Hofoperntheater di Vienna, 16 febbraio 1892
Nell’inverno del 1886 Werther, l’altro grande capolavoro che con Manon avrebbe in futuro condiviso le scene dei più grandi teatri mondiali, era già pronto per essere rappresentato dopo quasi due anni di intenso lavoro da parte di Massenet, che con quest’opera aveva tentato di rinnovarsi stilisticamente, e dopo tre duri anni di ritocchi e rifacimenti imposti da Hartmann al librettista Paul Milliet il quale alla fine, grazie alla collaborazione di Edouard Blau, era riuscito a superare le difficoltà di ridurre un romanzo a un dramma adatto al teatro. L’idea di scrivere Werther risale al 1882 durante un viaggio intrapreso dal compositore con Hartmann e Milliet per assistere alla première milanese di Hérodiade, come lo stesso Milliet raccontò in un articolo apparso sul supplemento illustrato dell’«Écho de Paris» del 15 gennaio 1893:
“«Che pensate di Goethe?» mi si domandò ad un tratto.
Io risposi con la frase di Mme de Staël: «Egli dispone del mondo poetico come un conquistatore del mondo reale».
E di Hermann et Dorothée? Mi piace molto questo idillio; con le sue dolci emozioni, i suoi personaggi simpatici, le sue descrizioni della natura, non potreste farmi un libretto di un lirismo perfetto?
Con Hermann et Dorothée! Certamente, io non ero propenso all’imprevisto degli avvenimenti o alle possibilità raggruppate in vista dell’effetto scenico; ma per stabilire un dramma di pura umanità, bisogna scegliere personaggi la cui anima sia il motore dell’azione, le cui evoluzioni psicologiche siano tragiche. Hermann, Dorothée, il farmacista e l’oste sono esseri di poca importanza. Perché sceglierli quando, nell’opera di Goethe, c’era un poema che soddisfaceva tutte le condizioni dell’azione lirica. Werther, sì Werther, la cui anima conosce l’infinità dei dolori e delle gioie? In Werther, c’è un dramma umano al quale si mescolano l’incanto e la desolazione della natura. L’immensità del mondo, con i suoi mormorii incantatori o lamentosi, con le sue armonie, le sue luci e le sue ombre, ha l’aria di associarsi alle sensazioni, alle idee, alle sofferenze dell’eroe […].
Ciò mi piace e mi stimola. Voi farete Werther.
E Massenet ne scriverà la musica?
E Massenet ne scriverà la musica».
Ricevuto il libretto, Massenet vi lavorò con entusiasmo, ma, dopo quasi due anni di fatica, l’opera completata finì in un cassetto bocciata da Carvalho, direttore dell’Opéra-Comique, con queste parole:
“Speravo che mi portaste un’altra Manon! Questo triste soggetto è senza interesse. Esso è condannato in partenza. In seguito fu lo stesso Massenet a condannare all’oblio questa sua creatura; quando i nuovi direttori dell’Opéra-Comique Jules Barbier e Paravey, essendo a conoscenza del Werther, chiesero al compositore un’opera da mettere in scena per l’esposizione, egli preferì proporre Esclarmonde, convinto che fosse più adatta a quell’occasione per le sue sontuose scenografie, per i suoi magnifici costumi e soprattutto per la grande interpretazione di Sybil Sanderson. Paravey accettò questa sostituzione e la sua fu una scelta vincente, perché Esclarmonde restò in cartellone 99 serate per tutta la durata dell’esposizione. Intanto a Vienna trionfava Manon grazie al talento di Mlle Renard e Van Dyck e alla strepitosa esecuzione dell’orchestra diretta da Hans Richter. Il successo viennese di Manon, che raggiunse ben presto la centesima rappresentazione, spinse Van Dyck, due anni dopo, a scrivere a Massenet:
“Che fa dunque, che fa di questo Werther di cui una sera mi ha parlato tra le quinte? Perché non ci dà il piacere di metterlo in scena qui?”
