Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 – Lipsia 1750)
Concerti brandeburghesi BWV 1046-1051
1 in fa maggiore BWV 1046 (Allegro)-Adagio-Allegro-Menuet, Trio I, Menuet, Polonaise, Menuet, Trio II, Menuet. Durata: 22’ca
2 in fa maggiore BWV 1047 (Allegro)-Andante-Allegro assai. Durata: 16’ca
3 in sol maggiore BWV 1048 (Allegro)-Allegro. Durata: 11’ca
4 in sol maggiore BWV 1049 Allegro-Andante-preso. Durata: 20’ca
5 in re maggiore BWV 1050 Allegro-Affettuoso-Allegro. Durata: 23’ca
6 in si bemolle maggiore BWV 1051 (Allegro)-Adagio ma non tanto-Allegro. Durata: 18’ca
Al periodo trascorso a Köthen appartengono i 6 Concerti Brandeburghesi nei quali Bach sperimentò diverse soluzioni formali, compositive e strumentali. Egli stesso nella dedica al margravio di Brandeburgo Christian Ludwig fece riferimento alla varietà delle soluzioni strumentali di questi concerti, intitolati dal compositore in francese Concerts avec plusieurs Instruments (Concerti con più strumenti) e ribattezzati dal musicologo Philipp Spitta Brandeburghesi proprio in riferimento alla dedica al margravio di Brandeburgo. Il francese fu scelto anche per la dedica tradotta dal tedesco, molto probabilmente, dal contabile di corte Jean-Franois Monjou:
“Mio signore, come già da un paio d’anni ebbi la buona sorte di fare intendere a Vostra Altezza Reale, in virtù dei suoi ordini che allora facevo notare… mi sono preso dunque la libertà di rendere i miei umilissimi servizi con i presenti concerti, che ho accomodato a parecchi strumenti; La prego umilissimamente di non voler criticare la loro imperfezione con quel rigore di gusto, fine e delicato che tutti Le riconoscono per i brani musicali; ma piuttosto di tenere in benigna considerazione il profondo rispetto e l’umilissima ubbidienza che mi sforzo di testimoniarle. Per il resto, Mio signore, supplico umilissimamente Vostra Altezza Reale, di avere la bontà di continuare le sue buone disposizioni ne’ miei confronti, e di essere persuaso che non ho nulla di tanto a cuore che potere essere occupato in occasioni più degne di Lei e del Suo servizio. Io che sono di uno zelo senza pari, l’umilissimo e obbedientissimo servitore Johann Sebastian Bach”.
Probabilmente l’autografo bachiano non fu preso in grande considerazione dal margravio e, dopo una serie di passaggi di mano impossibili da ricostruire, giunse, nel 1754, in possesso di Johann Philipp Kirnberger, uno degli allievi prediletti di Bach, all’epoca violinista nella cappella imperiale alla corte di Potsdam; questi, ottenuto nel 1758 l’incarico di maestro di musica della principessa Anna Amalia di Prussia, regalò a quest’ultima il prezioso manoscritto. Alla morte della principessa il manoscritto, che costituisce l’unico documento in cui tutti e sei i concerti sono raccolti, fu conservato nella Biblioteca dello Joachimstahl Gymnasium e, infine, nella Biblioteca di Stato di Berlino dove è ancora oggi custodito. La suddetta dedica, contenuta nella lettera del 24 marzo 1721, permette di stabilire un terminus ad quem per la composizione dei concerti, anche se è abbastanza difficile risalire al terminus a quo e all’ordine esatto di composizione. Non si sa nemmeno se Bach abbia concepito il ciclo dei sei concerti in modo organico o se li abbia raccolti in seguito. Alcuni ritrovamenti, attestanti che una parte di questi concerti era già stata composta da Bach nel 1708 mentre si trovava ancora a Weimar, hanno fatto vacillare la tesi della concezione unitaria dei Brandeburghesi, tesi smentita anche dalla tradizione manoscritta, in quanto l’intero ciclo dei sei concerti è contenuto in un solo manoscritto posteriore a quelli, numerosi, relativi ai singoli concerti. L’ipotesi unitaria è favorita