti bambini che la strega aveva precedentemente trasformato in statue di marzapane: sono i Pequeños Cantores de la Jorcam, molto ben preparati da Ana Gonzáles; e insieme ai due protagonisti circondano la casa/supermarket di strisce di plastica colorata, aggiungendovi il cartello Für immer geschlossen (Chiuso per sempre). Il pubblico festeggia a lungo tutti gli interpreti, con particolari acclamazioni per i due fratellini e per la strega; ma si intuisce bene che sia lo spettacolo intero a essere piaciuto molto sia agli adulti sia ai bambini presenti; come sempre accade, la giusta ironia nella rilettura di un “classico” centra il bersaglio della comunicazione.