Tale proposta suscitò la meraviglia del compositore il quale, in brevissimo tempo, firmò un contratto col direttore dell’Hofoperntheater di Vienna e così il 16 febbraio 1892 Werther vide le scene con un cast eccezionale di cui facevano parte Van Dyck (Werther), Neild (Albert), Mlle Renard (Charlotte), Mlle Foster (Sophie) e con Hans Richter sul podio. A questa trionfale prima del Werther assistettero non solo i nobili, ma eminenti personalità della società e della cultura come ci è testimoniato dal resoconto pubblicato il giorno dopo sul giornale francese «Le Gaulois»:
“Il sipario è da poco calato sul primo atto. La rappresentazione è magnifica e si annuncia come un enorme successo. La sala è superba. Le mise splendenti. Nei palchi imperiali: S. A. I. l’arciduchessa Stefania, vedova dell’arciduca Rodolfo, e sua figlia, l’arciduchessa Elisabetta; gli arciduchi Eugenio e Guglielmo, cugini dell’imperatore. Nei palchi del primo ordine, i principi e le principesse di Ratibor, di Hohenlohe, di Metternich, di Liechtenstein, i conti Neiperg, Taafe e di Kinsky. L’alta finanza è rappresentata dai signori Hoenigswarter, Lindheim, Lutschka, ed Ephrussi. Come compositori di musica: Brahms, Strauss e Goldschmidt, tutti i rappresentanti della stampa austriaca, tra di loro: Edouard Hanslick, l’eminente critico della Nouvelle Presse Libre. Nel mezzo alcuni francesi rari nella sala: il signore Bessand, genero di Massenet; Heugel, Milliet, uno dei librettisti, e Dreyfus”.
Anche Moreno, inviato da «Le Ménestrel», confermò il successo dell’opera: “Ecco l’opera che è stata acclamata e meritava di esserlo. Poiché è uno dei più lodevoli sforzi della musica contemporanea; colloca molto in alto il signor Massenet. L’interpretazione è stata stupenda. […] L’entusiasmo è stato dunque grande e io rinuncio a contare tutte le chiamate che hanno salutato il calare del sipario. Erano delle ovazioni all’italiana che non finivano più. Molte volte il signor Massenet è dovuto riapparire sulla scena, in mezzo ai suoi interpreti, acclamato da un pubblico in delirio, che voleva vederlo ancora e sempre”.Il trionfo fu tale da compensare i dispiaceri della lunga attesa e lo stesso Carvalho, impressionato da tale successo, si affrettò a scrivere: “Revenez nous […] et repatriez ce Werther que, musicalement, vous avez fait français”.
Così un anno dopo, il 16 gennaio 1893, Werther calcò le scene dell’Opéra-Comique con Ibos (Werther), Bouvet (Albert), Mlle Delna (Charlotte), Mlle Laisné (Sophie) e con Jules Danbé sul podio. In quest’occasione la stampa fu concorde nell’esaltare l’opera; unica nota stonata fu la recensione di Fourcaud il quale, su «Le Gaulois», accusò Massenet di wagnerismo, quello stesso wagnerismo che, per Hanslick, costituiva un punto di merito per il compositoreerazione vi sono espressi in una lingua calda e che sviscera spesso il testo di Goethe. Bellaigue, che era stato poco tenero con Le mage, su questa nuova opera si espresse diversamente nell’«Année musicale» del 1893:
“Se si dovesse caratterizzare la musica di Werther con una parola, o piuttosto con un nome, un esempio o un paragone, questa è la migliore ragione, a dispetto del proverbio. Io credo che nominerei; lo Schumann dei Lieder, di quelle piccole cose che sono dei grandi capolavori; Schumann, il maestro delle intimità e delle tristezze tedesche. Così profonda fu la ferita fatta al cuore della Germania dal colpo di pistola di Werther, e così lenta a guarire, che i poeti e i musicisti, gli Heine e i Schumann, si salassarono per molto tempo. Sembra che Massenet abbia raccolto alcune gocce, le ultime forse di questo sangue […]. Ma non è soltanto nell’atmosfera che l’opera di Massenet ricorda i Lieder, anche per la forma: per le forme piuttosto, forme brevi, poco precise, spesso fluttuanti che dicono e fanno molto pensare a un po’ di note e di accordi che talvolta sembrano dissolversi nell’atmosfera e diventare proprio quest’atmosfera, l’aria che ci avvolge, ci bagna, e che noi respiriamo[…]. Infine come Schumann sempre, l’autore di Werther ama dividere l’espressione del suo pensiero tra il canto e l’accompagnamento, tra gli strumenti e le voci”.
