“La gazza ladra”. L’argomento e la musica (seconda parte)

Ma come è realizzato nel libretto questo argomento giudicato abominevole da Stendhal? L’azione si svolge in un villaggio non molto lontano da Parigi dove si sta festeggiando l’arrivo di Giannetto, figlio di un ricco fittavolo di nome Fabrizio Vingradito di ritorno dal servizio militare. Il fittavolo è favorevole a fare sposare il figlio con Ninetta, una ragazza che lavora in quella casa da molti anni come domestica, mentre è contraria la madre, Lucia, che accusa la ragazza di averle perso una posata d’argento.
Dopo i festeggiamenti Ninetta riceve la visita del padre Fernando, ricercato dalla polizia perché colpevole di una grave insubordinazione; egli consegna alla figlia una posata d’argento pregandola di venderla in modo da poter fuggire con il ricavato. La posata, che nel frattempo Ninetta aveva venduto al merciaio Isacco, viene rubata dalla gazza di Fabrizio la quale, a sua volta, accusa la fanciulla del furto della posata di Lucia che era del tutto simile a quella consegnata da Fernando alla figlia. Lucia denuncia il furto al podestà ben felice di far arrestare e processare Ninetta la cui colpevolezza sarebbe dimostrata dal possesso del denaro consegnatole dal mercante Isacco il quale afferma di aver pagato una posata con la sigla F. V. interpretata erroneamente come Fabrizio Vingradito, mentre si riferiva a Fernando Villabella. Nell’atto secondo al processo Ninetta è condannata a morte e subisce la stessa condanna anche il padre di lei accorso a raccontare la verità. L’opera si chiude con l’insperata salvezza di Ninetta grazie all’intervento del contadinello Pippo che scopre, seguendo la gazza, nel campanile della chiesa le due posate insieme ad altri oggetti. Così Ninetta viene liberata fra la gioia generale e lo stesso Fernando è liberato per grazia del re.
L’Opera
La musica di Rossini riscatta pienamente questo soggetto a cominciare dalla splendida ouverture, una delle pagine più famose della partitura, del cui successo ci informa sempre Stendhal:
L’introduzione del tamburo come parte principale le conferisce una realtà, se oso esprimermi così, di cui non ho provato la sensazione in nessun’altra musica, è quasi impossibile notarla. Sarebbe per me ugualmente impossibile descrivere gli entusiasmi e la follia della platea di Milano quando apparve questo capolavoro. Dopo aver applaudito ad oltranza, gridato e fatto tutto il frastuono immaginabile per cinque minuti, quando venne a mancare la forza necessaria per gridare notai che ciascuno parlava Rossini Es. 1col suo vicino, cosa assai contraria alla diffidenza italiana. Le persone più fredde e più anziane esclamavano nei loro palchi: «O bello! o bello»  e questa parola veniva ripetuta cento volte di seguito; non era rivolta a nessuno, una tale ripetizione sarebbe stata ridicola; gli spettatori avevano perso ogni nozione di avere dei vicini, ciascuno parlava con se stesso. Questo entusiasmo aveva tutta la vivacità, tutto l’incanto di una riconciliazione. La vanità del pubblico ricordava il Turco in Italia. Non so se il lettore ricordi ancora che quest’opera era stata fischiata per mancanza di novità. Rossini volle rimediare a questo insuccesso, e i suoi amici furono lusingati dal fatto che egli avesse voluto fare per loro qualche cosa di così nuovo. Questa situazione morale del maestro spiega perfettamente il tamburo e il frastuono alquanto tedesco della ouverture; Rossini aveva bisogno di colpire con forza sin dall’inizio. Non si erano ancora udite venti battute di quella bella sinfonia che la riconciliazione era già cosa fatta; non si era ancora alla fine del primo presto, che il pubblico sembrò ebbro di piacere; tuttiRossini Es. 2 accompagnavano l’orchestra. Da quel momento l’opera e il suo successo furono una sola scena di entusiasmo. Ad ogni brano Rossini doveva alzarsi più volte dal suo posto al piano per salutare il pubblico; e si stancò prima lui di salutare che il pubblico di applaudire[1].  Composta in brevissimo tempo, secondo quanto affermato dallo stesso Rossini in una lettera di dubbia attendibilità nella quale non figura né la data né il nome del destinatario[2], l’ouverture si apre con tre rulli di tamburo da cui scaturisce un Maestoso marziale (Es. 1) che, con una certa ironia, intende probabilmente alludere all’atmosfera militaresca che pervade l’opera.