da un aneddoto in base al quale Bach avrebbe avuto la commissione di comporre un ciclo di sei concerti direttamente dal margravio Christian Ludwig con il quale si era incontrato nel mese di settembre a Berlino dove si era recato per acquistare un nuovo clavicembalo per conto del principe Leopold di Köthen alle cui dipendenze lavorava in quel periodo. Secondo questo aneddoto Bach avrebbe iniziato proprio in quei giorni la composizione del Sesto concerto e nei mesi successivi quella del Terzo e del Secondo prima di un altro soggiorno berlinese nelle prime due settimane del mese di marzo del 1719. Che il ciclo dei 6 Concerti Brandeburghesi sia stato concepito in modo unitario o no è, in realtà, poco importante, in quanto ciò che conta è il fatto che Bach abbia dato anche a posteriori un’organizzazione unitaria a concerti già composti singolarmente in altri momenti e per altre occasioni. Secondo alcuni studiosi Bach avrebbe, infatti, organizzato a posteriori in un ciclo unitario questi concerti composti in epoche diverse e dalla grande varietà formale per consegnare ai posteri degli exempla della varietà con la quale sia possibile trattare la forma del concerto.
Un esempio, che contribuisce a rendere ancor più spinosa la questione sulla concezione unitaria del ciclo, è costituito dal Primo Concerto in fa maggiore BVW 1046 che presenta un’insolita struttura formale e un organico molto particolare, costituito da due corni, da tre oboi, da un fagotto, da archi, dal basso continuo e da un violino piccolo[1] concertante, la cui parte, molto probabilmente, fu scritta per il violinista francese Jean-Baptiste Volumier, all’epoca Konzertmeister alla corte di Dresda. Risulta, inoltre, alquanto difficile risalire alla data di composizione di questo concerto, in quanto esso si presenta come una rielaborazione di una Sinfonia composta non si sa nel 1716 o nel 1713, in tre soli movimenti (Allegro-Adagio-Menuetto con due trii), che fungeva da introduzione alla Jagdkantate; alla Sinfonia Bach aggiunse un altro movimento e una breve polacca in omaggio all’elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto I. La composizione, quindi, di questo concerto non è direttamente connessa con la conoscenza, da parte di Bach, del margravio del Brandeburgo. Dal punto di vista formale il concerto si articola in modo anomalo in quattro movimenti con un Allegro iniziale che mostra la sua origine sinfonica per la scrittura orchestrale abbastanza ricca con la divisione, nelle tre sezioni, dei corni, dei legni, degli archi e del violino piccolo concertante che si associa ora agli uni ora agli altri strumenti. In questo movimento non esistono veri e propri episodi solistici, mentre il secondo, Adagio, caratterizzato da un organico più leggero in quanto privo dei corni, è costituito da un semplice tema discendente sottoposto a variazioni ed esposto dall’oboe (Es. 1). Il terzo movimento, composto espressamente per il concerto, è l’unico in cui si trovano episodi solistici affidati al violino piccolo, mentre il quarto, per la sua particolare struttura, è il più originale e, per certi aspetti, il più anomalo dell’intero concerto, in quanto formalmente assimilabile a un Rondeau, con il minuetto che funge da refrain tra i due trii e la polacca. La presenza di queste danze, che assimila formalmente questo lavoro più a una suite di gusto francese che a un Concerto, potrebbe stupire, ma la scelta di Bach di rivolgersi al modello francese può essere spiegata dal fatto che la corte di Versailles rappresentava un modello da imitare per i regnanti d’Europa. Anche il margravio Christian Ludwig, a cui è dedicata l’intera raccolta, guardava alla corte francese come a un modello da imitare.