La consacrazione definitiva di questo capolavoro sarebbe comunque venuta 10 anni dopo, nel 1903, quando l’opera fu ripresa da Albert Carré con Léon Beyle (Werther), Allard (Albert), Célestine Galli-Marié (Charlotte), Marguerite Carré (Sophie) e con il direttore d’orchestra Alexandre Luigini.
L’opera
Il Werther si apre con un preludio, una breve pagina strumentale talmente intensa dal punto di vista drammatico ed emotivo da condensare in poche battute tutto il contenuto sentimentale dell’opera. Le prime quattro misure, riprese anche nella parte introduttiva del preludio dell’atto terzo con l’intenzione di marcare una struttura unitaria, preparano perfettamente la situazione sentimentale del protagonista dal comportamento e dall’animo instabili sempre in bilico tra le sue aspirazioni di sognatore e la passione amorosa che, con la sua forza travolgente, toglie ogni punto di riferimento al soggetto. Ciò è reso magistralmente dalle scelte armoniche del compositore che, pur partendo in re minore, non afferma immediatamente la tonalità d’impianto, anzi si allontana da essa non alterando la sensibile nella seconda battuta e modulando, en passant, a do minore con la settima diminuita per ritornare finalmente a re minore attraverso la settima diminuita in terzo rivolto. Nel preludio vengono efficacemente rappresentati i due aspetti salienti dell’anima di Werther: quello appassionato, reso da un frammento semplice e brevissimo, quasi uno scatto nervoso (Es. 1), e quello sognante, che sfrutta il tema che accompagna la romanza dell’atto primo Je ne sais si je veille ou si je rêve encore, nella quale il protagonista, in uno stato di sogno, sembra quasi immedesimarsi nella natura da cui trae delle sensazioni che richiamano una musica celestiale. Anche questo tema (Es. 2), come il precedente, ha una struttura anametrica con i primi tre suoni che, rivestiti di disegni ritmici diversi, sembrano voler marcare la somiglianza tra le due passioni.
L’opera si apre con una splendida scena infantile interamente costruita dai librettisti che introducono in questo modo l’azione in medias res; ci troviamo, infatti, nel cortile della casa del borgomastro che sta insegnando ai propri figli un canto di Natale in pieno mese di luglio. Agli spettatori si offre subito quello spettacolo di innocenza, che avrebbe in seguito affascinato Werther, con le voci bianche, quasi celestiali, che cantano quello stesso canto di Natale, ripreso poi nella parte conclusiva per accompagnare gli ultimi momenti della vita del protagonista. Introdotto da un assolo del violoncello, a cui risponde il primo violino di spalla in una scrittura ancora una volta cameristica che esprime perfettamente l’intimità dei sentimenti del protagonista, giunge Werther il cui animo da sognatore è perfettamente rappresentato dalle scelte musicali di Massenet. In questo momento Werther, quasi in estasi come in una condizione da sogno, esalta la natura nella famosa romanza Je ne sais si je veille ou si je rêve encore!…, che trae, soltanto superficialmente, spunto dalla lettera del 10 maggio del romanzo di Goethe, in quanto nell’autore tedesco la natura si animava di un senso panico, mentre nel libretto diventa l’oggetto della pura contemplazione del protagonista. Musicalmente questa romanza si compone di una parte introduttiva di carattere sognante, nella quale l’orchestra, riprendendo il tema già esposto nel preludio (Es. 2) e qui affidato al flauto nell’insolito ma caldo registro medio basso, accompagna Werther il cui canto cerca di librarsi nelle auree vette del sogno. Anche la sezione successiva della romanza oscilla tra il carattere inizialmente sognante e la passionalità della parte conclusiva, quando Werther si inebria davanti allo spettacolo della natura, dando vita ad una vera e propria espansione lirica piena di passione.
