Diana Damrau: Fiamma del Belcanto

Gaetano Donizetti: “Ancor non giunse…Perchè non ho del vento (Rosmonda d’Inghilterra); Vincenzo Bellini: “O rendetemi la speme…Qui la voce” (I Puritani); Gaetano Donizetti: “Allenta il piè, regina….O nube” (Maria Stuarda); Vincenzo Bellini:“Oh se una volta sola…Ah, non credea mirarti” (La Sonnambula); Giuseppe Verdi: “Venerabile, o padre…Lo sguardo avea degli angeli” (I Masnadieri); “È strano..Ah, fors’è lui..(La Traviata); “Il padre tuo…Tu puniscimi, o Signore” (Luisa Miller); Giacomo Puccini: “D’onde lieta uscì” (La Bohème); Ruggero Leoncavallo: “Qual fiamma avea nel guardo! (I Pagliacci).  Diana Damrau (soprano); Nicole Brandolino (mezzosoprano); Piotr Beczala (tenore); Nicolas Testé (basso). Orchestra del Teatro Regio di Torino. Gianandrea Noseda (direttore). Registrazione: Torino, Teatro Regio, settembre 2014. T.Time: 78.50. 1 CD Erato 0825646166749
L’album
Le prime perplessità nascono dal titolo stesso del CD; ho da tempo rinunciato a cercare di spiegare che il belcantismo costituisce un fenomeno storico limitato ad un determinato periodo che conobbe il proprio apogeo con l’opera barocca, ed ebbe una gloriosa, fulgida apoteosi con la Semiramide rossiniana, esaurendosi allorché il melodramma rinunciò alla stilizzazione e all’astrazione virando piuttosto velocemente verso il naturalismo.  Includere Bellini e Donizetti significa già operare una notevole forzatura: per questi compositori, come del resto per il primo Verdi, si può certamente parlare di influssi, più o meno potenti, del belcanto, che interessarono soprattutto i ruoli scritti per voci femminili.  Spingervi dentro, come accade in questa registrazione, arie dalla Bohème e da Pagliacci, sfida ogni logica.  Di autentico belcanto, quindi, in questo CD ce n’è davvero poco; per di più le selezioni si limitano ad arie piuttosto note, ed anche quella più oscura, la cavatina e cabaletta di Rosmonda d’Inghilterra, può vantare incisioni di alcune fra le più celebri virtuose del recente passato, fra cui Joan Sutherland e Beverly Sills.  Ma anche senza scomodare tali mostri sacri, questo CD è nel complesso deludente.  Rari sono purtroppo quei soprani lirico leggeri di coloratura la cui voce, magari perdendo qualche nota in alto, con il tempo matura e si assesta acquisendo un registro centrale più caldo e liricheggiante, e Diana Damrau non fa eccezione: rispetto ai folgoranti primi anni di carriera, i sovracuti, anche allora emessi tendenzialmente con una certa fissità “alla tedesca”, si sono fatti più schiacciati, striduli, talora pericolosamente prossimi al gridolino, ed il timbro si è alquanto inaridito; soltanto quando li emette piano si fanno più morbidi e rotondi.  Eccezion fatta per i sempre mirabolanti picchettati, le agilità raramente sono nitide e sgranate: in particolare le scale cromatiche di “Vien diletto è in ciel la luna” sembrano quasi dei glissandi, e persino le agilità in “Sempre libera”, un suo attuale cavallo di battaglia, sono approssimative.  Non parliamo dei trilli: a parte un bel trillo in “Ah non credea mirarti”, tutti gli altri – e ce ne sono a decine – non sono altro che un largo vibrato su una sola nota; particolarmente sgradevole, in quanto molto lungo, è quello sul un re naturale nell’aria dei Masnadieri.  La Damrau non ha neanche molto da dire su un piano puramente interpretativo; il timbro dalla tavolozza di colori assai limitata le permette di dipingere solo a grandi linee le personalità dei vari personaggi.  Nella cavatina di Maria Stuarda latitano il senso di felicità perduta, la radiosa nostalgia che dovrebbe esprimere la sfortunata regina; sia l’aria della Sonnambula che e la cavatina dei Puritani lasciano intravedere un generico generico di mestizia, e se non lo sapessimo non immagineremmo mai che in quel punto Elvira sia in preda alla follia.  Molto più incisive sono le cabalette, soprattutto perché la Damrau mostra di possedere un notevole temperamento (come del resto in alcune parti della recente incisione di Lucia di Lammermoor) quando la situazione si fa drammatica, ed è facile comprendere bene la ragione per cui agli inizi della carriera il soprano emerse prepotentemente alla ribalta con una delle migliori interpretazioni della Regina della Notte di recente memoria.  La selezione sorprendentemente più convincente è la grande scena di Luisa Miller, in cui sostiene un appassionato botta e risposta con il Wurm di suo marito (Nicolas Testé), sfodera le unghie e si rivela animale da palcoscenico.  Le due arie tardo-ottocentesche al contrario sono e rimangono delle curiosità, poiché pare altamente improbabile – ma chissà, tutto è possibile – che possano fare parte del suo repertorio futuro. Un sottile fil rouge nella scelta delle arie può esser rappresentato dal fatto che ben tre opere sono tratte da drammi schilleriani.  Oltre al marito, intervengono Piotr Beczala che interpola un do acuto nel suo intervento fuori scena in “Sempre libera”, e Nicole Brandolino, che con le poche frasi di Anna Kennedy è subito riuscita a destare il mio interesse.   Gianandrea Noseda alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino accompagna il soprano con impeccabile senso stilistico, sempre attento a sostenerla, suggerendole delle colorazioni tramite l’importanza data ad alcuni strumenti chiave, che però non arrivano mai a coprirla. Mi si perdoni la battuta alquanto scontata, ma questa è una fiamma che riuscirà a riscaldare soltanto i fervidi ammiratori del soprano tedesco.