Diverso è il Secondo Concerto in fa maggiore BWV 1047 nel quale si afferma il modello vivaldiano rielaborato da Bach in modo originale; lo schema in tre movimenti, la forma a ritornello dei tempi veloci e l’incisività ritmica dei temi, tipici del concerto italiano, sono, infatti, rivisti alla luce dello stile della produzione strumentale bachiana e, più in generale, tedesca. L’influenza della musica strumentale tedesca è evidente nell’organico del concertino, dove su un violino prevale l’uso degli strumenti a fiato con una tromba, un flauto dolce e un oboe. All’interno del concertino un ruolo predominante è assunto dalla tromba alla quale vengono affidate intere parti solistiche che, in alcuni passi, sembrano trasformare formalmente questo concerto da grosso in solistico. Tipiche del linguaggio bachiano sono la scrittura contrappuntistica e la preferenza per una maggiore organicità della composizione ottenuta grazie ad un’attenuazione del contrasto fra le parti del concertino e del ripieno che, invece, si amalgamano in una sintesi quasi perfetta. La parte iniziale del primo movimento, Allegro, è un classico esempio della rielaborazione originale, da parte di Bach, del modello vivaldiano, in quanto l’esposizione del ritornello, affidata a tutta l’or-chestra, presenta l’incisività ritmica della musica italiana (Es. 2), mentre le entrate dei singoli strumenti del concertino avvengono in modo simmetrico, dal momento che ogni strumento interviene per due battute lasciando il posto al tutti (Es. 3). Interessante, dal punto di vista strumentale, è il secondo movimento, Andante, nel quale Bach operò una drastica riduzione dell’organico limitandolo al concertino con l’esclusione della tromba, la cui parte, virtuosistica nei movimenti esterni, è abbastanza faticosa da sostenere per tutta la composizione. In questa forma il movimento si presenta come quello di una sonata a tre, mentre tipicamente bachiano è l’ingresso a canone dei tre strumenti (Es. 4). La scrittura contrappuntistica si afferma, infine, nell’ultimo movimento, Allegro, strutturato secondo i canoni di una fuga concertante. Qui il rapporto tra i Tutti e i soli è sbilanciato a favore di quest’ultimi che occupano uno spazio maggiore a differenza di quanto era avvenuto nel primo movimento.
Il Terzo Concerto in sol maggiore BWV 1048 è particolare, sia per l’organico costituito da soli archi (3 violini, 3 viole, 3 violoncelli) e basso continuo senza il concertino, sia per la struttura formale in due movimenti separati da una cadenza con una possibile improvvisazione ad libitum del clavicembalo o di un altro strumento. L’organico, limitato ai soli archi, rende questo concerto, che chiude la prima parte della raccolta, simile al Sesto che presenta lo stesso organico a dimostrazione del fatto che Bach diede a posteriori un’organizzazione unitaria a tutta l’opera. L’assenza del concertino è stata interpretata, invece, come un indizio di arcaicità e per questo motivo si ritiene che il concerto sia stato composto durante il periodo di Weimar come ouverture per qualche cantata. Nel primo movimento è evidente la coesione tematica tra l’esposizione e il primo episodio concertante al quale partecipano tutti gli strumenti in una scrittura imitativa. Il secondo movimento è una vivacissima giga strutturata in modo bipartito. Tra il primo e il secondo movimento del Concerto è stata collocata da Bach una cadenza frigia marcata con il tempo Adagio, ancora oggi piuttosto enigmatica dal punto di vista interpretativo. È indubbio, infatti, che questo momento di stasi musicale vada colmato, ma l’esecuzione dei due accordi appare insensata e poco artistica. È probabile che Bach abbia lasciato all’estro degli esecutori il compito di colmare questo vuoto con un’improvvisazione o affidata al cembalo o ad altri strumenti melodici. Appare totalmente scorretta la scelta di sostituire questo due battute con un non ben precisato Adagio preso da qualche altra composizione di Bach. L’improvvisazione sui due accordi è oggi la scelta adottata nella prassi esecutiva del concerto.