Un nuovo spettacolo coinvolgente come quello della natura si presenta agli occhi di Werther il quale, alla vista di Charlotte attorniata dai piccoli, non può non esclamare O spectacle idéal d’amour et d’innocence che, pur sembrando la traduzione del passo goethiano si presentò ai miei occhi il più grazioso spettacolo che avessi mai visto, in realtà denota un diverso atteggiamento del protagonista. In Goethe Werther sembra provare quasi tenerezza per la scena a cui sta assistendo, mentre nell’opera lo spettacolo corrisponde al suo ideale di amore e di innocenza che sembra aver totalmente raggiunto nella sola contemplazione. Poco dopo giunge Albert che, rassicurato da Sophie sulla fedeltà della sua fidanzata, esclama: Elle m’aime! Elle pense à moi! e poi, felice, canta l’aria Quelle prière de reconnaissance, una pagina prevedibile che rappresenta la sicurezza dei sentimenti dell’uomo borghese. Lo stesso Massenet sembra dare poca importanza musicale a quest’aria che scorre velocemente per cedere il posto a uno dei momenti strumentali più belli e intimistici dell’opera, Clair de Lune, il cui titolo sembrerebbe denunciare una certa ispirazione romantica; un’analisi attenta rivela, invece, il carattere impressionistico della pagina in cui la luna e la natura sono rappresentate animisticamente come se volessero quasi partecipare ai sentimenti dei due protagonisti grazie ad una raffinata scrittura orchestrale tutta intrisa di una serie di simbolistiche Correspondances ed esaltata dalla scelta di un organico cameristico. Dopo l’aria di Albert, il tempo sembra quasi fermarsi e al tema affidato al primo violoncello, sostenuto dal basso dell’arpa, corrispondono simbolisticamente il flauto e la parte acuta dell’arpa (Es. 3) che riflettono, come in un specchio d’acqua, il chiarore della luna.
Anche il clarinetto e il primo violino di spalla non riescono a sottrarsi a questo raffinatissimo gioco di corrispondenze, che sembra nascondere quello più profondo tra le anime di Werther e di Charlotte la quale, sentendo un forte richiamo al dovere, esprime al giovane la necessità di separarsi (Il faut nous séparer) scandendo le parole in modo così lento da mostrare intimamente una volontà contraria. Werther, ormai innamorato della donna ma del tutto ignaro della promessa che la lega ad un altro uomo, sembra intuire quella corrispondenza che la musica aveva delicatamente e simbolisticamente espresso in Clair de lune e afferma perentoriamente: Mon âme a reconnu votre âme, Charlotte. I due giovani vivono un momento d’intensa passione sottolineata dall’orchestra che elabora, in una scrittura altamente sinfonica, il tema di Clair de lune, interrotto bruscamente da una sesta eccedente francese di fa maggiore quando la voce del padre, che le annuncia il ritorno di Albert, riconduce alla triste realtà Charlotte e Werther i quali, in uno stato di profonda agitazione, ripetono il nome di Albert su un accompagnamento caratterizzato da angosciose appoggiature. Con un’esplosione dell’orchestra che vuole così esprimere l’intensità dell’angoscia e della disperazione del momento su un’armonia insolita con l’accordo della tonica di fa maggiore interamente appoggiato dall’accordo di sol bemolle minore, si conclude l’atto primo.
Anche il secondo atto è preceduto da un brevissimo preludio che introduce perfettamente l’atmosfera festante della scena con la ripresa del tema della canzone di Bacco dell’atto primo Vivat Bacchus intonata nuovamente da Johann e Schmidt, gli amici del borgomastro, all’apertura del sipario, in perfetta sintonia con il clima di festa che caratterizza la scena iniziale, interamente ideata dai librettisti. Mentre Albert e Charlotte, già sposati, si avviano verso la chiesa, giunge Werther il quale, in evidente stato di agitazione, canta l’aria. J’aurais sur ma poitrine, che, per quanto appassionata, sembra abbastanza convenzionale anche nell’accompagnamento costruito su semplici accordi. Al tormento interiore di Werther si contrappone la spensieratezza di Sophie segretamente innamorata del giovane; la ragazza esprime in modo semplice e delicato la sua gioia per il giorno di festa (Du gai soleil) e invita a ballare l’infelice Werther. L’incontro di Werther con Charlotte costituisce l’occasione per un nuovo duetto in cui al giovane, che esprime alla donna i suoi sentimenti d’amore, sottolineati dal tema di Clair de lune, risponde Charlotte anteponendo il senso del dovere nonostante nelle sue parole traspaia un turbamento che spera di poter eliminare allontanando il giovane e pregandolo di ritornare a Natale in un crescendo di angoscia reso dalla musica con un cromatismo esasperato.
