Walter Daga. Il violino italiano nel mondo.

Un grande violinista italiano, protagonista di una vita entusiasmante, dedicata alla diffusione della ‘buona musica’ nel mondo e costellata di momenti e di incontri straordinari. E un grande maestro, che ha formato ed educato (e continua a farlo!) generazioni di musicisti, che occupano oggi posizioni di prestigio nelle grandi orchestre internazionali, e che ho il piacere e l’onore di presentare al pubblico di GBOPERA.
Anzitutto sappiamo che è nato a Venezia ed è molto fiero delle sue origini lagunari. Ci racconti il suo legame con questa città straordinaria e con la sua tradizione musicale.
Sì ne sono molto orgoglioso perché è una delle più belle città del mondo, dove si respira ad ogni passo arte e amore per le cose belle e raffinate.
Città con un grande e storico teatro, La Fenice, dove giovanissimo ho potuto suonare come aggiunto in orchestra e incontrare e ascoltare solisti come: Rubinstein, D. Oistrakh, Rostropovich, Milstein (da cui ebbi anche un paio di lezioni quando soggiornava all’Hotel Des Bains al Lido), Clara Haskil, Ștefan Gheorghiu, Michelangeli (maestro di mia sorella al Conservatorio), Alfred Cortot in uno dei suoi ultimi concerti pieni di poesia. E poi direttori come L. Von Matacic, S. Celibidache, con cui giocavo a pallone al Lido e che in due mesi di permanenza ci fece approfondire le sinfonie di Beethoven e il repertorio francese (Debussy, Ravel…), Igor Stravinskij con la prima della sua Messa ai Frari. Certo avessi avuto allora il cellulare, sai le foto!
E oltre al teatro, un Conservatorio, il B. Marcello, bel palazzo su Canal Grande con ottimi insegnanti: P. Borciani, F. Rossi, rispettivamente fondatore-primo violino l’uno e violoncellista del celebre Quartetto Italiano l’altro, E. Bagnoli, accompagnatore di tutti i famosi solisti del tempo.
Ricordo il mio esame d’ingresso a otto anni, quando avevo eseguito La Follia di Corelli davanti a Gian Francesco Malipiero e i saggi, presenziati dalla Rai e dal Patriarca Roncalli, che poi divenne Papa Giovanni XXIII. Al mio esame di quartetto invece, non essendoci allievi del mio corso, ero stato accompagnato dal Quartetto Italiano. Da quel momento iniziava la mia carriera di violinista!
Leggiamo poi della sua formazione viennese. Un ‘Veneziano a Vienna’ chi ha incontrato? Cos’ha fatto?
Tempi duri quelli (1960-61)! Treno di notte Venezia-Vienna. Valigia, violino, trovare al mattino con un tedesco rudimentale l’Accademia, suonare subito davanti ad una numerosa commissione per poter entrare ed usufruire della borsa di studio del governo austriaco (all’epoca non c’era l’Erasmus!)
Vienna era una città con una voglia enorme di musica (opere, concerti, il Wozzek di Berg con Karajan), un’orchestra stupenda, La Filarmonica, ed un ottimo insegnante, Ricardo Odnoposoff, sempre secondo ad Oistrack nei grandi concorsi internazionali, complice la sua giovane età. All’epoca di italiani eravamo solo io e Claudio Abbado. Ricordo le serate di birra e musica al pub Graben con Friedrich Gulda, Martha Argerich, Nelson Freire e tanti altri.
La sua carriera di violinista l’ha portata ad esibirsi nelle più prestigiose sale del mondo e a collaborare con i più grandi musicisti del Novecento. Chi e cosa ricorda con maggiore affetto?
È stato bello poter suonare in tante sale prestigiose, vedere tante belle città ed essere ambasciatori della nostra bella musica e della nostra cultura. All’epoca non eravamo derisi, ma invidiati e molto stimati.
Con gli artisti dell’epoca ho potuto familiarizzare e godere talvolta anche della loro amicizia, grazie al mio carattere e al mio ruolo speciale in orchestra. E vista la solitudine che accompagna molti musicisti, era sempre un piacere averli a cena dopo le prove.
Impossibile scegliere… tra tutti ricordo con molto affetto e stima il maestro Goffredo Petrassi per la sua signorilità e gentilezza e Luciano Berio per il suo sapere. Oltre a questi, Antonio Pedrotti, direttore stabile per molti anni dell’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, che rifiutava offerte da grandi teatri europei ed americani per rimanere con noi. Ricordo le sciate della domenica in sua compagnia, poi la Linzer Torte, il vino Silvaner e le belle conversazioni.
E naturalmente i Solisti Veneti del M° Scimone, con cui collabora tuttora. Qual è il suo rapporto con questa prestigiosa orchestra, detentrice e ambasciatrice già dal suo nome di una grande tradizione musicale?
Il grande M° Scimone è stato il mio primo direttore stabile nel 1959, anno della fondazione dei Solisti Veneti. Il suo entusiasmo e la sua gioia nel far musica erano incredibili. Fu una bellissima partenza! Purtroppo io avevo nel sangue l’inquietudine di quella giovane età, che spinge verso nuove frontiere ed esperienze. Solo dopo molti anni ho avuto la fortuna e la possibilità di ritornare a fare musica con lui.
La gioia, la bellezza, la freschezza che sa trarre da queste partiture barocche è unica e ha conquistato per più di 50 anni il mondo. Scimone ha dato alla musica di Vivaldi una luminosità, che è quella di Piazza San Marco e del Palazzo Ducale e ha saputo ottenere dai Solisti Veneti una potenza di suono incredibile. Ricordo che una volta a Dresda, durante una prova, prima di un concerto, il direttore del Teatro disse che avevamo una sonorità superiore alla sua grande orchestra!