Se il concertino è del tutto assente nel Terzo concerto, nel Quarto in sol maggiore BWV 1049 presenta un organico originale, composto da un violino e due flauti in eco, utilizzati molto probabilmente per evidenziare il virtuosismo di Gottfried Pepusch che suonava nell’orchestra di Berlino. Questi strumenti, chiamati, nella partitura, da Bach Flauti d’Echo ed erroneamente tradotti come flauti dolci, in realtà, secondo quanto affermato da Thurston Dart, corrisponderebbero ai flageolet francesi che, all’inizio del Settecento, si erano diffusi anche in Inghilterra ed erano in due taglie, una accordata in re, simile al flute-â-bec ma intonata un’ottava sopra, e una in sol, chiamata anche flauto piccolo o flageolet-à-oiseau, perché impiegato nelle scene dove venivano evocati canti di uccelli. In definitiva il flauto in eco, chiamato nei giornali londinesi echo flute, era probabilmente uno strumento molto simile al moderno flauto dolce, capace di suonare un’ottava sopra la scrittura. In questo concerto Bach seguì il modello corelliano sia nella struttura tripartita sia nella presenza di una cadenza frigia nella conclusione del secondo movimento. Il primo movimento, Allegro, è molto corposo ed è tutto giocato sul contrasto tra il violino e i due flauti, da una parte, e tra questi, che formano il concertino e il ripieno, dall’altra, mentre il terzo, Presto, si distingue per una scrittura contrappuntistica che richiama il modello della sonata da chiesa. L’Andante centrale è una pagina cantabile alla quale partecipano tutti gli strumenti senza interventi solistici di rilievo, come avviene solitamente in un concerto, eccezion fatta per due brevi passi del flauto solista.
Il Quinto Concerto in re maggiore BWV 1050 è uno dei più antichi, in quanto una prima versione fu scritta, molto probabilmente, nel 1717 in occasione di una sfida con il famoso clavicembalista e organista francese Louis Marchand alla corte di Dresda, ma è anche il più rivoluzionario per il particolare uso del clavicembalo che viene emancipato dal ruolo limitante di basso continuo per assumere quello di strumento concertante. Probabilmente questa scelta fu determinata dal fatto che Bach elaborò la versione definitiva del concerto in occasione dell’inaugurazione del nuovo clavicembalo che aveva acquistato nel 1719 per conto del suo mecenate. Del Concerto esistono ben tre versioni, delle quali la prima si distingue per l’andamento Adagio assegnato al secondo movimento, sostituito in quelle successive con Affettuoso, e per la cadenza che nella prima è di 18 battute, mentre nella seconda e nella terza è di 65. È questo un episodio lunghissimo che anticipa i concerti per clavicembalo del periodo di Lipsia e che rappresenta il consequenziale sviluppo del discorso musicale precedentemente esposto. Come negli altri concerti, il secondo movimento, Affettuoso, presenta una riduzione dell’organico ai soli strumenti del concertino con il violino e il flauto traverso, che eseguono un motivo ascendente, e il clavicembalo, che ne intona uno discendente, mentre il Finale è una classica giga tripartita secondo lo schema A-B-A1.
Il Sesto concerto in si bemolle maggiore BWV 1051, infine, è simmetrico al terzo, in quanto impostato secondo il modello del concerto di gruppo senza concertino. Si pensa che il concerto, diviso, dal punto di vista formale, in tre tempi, sia uno dei più antichi del ciclo. In questo Concerto, il cui organico è limitato, come nel Terzo, ai soli archi, le funzioni del Concertino sono assunte dalla due viole da braccio, al punto che questo lavoro può essere definito formalmente come un Doppio concerto per due viole. Dal punto di vista formale il Concerto non presenta grandi novità con il primo movimento, Allegro, che contamina la struttura del Rondò con quella a ritornelli, mentre il secondo movimento, Adagio ma non tanto, il cui organico è ridotto alla due viole da braccio, al violoncello e al basso continuo, può essere considerato una vera e propria sonata a tre. Nell’ultimo movimento, Allegro, i temi sono molto elaborati in una scrittura di grande densità sonora.
[1] Il violino piccolo è uno strumento barocco caduto in disuso, le cui misure sono molto simili a quelle di un violino costruito per un bambino. L’esemplare più famoso è un Amati conservato al National Music Museum nel Sud Dakota.