Rossini Es. 3[1]Ivi, p. 164. [2] Nella lettera (L. Rognoni, Gioacchino Rossini, Einaudi, Torino 1977, pp. 337-338) di dubbia attendibilità, in quanto ricca di aneddoti smentiti dallo stesso Rossini, si legge: «Ho scritto l’ouverture della Gazza ladra il giorno della prima rappresentazione sotto il tetto della scala, dove fui messo in prigione dal direttore, sorvegliato da quattro macchinisti, che avevano l’ordine di gettare il mio testo originale dalla finestra, foglio a foglio, ai copisti, i quali l’aspettavano abbasso per trascriverlo. In difetto di carta da musica, avevano ordine di gettare me stesso dalla finestra». Dopo 9 battute tutte giocate sull’accordo di dominante di mi maggiore, inizia, nella corrispondente tonalità minore, l’Allegro con brio dalla classica e tipicamente rossiniana struttura in forma-sonata senza lo sviluppo centrale e conclusa da una coda più vivace e con due temi (Es. 2 e 3) che, pur non essendo particolarmente estrosi, come notato da Rognoni[1], conferiscono alla pagina sinfonica una straordinaria unità insistendo sulla terzina. A questi si aggiunge il tema del crescendo (Es. 4) che appare come una sintesi di entrambi.
Es 3 e 4 – Questa straordinaria unità, che caratterizza l’ouverture, si riscontra anche nell’operaRossini Es. 4, costituita da ben 32 numeri musicali che la collocano tra le più lunghe e ricche del genere semiserio. Il brio dell’ouverture pervade anche la scena iniziale dell’opera, nella quale i coniugi Vingradito, Fabrizio e Lucia, attendono l’arrivo del proprio figlio Giannetto di ritorno dal servizio militare e se l’uomo, mostra una certa predilezione per Ninetta, figlia di Fernando Villabella e serva nella loro casa, la donna esprime qualche riserva sull’operato della ragazza. Particolarmente brioso con qualche spunto mozartiano nella scelta del 6/8, che ricorda Giovinette che fate l’amore del Don Giovanni, è il pezzo d’insieme Là seduto l’amato Giannetto. Maggiormente ricco di pathos appare l’ingresso di Ninetta che intona la cavatina Di piacer mi balza il cor, giudicata giustamente da Stendhal  una delle più belle ispirazioni di Rossini: chi non la conosce? È davvero la gioia viva e schietta di una giovane contadina. Rossini Es. 5Mai forse Rossini è stato più drammatico, più vero, più fedele alle parole. Quest’aria è degna di Cimarosa  e ha una vivacità d’attacco piuttosto rara in Cimarosa[1]  Questa cavatina, dalla classica struttura  caratterizzata da una sezione iniziale lenta a cui segue un’altra in Allegro, si segnala sia per la pura invenzione melodica, a prima vista semplice, ma alquanto sospirosa almeno inizialmente (Es. 5) grazie anche alle appoggiature discendenti, sia per alcune interessanti scelte armoniche come l’utilizzo dell’interrogativo accordo della dominante, quando la fanciulla si chiede cosa farà Giannetto nel momento del loro incontro  e invoca il Dio d’amor (Es. 6).
Dopo la debole, ma ironica Aria di Isacco, Stringhe, e ferri, con la quale il mercante ebreo pubblicizza la sua roba, il brio iniziale ritorna nelle parole del coro che accolgono Giannetto appenaRossini Es. 6 giunto, il quale intona una cavatina, Vieni fra queste braccia piuttosto manierata, ma ricca della giusta ironia evidente già nei ritmi puntati falsamente marziali dell’introduzione orchestrale.
Con l’ingresso in scena di Fernando si attua un netto cambio di registro, in quanto, come notato giustamente da Stendhal, spunta la tragedia e l’allegria finisce per sempre[1]. Il recitativo accompagnato, con il quale Fernando racconta alla figlia la sua diserzione, presenta un carattere da opera seria che si mantiene anche nel successivo duetto. La vena ironica di Rossini ritorna nella cavatina del Podestà Il mio piano è preparato, mentre il terzetto successivo Respiro – partite, definito giustamente sublime da Stendhal, è una pagina ricca di invenzione ritmica e melodica, nella quale i tre personaggi esprimono i loro sentimenti in un contrappunto che non è solo musicale, ma è soprattutto dell’anima. Piccola opera nell’opera, il Rossini Es. 7Finale dell’atto primo è una pagina altrettanto ricca dal punto di vista melodico, nella quale esplode il dramma della fanciulla accusata ingiustamente del furto della posata. Lo straordinario florilegio ritmico, tipico della musica di Rossini, trova un momento di stasi nel patetico intervento di Giannetto che crede la fanciulla amata colpevole del furto (Es. 7) e si produce in una discendente linea melodica che sembra mostrare tutta la sua delusione.
Autentica perla di questo Finale è l’Andante Mi sento opprimere nel quale la tragedia si esprime in un scrittura da opera seria e che conduce alla travolgente stretta. Il tono tragico caratterizza anche la prima parte dell’atto secondo e trova uno dei suoi punti più alti nel rassegnato e commovente terzetto, Forse un dì conoscerete, mentre nel duetto con Pippo ritorna il primo tema dell’ouverture a confermare una forte struttura unitaria, mai realizzata forse da Rossini in nessun’altra opera prima della Gazza ladra. La tragedia raggiunge il suo hapax nella scena del tribunale e nella preghiera, Infelice, sventurata, un’autentica e poetica mesta marcia al supplizio che accompagna alla fucilazione Ninetta la quale canta la commovente preghiera Deh! Tu reggi. Il fortunato ritrovamento della posata porta allo scioglimento e al travolgente e festoso finale con Ninetta che può sposare Giannetto, mentre il padre, ottenuta la grazia dal re, è finalmente libero.


[1] Ivi, p. 168.


[1] Stendhal, Op. cit., p. 166.