La Gewandhausorchester Leipzig in tournée europea (1)

Temporada della Fundacion Ibermusica

Madrid, Auditorio Nacional de Música – Fundación Ibermúsica – XLV Temporada
Gewandhausorchester Leipzig
Direttore Riccardo Chailly
Violino Julian Rachlin
Felix Mendelssohn : Concerto per violino e orchestra in mi minore op. 64
Gustav Mahler : Sinfonia n. 1 in re maggiore ‘Il titano’
Madrid, 11 febbraio 2015

Riccardo Chailly ha scelto due programmi molto tradizionali ma non convenzionali per la tournée invernale della sua Gewandhausorchester Leipzig, ora ospite a Madrid della stagione di Ibermúsica. Mendelssohn e Mahler, gli autori della prima serata, furono infatti entrambi Kapellmeistern della prestigiosa compagine tedesca, rispettivamente tra 1835 e 1847 e tra 1886 e 1888.
Per il concerto solistico interviene un artista molto conosciuto e apprezzato, il quarantenne Julian Rachlin, che suona un violino “ex Liebig” Stradivari del 1704 (messo a disposizione dalla Fondazione Angelika Prokopp). Il suono di questo strumento è esile, quasi diafano, a tratti acerbo e freddo; scorre come un sottilissimo nastro di note, legate tra loro con nodi a volte spericolati. Tecnica grandiosa, quella di Rachlin, tempi rubati con grande accortezza, totale pulizia negli attacchi; ma pochi colori, e quasi nessuna emozione. Nel II movimento (Andante) il vibrato è più corposo, ma l’attacco del III (Allegretto non troppo – Allegro molto vivace) manca di quello slancio che il finale richiederebbe: è assai più musicale l’orchestra di Chailly – che sotto la sua bacchetta non cessa di essere un fascio di nervi in movimento -, quasi attira più l’attenzione il flauto rispetto al violino. Al termine del concerto il solista è ringraziato dal pubblico con molti applausi, ma l’assenza di bis fuori programma lascia intendere un coinvolgimento forse soltanto parziale.
Tutto il contrario con la I sinfonia di Mahler, perché se anche si sentono, qua e là, piccole défaillances strumentali, la lettura direttoriale nel corso dell’intera opera è così coerente da far risultare l’esecuzione una ininterrotta emozione. All’inizio (Langsam. Schleppend – Wie ein Naturlaut) Chailly esalta la sofferta dimensione conativa e incoativa della sinfonia, cioè di musica che connota lo sforzo terribile del nascere; ma quando archi, arpa e legni presentano il primo tema pastorale, tutto si fa armoniosamente dolce. Anche il difficilissimo passaggio di piani sonori che caratterizza il I movimento, e che spesso si riduce a una tavolozza di frammenti, è riletto sulla scorta dei suoni della natura, in particolare del canto degli uccelli. E allora il frammento scompare, o meglio si ricompone in un’alba di cucù e di animali del bosco che salutano un nuovo giorno.
A dispetto dell’indicazione d’autore (Kräftig bewegt, doch nicht zu schnell) Chailly stacca il II movimento rapidissimo, con un’impennata d’apertura che riscatta la musica da tutti i dubbi della critica, e la trasforma in una furba goliardata, almeno fino a quando non ridiventa danza compostissima, grazie a un superbo intervento del primo corno: è il momento in cui, come in tutte le sinfonie mahleriane, si intona un valzer, per ora privo di quel grottesco e caricaturale che diverranno tipici nelle partiture a seguire. La celebre marcia sull’idea musicale di Fra Martino (però in minore), che rappresenta una sorta di corteo funebre per un cacciatore, paradossalmente pianto da tutti gli animali del bosco, offre nello sviluppo cadenze e sonorità quasi slave, esotiche, bellissime: Chailly vuole valorizzare ogni colore e ogni possibilità ritmica della pagina, sottraendole così qualunque inflessione funebre. Se i tromboni risuonano lugubri, subito dopo esplode una Vienna klezmer che lascia addirittura sbalorditi: è un attimo appena, ma anche di attimi illuminanti si compone una grande interpretazione.
La nuova drammaticità del finale tempestosamente mosso (Stürmisch bewegt) è come appartenente ad altra sinfonia; ma la chiusa può essere legittimamente tutta luminosa, in quanto il direttore ha saputo preparare tutte le sezioni ad accogliere il trionfale fastigio (a momenti anche alquanto pompier). Chailly non indugia sulle fanfare, perché preferisce tornare a quel canto degli uccelli che ora, nel finale, pare siglare la giornata di luce che langue (è una meraviglia l’ultimo volo dell’oboe, prima della clausola strepitosa). Scattano in piedi gli otto corni nella coda, e il pubblico, in corrispondenza dell’ultimo istantaneo accordo, non riesce proprio a trattenere l’emozione, che trabocca in un entusiasmo di grida e di acclamazioni. Al ritorno sul podio Chailly fa metodicamente alzare tutte le prime parti e le sezioni intere, ma poi deve raccogliere gli applausi crescenti, giustamente rivolti a lui. Tutto il pubblico dell’Auditorio Nacional è estremamente partecipe di un successo clamoroso; ed è bello constatare come le platee di oggi godano delle esecuzioni mahleriane al pari di quelle beethoveniane (forse anche di più). D’altra parte, questa I sinfonia degli anni 1889-1894 non è forse un degno parallelo della Pastorale? È la domanda che tutta quanta l’interpretazione di Riccardo Chailly sembra porre, e a cui l’esecuzione risponde in modo molto eloquente.