Verona, Teatro Filarmonico: “Il barbiere di Siviglia”

Teatro Filarmonico – Stagione d’Opera e Balletto 2014/2015
“IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Melodramma buffo in due atti di Cesare Sterbini
Musica di Gioachino Rossini
Il Conte d’Almaviva  EDGARDO ROCHA
Don Bartolo  OMAR MONTANARI
Rosina  ANNALISA STROPPA
Figaro  CHRISTIAN SENN
Don Basilio  MARCO VINCO
Berta  IRENE FAVRO
Fiorello  SALVATORE GRIGOLI
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore  Stefano Montanari
Maestro del Coro  Vito Lombardo
Regia  Pier Francesco Maestrini
Scenografia animata e Costumi  Pier Francesco Maestrini e Joshua Held
Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona
Verona, 12 aprile 2015

Questo Barbiere è stato presentato dalla Fondazione Arena come una produzione «per i ragazzi e per tutti coloro che non hanno perso il piacere di sentirsi tali». E se il – curatissimo – cartoon del Barbiere fosse passato sulla solita Raitre la domenica pomeriggio certamente noi tutti, genitori, insegnanti o anche semplici appassionati, saremmo stati preparatissimi a registrare l’evento gustandocelo di ritorno dal gelato, comodamente seduti in poltrona.
Ed è proprio qui che, ça va sans dire, cade il palco: siamo a teatro e quello cui assistiamo non è tanto un atto dissacrante (e di gusto talvolta discutibile), quanto una mistificazione in cui la finalità viene tradita dalla modalità: non è diventando puerili che si raggiunge il bambino. O meglio, ne raggiungiamo la pancia, lo teniamo fermo per tre ore di spettacolo, ma, non lasciando sufficiente spazio alla musica, il rischio che la rumorosa e frastornante rappresentazione sia fine a se stessa è palpabile.
Se l’obiettivo è quello di educare un pubblico di spettatori consapevoli, il primo passo dovrebbe essere quello di lasciare spazio alla musica: purtroppo c’è veramente troppa carne al fuoco e infatti a lungo andare lo sforzo di rendere tutto comico, tutto divertente, svilisce il significato dell’opera buffa e alla fine non ci ricordiamo più quali siano i momenti davvero divertenti.
La musica si svuota di significato, voler sottolineare ogni movimento, ogni frase diventa manierismo e il messaggio in codice (quello sì, veramente dissacrante) sembra essere: «bene, la musica non basta, quindi indigestione, risate, ricchi premi e cotillon». Gli effetti sonori del cartoon che si sovrappongono alla musica sono francamente inaccettabili.
Non manca qualche strizzata d’occhio al pubblico “adulto”: un Giovanni Allevi massacrato da verdure marce che richiama sonore acclamazioni, l’ingresso di Rosina sul letto di rose di American Beauty, la parodia finale à la Traviata degli specchi (apparsa proprio sullo stesso palco pochi mesi fa) in cui personaggi, comprimari e non solo si siedono di fronte al pubblico.
Il pubblico si profonde in ovazioni da stadio, ma, personalmente, la sensazione è quella di aver mangiato tantissima glassa al cioccolato scoprendo che sotto non c’era altro che un bel vassoio: la vera sostanza, la musica, la torta passa in secondo piano.
Un vero peccato perché l’idea è veramente accattivante: la trama del Barbiere, lo sappiamo, è densa di dettagli e nodi avviluppati che questa regia aiuta considerevolmente ad appianare, ma sempre in maniera invasiva, arrivando a sfinire lo spettatore. Dopo i primi dieci minuti alcune insistenze risultano subito stucchevoli, nonostante l’indiscutibile cura formale nella costruzione del video.
Già nella sua Bohème impressionista erano emerse perplessità circa il gusto di Pier Francesco Maestrini per il didascalico, che qui trova la propria apoteosi. Come già ribadito, siamo a teatro: lo scopo finale dovrebbe essere quello di far crescere i giovani nella loro esperienza di spettatori, accompagnandoli in un intreccio complesso senza bombardarli di stimoli confusi.
L’idea del cartoon, come la maggior parte delle trovate sceniche, è geniale, il merito e il duro lavoro di Maestrini e del bravissimo Joshua Held sono evidenti e siamo certi che le serate di martedì e giovedì saranno dei successi: ma non confondiamo tutto questo con l’educazione all’ascolto dell’opera lirica.
Il cast – in costume tondeggiante a richiamare il tipico stereotipo rossiniano – è complessivamente buono, nonostante passi in sordina di fronte all’accumulo di elementi sullo sfondo: Annalisa Stroppa è una Rosina interessante, dalla presenza scenica frizzante e ragguardevole. La voce è in forma, il fraseggio ben sostenuto da una buona padronanza del registro medio-grave; la sua pronuncia è lodevole, di perfetta comprensibilità. Il mezzosoprano, già noto al pubblico veronese, ha mostrato di poter sostenere il ruolo con efficacia, risultando non solo credibile, ma anche originale. Il Bartolo disegnato da Omar Monanari è probabilmente il personaggio meglio caratterizzato, sia scenicamente che vocalmente. Attore convincente, il baritono si è distinto per disinvoltura scenica e per l’ottima tenuta vocale: il fraseggio è ben calibrato, la maschera precisa in ogni tessitura.
Molto bene il Conte d’Almaviva, Edgardo Rocha: nel canto si avverte uno studio approfondito delle dinamiche rossiniane, una discreta facilità in acuto e delle buone agilità. Pregevole anche la sua interpretazione scenica – per nessuno degli interpreti dev’essere stato agevole muoversi in scena in costume pantagruelico.
Degno di nota il Don Basilio di un applauditissimo Marco Vinco, che si porta a casa una buona Calunnia: le notorie doti sceniche del basso lo rendono credibile in ogni ruolo; vocalmente Vinco non è mai sopra le righe risultando prezioso nei momenti d’assieme.
Applausi e ovazioni anche per Figaro, Christian Senn –  altro volto noto – che si mostra abbastanza convicente nel ruolo del factotum; non sarà (per il momento) disinvolto come gli altri protagonisti, ma le qualità ci sono tutte, speriamo che le promesse vengano mantenute. La voce è in ordine, qualche insicurezza in acuto non ne pregiudica la performance complessiva.
Completano efficacemente il cast Salvatore Grigoli (Fiorello / un ufficiale) e la Berta di Irene Favro (davvero divertente il suo vecchiotto cerca moglie).
Stefano Montanari – che avevamo già visto alle prese con Rossini su questo palco nello Stabat Mater – sceglie tempi piuttosto tradizionali e li porta avanti con coerenza. Peccato per una certa uniformità dinamica, ma è probabile che, almeno per questa Prima, l’attenzione fosse principalmente rivolta agli incastri con quanto avveniva sullo sfondo; in ogni caso Montanari si conferma nella dote di saper respirare insieme ai cantanti, valorizzati nelle loro caratteristiche migliori. Da segnalare la prestazione degli archi, in ottima forma; fin troppo invasivo il clavicembalo. Coro come sempre ben preparato dal Maestro Vito Lombardo. Foto Ennevi per Fondazione Arena