Napoli, Duomo
“DIXIT DOMINUS” – “CANTATA PER LA TRASLAZIONE DEL SANGUE DI SAN GENNARO”
Musica di Pasquale Cafaro
La Fede MARIE-PIERRE ROY
La Gloria ADRIANA DI PAOLA
Il Tempo ROSANNA SAVOIA
Il Sebeto BLAGOJ NACOSKI
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Pietro Borgonovo
Maestro del Coro Marco Faelli
Napoli, 10 ottobre 2015
La stagione sinfonica 2015-16 del Teatro di San Carlo ha omaggiato la conclusione delle celebrazioni di San Gennaro con l’esecuzione, nella splendida cornice del Duomo napoletano, di due opere sacre inedite del compositore salentino Pasquale Cafaro (1708-1787), un maestro della mitizzata ‘scuola napoletana’ stimato da Mozart e da uno stuolo di allievi illustri. La continua riproposta di melodrammi e lavori sacri degli operisti settecenteschi, che ha interessato ormai da un quindicennio la vita concertistica italiana ed europea, ci ha arricchito d’un bagaglio esperienziale e di un’esperienza d’ascolto utili all’esercizio critico, al giudizio estetico. Qualche settimana prima del concerto a Napoli, nella basilica di San Nicola di Bari veniva eseguita una messa inedita di Niccolò Piccinni, e un mese prima a Taranto e a San Vito dei Normanni (Brindisi) si erano conclusi due festival dedicati rispettivamente a Giovanni Paisiello e a Leonardo Leo. Si vuol dire, insomma, che forti della possibilità di ascoltare questi autori, oggi non più così ‘dimenticati’, si ha modo di instaurare un confronto e dunque di meglio giudicarne gli stili. Il Cafaro del Dixit Dominus, composto nel 1771 durante la piena maturità (la fonte autografa si conserva nella Biblioteca del conservatorio di Napoli), si adegua a una nuova semplicità polifonica che prende le distanze dal contrappunto fitto del giovane Piccinni o degli autori nati alla scuola di Francesco Durante, per rendersi duttile ai tanti descrittivismi musicali che effigiano il testo salmodico. L’attenzione è sempre rivolta a ben concatenare i colori delle diverse tonalità al fine di rendere varia la linearità di fondo. Il coro del Teatro di San Carlo preparato da Marco Faelli ha ben interpretato questa voluta semplicità mostrando una buona omogeneità di suono (piccoli ritardi d’entrata si notavano nella compagine maschile, specialmente nei tenori).
Un discorso diverso va fatto per la Cantata per la traslazione del Sangue di San Gennaro (la quarta scritta da Cafaro, nel 1781; la fonte si conserva alla Biblioteca Nazionale di Parigi) che palesa i tratti del melodramma coevo nella confezione dei recitativi secchi (l’unico accompagnato dall’orchestra si colloca nel momento che descrive la liquefazione del sengue del santo) e delle quattro arie col daccapo che articolano il dialogo tra il fiume partenopeo Sebeto con la Gloria, la Fede e il Tempo. Piuttosto atipici per il genere della cantata sacra napoletana sono i passi latini realizzati a turno dai solisti del coro con il sostegno dell’organo al posto del clavicembalo: potrebbero interpretarsi come stazioni di un’ideale processione di avvicinamento all’altare? O singole meditazioni (anche se non correlate col testo della cantata) a scopo di ricreazione spirituale e devozionale? Di certo quegli inserti spingono a ipotizzare una spazializzazione della cantata che per statuto rifuggiva da ogni possibile deriva in direzione mimetico-teatrale. Queste riflessioni si son fatte per dimostrare che l’ascolto vivo di queste musiche ha il valore aggiunto di stimolare la riflessione storiografica e, talvolta, di ribaltarne le convinzioni e gli assunti invalsi. La scrittura di Cafaro, a onor del vero, non spicca per novità o per espressività. L’alto artigianato compositivo non va sminuito ma considerato in un contesto produttivo di routine. Eccezion fatta per l’aria del Tempo Legge al tutto il sommo Dio con oboe concertante, che spicca per un’invenzione melodica squisita, e per l’aria di Sebeto Fu viva la Fede, dove la necessità di tradurre musicalmente la parola «sangue» (parola chiave dell’intera celebrazione omaggiata dalla cantata) induce Cafaro a delineare nella linea dei violini figure melodiche contorte e melodicamente inconsuete per salti dissonanti (è l’«estremo dolor» provato da Sebeto per la presunta perdita della Fede da parte del popolo di Napoli). Pietro Borgonovo ha saputo condurre l’orchestra del San Carlo con mano sicura assicurando giusti stacchi di tempo, che in questo repertorio sono spesso responsabili della buona riuscita di un’aria, e adeguati giochi di colore dinamico (non sempre presenti nel coro che è rimasto piuttosto monocromatico). Tra i quattro solisti si è distinto Blagoj Nacoski ottimo nel timbro e nella dizione dei recitativi, sicuro nei passaggi di registro (peccato che non abbia svolto la cadenza nella sua aria); al colore scuro della voce di Rosanna Savoia, in quest’occasione un po’ troppo vibrata, si contrapponeva la chiarezza di quella di Marie-Pierre Roy, non sempre limpida nella pronuncia del testo dei recitativi (anche lei ha evitato di realizzare la cadenza dell’aria); debole nella zona grave la voce del mezzosoprano Adriana Di Paola che sfoggia una verve attoriale lodevole nella gestione dei recitativi.