Il dramma si sta per compiere e il preludio, con cui si apre il terzo atto, ne è un chiaro indizio, in quanto, riprendendo le prime drammatiche battute del preludio all’atto primo che rappresentano in modo icastico il tormento di Werther, introduce l’atmosfera inquieta dell’atto terzo riutilizzando il tema che aveva accompagnato il duetto della separazione nell’atto secondo. Charlotte, visibilmente turbata, legge delle lettere inviatele da Werther e alla musica è affidato il compito di svelare i sentimenti profondi della donna dal cui animo non è stato possibile cancellare il ricordo dell’ultimo incontro con l’amato, come si può notare nella scelta di Massenet di accompagnare le parole della protagonista con il tema del loro duetto dell’atto secondo, già utilizzato nel preludio. L’ultimo biglietto di Werther presenta un carattere inquietante, espresso efficacemente dalla musica che illustra l’animo di Charlotte, prima ancora che la donna lo rilegga, grazie ad un accordo di settima diminuita affidato a un tremolo degli archi, rotto ogni tanto da fremiti di legni e ottoni ed esprimente la gelida morsa che attanaglia il suo cuore.
L’ingresso di Sophie sulla scena ha lo scopo di alleggerire per un attimo l’atmosfera piena di tensione. Annunciato dal Leitmotiv, che identifica l’aspetto passionale della sua natura, giunge Werther, la cui inquietudine è evidenziata dall’accompagnamento orchestrale con gli archi, ai quali è affidato un ritmo da marcia funebre, e dal clarinetto impegnato a intonare un disegno cromatico che nelle parole di Werther diventa frammentario, quasi privo di ogni connessione.
In questa scena, la più famosa dell’opera, nemmeno Charlotte riesce a dare una continuità melodica al suo discorso che, grazie ad una serie di ribattuti, si traduce quasi in una recitazione intonata ma frammentaria, mentre l’orchestra sembra svelare i veri sentimenti dei due giovani attraverso una scrittura melodica piena di pathos accentuato da un’armonia cromatica. È il momento della celeberrima aria Porquoi me réveiller,preceduta da un breve recitativo nel quale l’orchestra sembra veramente far decollare il sogno di Werther nell’atto in cui afferma Mon rêve s’en-vola, insistendo sui suoni acuti prima degli archi e poi dei legni. In essa è rielaborata soltanto la parte conclusiva del lungo passo dei Racconti di Ossian riportati da Goethe. Identificatosi con Ossian, Werther, accompagnato dall’arpa che sembra evocare una cetra, esprime i suoi sentimenti personali, manifestando la sua anima di sognatore che non vorrebbe mai svegliarsi per non entrare in contatto con la crudele realtà. Lo scontro tra sogno e realtà è rappresentato in modo emblematico dal disegno melodico corrispondente al motivo principale di Pourquoi me réveiller, che gravita attorno al do diesis (nota perno), dal quale la voce si discosta per grado congiunto e per salto prima di precipitare verso il la. Il disegno viene quindi ripetuto in una forma leggermente rielaborata una terza sotto a dimostrare il carattere pessimistico della melodia che non riesce a trovare più la strada del sogno(Es. 4). Tutta l’aria, del resto, di struttura bipartita, ruota attorno alla nota-perno do diesis in una scrittura che mostra sempre più la disperazione di Werther, il quale, alla fine della prima parte, ripete con dolore la domanda retorica iniziale con il disegno melodico rielaborato per diminuzione
Perfettamente simmetrica e molto simile alla prima, la seconda sezione rappresenta un paesaggio desolato e luttuoso che inquieta Charlotte, la quale, tremante, come all’inizio del duetto con Werther, quasi recitando con dei ribattuti, chiede al giovane di non completare la lettura. Ormai la passione, espressa da una musica che non ha dimenticato né i sentimenti né il tema di Pourquoi me réveiller esposto dall’orchestra, è scoppiata e si concretizza in un bacio che rappresenta l’hapax dell’amore tra i due giovani. L’orchestra partecipa a questa scena di intenso lirismo raddoppiando la parte di Werther che manifesta la sua felicità per il bacio concesso da Charlotte e non riesce più a contenere la sua passione alla quale la donna cerca invano di opporre una sia pur