George London (1920-1985): “On Broadway”

Richard Rodgers:“Oh! What a beutiful mornin”, “The surrey with the fringe top” (Oklahoma!); “This nearly was mine” (South Pacific); “If I loved you”,” Soliloquy” ( Carousel);  Fredericik Loewe: “They call the wind, Maria” (Paint your Wagon), “There but for you go I” (Brigadoon), “On the street where you live “(My fair lady); Kurt Weill: “September Song”(Knickerbocker Holiday);  Jerome Kern: “All the things you are” (Very Warm for May), “Ol’man river” (Showboat). The Roland Show orchestra, Roland Show (direttore). Registrazione: Londra, 1957
Bonus tracks dall’album Great Scenes from Wagner
Richard Wagner:”Leb wohl, du kühnes, herrliches kind” (Die Walküre); “Was duftet doch der Flieder”, “Whan! Wahn! Überall Wahn!” (Die Meistersinger von Nürnberg). Wiener Philarmoniker, Hans Knappertsbusch (direttore)
Registrazione: Vienna, Sofiensaal, giugno, 1958.
T.Time: 71. 35. 1 CD Decca 0289 480 8163 9
Questa registrazione Decca ripropone un insolito recital discografico inciso nel 1957 dal basso-baritono canadese George London e dedicato ai classici del musical americano nella sua stagione aurea. Accompagnato da una compagine orchestrale specializzata nel genere come la Roland Show Orchestra, che mostra una perfetta padronanza stilistica di questo repertorio, London si dimostra altrettanto a suo agio in questo tipo di vocalità che, pur derivando da quella della tradizione lirica soprattutto mitteleuropea, se ne differenzia per numerosi aspetti. Sul piano strettamente vocale, i mezzi di London erano all’epoca semplicemente straordinari: una voce scura, brunita quasi da bass-baritone, ma capace di salire con facilità nel settore acuto pieno di suono e ricco di squillo e proiezione, perfettamente omogenea in tutta la gamma e sorretta da un magistrale controllo del fiato e dell’emissione; onnipotenza vocale che deve essere piegata alle esigenze di un repertorio dove prevalgono altre componenti, come il senso ritmico e la capacità di valorizzare la parola in forme diverse rispetto al repertorio classico, ma che London riesce a rendere molto bene giocando con intelligenza sul contrasto fra la tipologia vocale e le linee melodiche affrontate.
I primi ascolti proposti provengono da tre musical di Richard Rodgers; due sono classici assoluti del genere come “Oklahoma!” (1931) e “South Pacific” del 1950 e forniscono un quadro generale delle caratteristiche del genere. “Oh! What a beautiful mornin”, ancora legato a moduli di derivazione operettistica seppur influenzati da echi jazzistici, esalta perfettamente a bellezza timbrica della voce di London, che chiude la canzone con un impressionante acuto a piena voce, mentre “The Surrey with the fringe on top” ha un andamento più moderno e armonicamente irregolare, dove i moduli del jazz e della musica popolare americana si fanno decisamente preminenti, richiedendo al cantante una vocalità meno impostata che London riesce ottimamente ad ottenere piegando alle necessità espressive il proprio materiale vocale così apparente inadatto; da segnalare alcune bellissime mezze voci che testimoniano il perfetto controllo dell’emissione del cantante.
Pensato, invece, per una voce lirica di grande prestigio come quella di Ezio Pinza “This Nearly was Mine”, da “South Pacific”, maggiormente si adatta all’impostazione vocale di London con il suo andamento lento e solenne, che rilegge in stile operistico i moduli stilistici tipici del sud statunitense e dei canti di lavoro delle piantagioni e delle miniere.  I due brani da “Carousel” risentono della natura di questo lavoro ambizioso, ma non particolarmente riuscito; composto con grandi ambizioni nel 1945, il lavoro non è mai riuscito ad imporsi per un’eccessiva ricerca di spettacolarità, il che ne ha limitato la sincerità espressiva. L’orchestrazione è qui particolarmente ricca e la vocalità di “If I Loved You” risulta decisamente operistica, mentre “Soliloquy” gioca con una pluralità di registri e con un continuo passaggio fra l’autentico cantato, una sorta di arioso e un recitativo quasi parlato che esplode nel finale in un crescendo di forza, che porta la voce su tessiture decisamente molto alte per il genere. London è bravissimo nel differenziare i vari moduli stilisti e a giocare su accento e fraseggio e naturalmente domina con facilità le espansioni nel settore acuto, ma nonostante l’ottima esecuzione questi brani non riesco a convincere fino in fondo.  I brani degli autori successivamente presentati seguono sostanzialmente le linee qui descritte, tanto sul piano stilistico quanto su quello esecutivo. Di Friedrick Loewe sono presentate “They call the wind Maria” da “Paint your wagon” del 1951, dall’andamento brillante e scanzonato di sapore pienamente jazzistico, e due canzoni da “Brigadoon” del 1947, dalle atmosfere magiche e sognanti; soprattutto la prima, “There but for you”, ricorda quasi per vocalità e scrittura orchestrale certi brani delle operette di Lehar.  Cavallo di battaglia di Enzo Pinza, “Semptember song” di Kurt Weil è letto da London con minor abbandono lirico rispetto al basso italiano e con una vocalità più tesa e scandita dovuta anche alle diverse caratteristiche vocali di partenza. Il programma è completato da due canzoni di Jerome Kern, il lirico e disteso andante “All Time things you are” da “Vary Warm fro May” del 1939 e una canzone simbolo dell’identità americana come “Ol’man river” da “Showboat” del 1927, perfetta trasposizione in forme colte delle radici più profonde della musica statunitense in cui la bellissima voce di London, affiancata dall’intenso canto del coro, trova accenti di profonda commozione oltre a svettare con sicurezza su una tessitura decisamente impegnativa.
 Per occupare la parte restante del CD, la Decca ha inserito alcuni brani wagneriani registrati a Vienna nel 1958 con i Wiener Philarmoniker diretti da Hans Knappertsbusch. Se è difficile immaginare contrasto più stridente fra le due parti del programma, la qualità esecutiva dei brani proposti è tale che ci si lascia rapidamente conquistare. London è un Wotan di portata storica, l’unico a poter reggere nella visione antitetica del personaggio il confronto con il paradigma di Hotter. In lui, il signore degli Dei perde l’onnipotenza omerica con cui lo affrontava il basso tedesco e diventa una figura più giovanile, più passionale, quasi rabbiosa nel reagire alla tragedia cosmica da lui stesso creata, figura più tragica che epica. La voce domina con apparente naturalezza l’impervia tessitura del finale di “Die Walküre”, gli acuti hanno uno squillo e una pienezza di voce impressionante; il controllo dell’emissione è esemplare – magnifico l’appoggiarsi della voce su “der Gott!”, infinita la morbidezza del canto in “Der Augen leuchtendes Paar”, di impressionante nitore la scansione dell’accento nell’invocazione a Loge. Completano il programma due estratti da “Die Meistersinger von Nürnberg”, il Sachs di London è ad un tempo autorevole e paterno ed in lui il profondo senso di malinconia del personaggio si unisce sempre ad un’inesausta forza interiore che la pienezza e la varietà dell’accento rendono pienamente, mentre l’orchestra di Knappertsbusch crea suoni di inarrivabile bellezza; da ascoltare con attenzione l’abbandono melodico che accompagna il “Johannestag” alla conclusione di “Wahn! Wahn! Überall Wahn!