Lei è stato fondatore del Festival di Musica Contemporanea di Bolzano. Qual è il valore della musica colta contemporanea? Possiamo parlare di una funzione sociale della musica colta contemporanea o si tratta di una musica ontologicamente priva di pubblico, parafrasando Baricco?
Quello del Festival di Musica Contemporanea di Bolzano è stata un’esperienza entusiasmante. Siamo partiti con 12 ascoltatori al primo concerto dell’oboista tedesco Lothar Faber per passare in pochissimo tempo a 1000-1500 ascoltatori. Grande programmazione dell’amico Stuppener e grandi successi!
Penso che si possa parlare di una funzione sociale della musica colta contemporanea… è che non ascoltiamo sempre la migliore nei nostri teatri. Ho amici, giovani compositori, a cui non è dato assolutamente spazio. Questa è l’Italia!
Oltre che come violinista è riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo come ‘Maestro’. Qual è il rapporto tra insegnamento e attività concertistica?
Per essere bravi insegnanti non occorre essere necessariamente grandi esecutori. Ed è la storia che ce lo insegna. Abbiamo avuto grandi maestri che non vengono ricordati come esecutori memorabili.
L’insegnante deve prima di tutto saper suonare i pezzi che i ragazzi studiano, analizzarne le difficoltà e saperle risolvere. Ma la cosa più importante rimane l’amore per la musica e per loro, gli allievi, capire i problemi di ognuno, aiutarli a crescere nella gioia e nella bellezza dello studio musicale. Bisogna dare fiducia ad ognuno nelle proprie possibilità e capirne le difficoltà.
Se sei soddisfatto di te stesso come musicista ed esecutore naturalmente questo l’allievo lo percepirà.
Sappiamo che molti dei suoi allievi non utilizzano la spalliera. Esiste un ‘metodo Daga’? Se sì, quali sono i fondamenti di questa ‘scuola’?
Non utilizzare la spalliera in realtà è la continuazione della scuola del grande violinista ungherese Tibor Varga. A parte il fatto che quando vedo questi piccoli violinisti con questi orpelli, penso se sarebbe saggio mettere addosso ad un bambino che inizia a muovere i primi passi due grucce e non invece lasciarlo fare naturalmente!
Comunque credo che nel suonare con il violino ‘libero’ si realizzi un abbraccio particolare, una libertà unica di movimento e, come diceva Oistrakh, l’assenza della spalliera dà alla mano sinistra una profondità di tocco incredibile. Certo è una scuola e bisogna saperla insegnare!
 È nota la sua partecipazione alla Johannes Brahms Competition e a molti altri concorsi nazionali e internazionali. Come riconosce ‘il musicista’?
Nei concorsi internazionali io ascolto sì la parte tecnica e musicale, ma mi pongo anche come pubblico per sentire cosa il concorrente può dare come percezione del pezzo, sensazione ecc…
Qual è il ‘profilo’, per usare un termine 2.0, del violinista di oggi?
Oggi sento tanta tecnica ma poca musica, personalità sbiadite se penso ai solisti del secolo scorso… Tanto apparire e qui purtroppo c’entra la televisione! Il ‘vedere’ conta ormai molto più dell’ascoltare… troppo!
Che rapporto ha con l’opera? 
Ottimo il mio rapporto con l’opera. Giovanissimo ho potuto suonare con il maestro Peter Maag quasi tutte le opere di Mozart e grazie a questo ho capito le sue sonate e i suoi concerti. Fondamentale!
Mi piacciono molto Puccini, Rossini, Verdi, i Francesi, i Russi (ricordo un favoloso ‘Principe Igor’ di Borodin al Teatro Filarmonico di Verona con il Teatro di Mosca). Ho cercato di leggere anche i libretti e gustare la bravura dei grandi compositori nell’unire parola e musica. Purtroppo ho fatto poco Wagner… nella prossima vita forse?!
Le Marche e la fondazione del Festival di Lapedona. Ci racconti il legame con questa terra e l’idea del Festival ‘Musica in Collina’ (dal 2  al 9 agosto).
Il Festival di Lapedona è nato nel 2004, quando organizzavo corsi estivi nelle Marche e mi ero innamorato della Regione. Ero rimasto particolarmente colpito da questo piccolo paesino medievale, Lapedona, che conta 90 anime, e ho proposto al Sindaco e all’Assessore alla Cultura di organizzare un festival di musica classica, un’idea che hanno subito appoggiato. E così è nato ‘Musica in Collina’! E’ stato subito un successo: la prima sera erano presenti 250 persone! Il piccolo paese di Lapedona impazziva di gioia e da quel momento siamo arrivati con quest’anno all’undicesima edizione. Si tratta di un Festival in cui chiamo artisti che ascolto quando sono in commissione in concorsi internazionali. In questo modo aiuto i giovani concertisti ad avere, oltre al premio in denaro, la possibilità di un concerto e di esibirsi in una cornice straordinaria.
Ogni anno il Festival si conclude poi con un’operina buffa, un genere un po’ dimenticato in Italia e che invece desta la simpatia e il favore del pubblico.
Una medaglia per la diffusione della musica italiana nel mondo. Che valore ha per lei questo riconoscimento.
I riconoscimenti in generale, come la medaglia del Presidente della Repubblica, la cittadinanza onoraria di Lapedona e i tanti avuti insieme ai Solisti Veneti, fanno sempre molto piacere.
Ma il riconoscimento più grande è quello delle telefonate e delle visite di ex allievi e dei racconti dei loro successi.