Un principe guerriero per il san Carlo: intervista ad Alessandro Staiano

Ventitré anni, un metro e ottanta. Dotato di tecnica forte e sicura, di grande presenza scenica e di un salto dal ballon eccezionale, Alessandro Staiano convince proprio tutti per la versatilità con cui sa portare in scena ruoli classici e contemporanei, mantenendo alto il nome della tradizione maschile della Scuola napoletana. Principe, corsaro, guerriero e atleta allo stesso tempo, non indulge mai alla leziosità, in uno stile che non intende concorrere con quello della danzatrice (come purtroppo spesso accade oggi). Vincitore del nostro Oscar come “Miglior talento emergente”, lo incontriamo dopo una prova estenuante. Ha il piglio di uno con la testa dura, proprio quello che serve ad andare avanti nel difficile mondo della danza: la determinazione necessaria a proseguire per la propria strada, rincorrendo la perfezione.
La prima domanda è d’obbligo: come ti sei avvicinato alla danza?
Avevo iniziato a scuola di mio padre, ma lui non voleva che io andassi a teatro e neanche io all’inizio ero molto preso. Poi successe che la Direttrice della Scuola di Ballo del San Carlo, la Signora Anna Razzi, mi notò a uno spettacolo e mi invitò: in pratica, quindi, non ho fatto nessuna audizione e sono stato “promosso” per direttissima.
Quali sono state le cose più belle e quali le difficoltà maggiori negli anni della Scuola?
Mi piace ricordare le cose belle, come i ruoli importanti che mi ha sempre assegnato la Signora Razzi quando ero allievo, anche se l’ho fatta davvero penare col mio carattere. Durante il settimo e l’ottavo corso sono stato in giro per l’Europa per partecipare alle audizioni: Madrid, Nizza, Parigi, Bordeaux, Mosca. Sono stato preso all’Opéra di Parigi ma avevo già il contratto a Napoli…
Il passaggio al Corpo di ballo: come è avvenuto e chi ha creduto subito in te?
La prima è stata Alessandra Panzavolta, ex Direttrice del nostro Corpo di Ballo, che ha creduto immediatamente in me affidandomi subito primi ruoli come in Without Words di Nacho Duato; sono stato solista ne Il Pipistrello di Roland Petit, per due anni ho danzato nelle matinée de Le Schiaccianoci nel ruolo del principe e sono stato anche protagonista nelle recite mattutine di Le Corsaire. Devo poi ringraziare Lienz Chang, attuale Maître del Corpo di Ballo, che mi ha dato e continua a darmi tutto quello che può e crede molto in me (siamo ancora senza un Direttore “ufficiale”).
Quanto è importante l’esperienza internazionale per un giovane danzatore?
Il San Carlo è un grande Teatro, ma la danza a Napoli soffre. Se non avessi vinto l’audizione come elemento stabile probabilmente non avrei accettato più contratti a tempo determinato in casa mia e sarei volato via. Ma ancora adesso, poiché sono così giovane, penso che se dovessi soffrire per un motivo qualunque potrei mandare all’aria la stabilità che ho qui e cercare soddisfazione in un altro luogo. Mi auguro che questo non debba mai succedere; a me fa piacere danzare a Napoli, anche se non mi sento molto “patriottico”. Del pubblico partenopeo mi piace l’attenzione per l’aspetto interpretativo, cosa che all’estero invece manca, perché ci si impressiona più per i salti o le pirouettes. A volte temo di non essere giudicato in base a un confronto con gli altri danzatori del panorama nazionale e internazionale e questo perché siamo visti sempre solo a Napoli (o quasi). A giugno sarò ospite di un gala in Colombia con il Passo a Due di Diana e Atteone e il secondo atto de Il Lago dei Cigni. Per me il vero artista è il Guest, non il lavoratore dal posto fisso, che rischia di non migliorare perché si abitua al proprio stato. Qui fuggono via troppi talenti e a volte chi resta paga dal punto di vista della reputazione. Non è giusto che chi rimane e magari fatica doppiamente per raggiungere un obiettivo venga considerato meno meritevole. Ci vuole più coraggio a restare che a volare via a diciotto anni. Io sono rimasto con piacere, nella speranza di un miglioramento della situazione generale.
Battesimo da protagonista in Schiaccianoci. Plauso di pubblico e di critica. Un’autovalutazione.
Per quanto mi riguarda, come credo per ogni danzatore che si autovaluti, tutto potrebbe andare meglio e non sono mai soddisfatto a pieno. Peraltro il Principe Schiaccianoci non è che abbia molte sfaccettature espressive. Molti mi elogiano per la presenta scenica, ma io non riesco a rendermi conto di questo.
Qual è il ruolo che più ti piacerebbe interpretare? Definisci il tuo “tipo teatrale”.
Molti me lo hanno chiesto, ma non c’è un ruolo preciso, perché mi sento versatile e riesco a modificare il mio carattere scenico. Mi piacciono tantissimo i classici, ma ancora di più amo i ruoli di Roland Petit per l’introspezione richiesta ai suoi personaggi. La profondità interpretativa e l’analisi dell’interiorità sono due aspetti che amo moltissimo.
Sulla danza maschile? A Napoli c’è una lunga tradizione in merito.
Questo attaccamento alla definizione della “linea” non giova alla danza maschile, perché si sta sfociando un po’ troppo nel femmineo, a mio giudizio. Vedo una continua competizione con la donna e un’omologazione a un solo “tipo” di danzatore, senza più distinguere la diversità dei caratteri. La danza maschile è e deve essere diversa da quella della donna. Qui a Napoli in generale i ragazzi sembrano più motivati e adatti alla danza, rispetto alle ragazze, fin dagli anni della scuola.
La maggior parte dei danzatori dedica tutte le proprie forze a perfezionare fisico e tecnica. Ma la danza è un’arte, per cui sensibilità e cultura fanno la differenza in scena. Pensi che si dia il giusto peso a tutto questo, o il messaggio non arriva come dovrebbe?
Il ruolo del danzatore si sta troppo allontanando dal lato artistico e si sta avvicinando a quello del calciatore. Un artista, che sia un pittore o uno scrittore o altro, vede nel suo prodotto l’esito di uno studio di ampio respiro, non solo il risultato di una tecnica. Ci si concentra sul passo o sul giro, ma non è quella l’arte. Il risultato artistico non deve essere l’azione, ma il suo significato artistico. Il lavoro del danzatore dovrebbe essere fatto autonomamente e dovrebbe servire ad arricchire il bagaglio culturale che spesso i danzatori non hanno. Ma così la loro tecnica è vuota. Il personaggio va studiato come lo studia un attore, per permettere alla danza di andare oltre. Penso anche che l’umiltà dell’artista dovrebbe esistere solo nella vita, non in palcoscenico; lì non si può essere umili. La cosa più importante nella danza è l’estetica: la ricerca della perfezione è il mezzo che può aiutarci a elevare lo spirito.
Un augurio per il tuo Teatro.
Spero che il Teatro più bello del mondo torni davvero agli antichi splendori nell’arte della danza. Speriamo di essere sulla buona strada per la rivalutazione della nostra arte…
E il nostro augurio si associa a quello di Alessandro, che nella imminente Giselle sarà il duca Albrecht di Slesia nelle matinée. Sarebbe stato chiedere troppo rivederlo da protagonista nei serali?