minima resistenza. È uno scontro fittizio solo a parole, in quanto le loro anime sono intonate sulla stessa corda, quella della melodia di Pourquoi me réveiller. Annunciato da un tema non particolarmente brillante e accompagnato da un’armonia statica caratterizzata da un passaggio monotono dalla settima di dominante alla tonica di si maggiore e viceversa, in perfetta sintonia con il carattere altrettanto monotono del personaggio, giunge Albert che, consapevole del ritorno di Werther e scuro in volto come l’impasto timbrico degli strumenti dell’orchestra che lo accompagnano, non riesce a nascondere una certa agitazione. Il quarto atto si apre con un brano sinfonico, una forma di interludio-sipario, grazie al quale viene nascosto al pubblico il suicidio di Werther; l’epilogo drammatico non è visibile, in questo modo, sulla scena che, lungi dal rappresentare una meravigliosa notte di luna precedente la grande festa cristiana del Natale, esprime perfettamente la tragedia che si consuma nell’animo dei due protagonisti. La Nuit de Noël è aperta, infatti, da un violento e tempestoso tema sincopato che nell’opera ha sempre evidenziato il carattere passionale, quasi nevrotico e tragico dell’animo di Werther con la sua scala cromatica discendente che sembra voler rappresentare l’uomo nell’atto in cui precipita verso il baratro della morte. Non meno inquietante è il brevissimo e lacerante tema affidato agli ottoni che contribuisce, insieme all’accompagnamento degli archi strutturato con un cromatismo discendente, a creare un clima da tregenda corrispondente allo stato esistenziale e umano di Werther; il suo tema, già ascoltato nel preludio e nel corso dell’opera quasi come un Leitmotiv, può, dunque, ritornare in modo frammentario a confermare uno stato nevrotico e quasi febbrile.
Dopo questa autentica tempesta di sentimenti sembra che la luna della didascalia possa rischiarare l’animo di Werther, ma questo meraviglioso astro, testimone del primo incontro con Charlotte, questa volta non riesce a mostrare la sua faccia conciliante. L’attacco forte dell’unico tema melodico, che solo in apparenza sembrerebbe aprire uno squarcio nella tragedia di Werther, in realtà si configura come un urlo di dolore che rappresenta i drammatici momenti successivi allo sparo. Appena giunta nello studio di Werther, Charlotte, in preda ad una violenta agitazione espressa dall’orchestra che riprende i due elementi tematici iniziali de La nuit de Noël, trova il giovane che giace morente e lo chiama nella speranza che sia ancora vivo. In questo caso Massenet riprende il tema che aveva accompagnato le prime parole di Werther nella parte iniziale del duetto dell’atto terzo, dove il giovane aveva detto: Oui! c’est moi! je reviens! et pourtant. Il compositore, riutilizzando questo tema per le disperate parole di Charlotte non! c’est impossible! il ne peut être mort!, ha inteso marcare, molto probabilmente, il ritorno della donna unendo i due protagonisti attraverso la musica. Werther, però, può esprimere soltanto le sue ultime volontà affidate al commovente canto funebre Là-bas au fond du cimitière, che si apre in una dimensione onirica quando l’uomo immagina che qualche donna un giorno verserà una dolce lacrima sulla sua tomba. Charlotte, che non riesce più a cantare, interviene con degli angosciosi ribattuti che simulano il parlato. Werther muore e l’orchestra riprende il tema di Pourquoi me reveiller quasi a voler calare il sipario sulla vicenda umana del giovane che non può più essere destato perché pervenuto in un’altra dimensione dove sembra essere rinato; i bambini, infatti, con la loro innocenza lo sottolineano riprendendo il canto natalizio già ascoltato in questo atto e all’inizio dell’opera. La tragedia, però, distrugge Charlotte ormai mortalmente ferita, mentre l’orchestra lancia un ultimo grido di dolore nel lacerante accordo finale.
La presente guida all’ascolto è tratta dal libro di Riccardo Viagrande, Jules Massenet. Les tribulations d’un auteur, Casa Musicale Eco, Monza, 2012, pp. 89-106. Ad esso si rimanda per la versione completa del saggio. Si ringrazia l’editore per aver concesso la pubblicazione di questo estratto.