Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2015-2016
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Jeffrey Tate
Anton Bruckner: Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore WAB 105
Venezia, 23 aprile 2016
Il maestro Jeffrey Tate – cui è stato conferito, venerdì 22 aprile presso le Sale Apollinee del Teatro La Fenice, il premio Una vita nella musica 2016 – ha diretto la Quinta sinfonia di Bruckner, continuando la rassegna – da lui stesso aperta con la Sinfonia n. 2 – che prevede l’esecuzione, nel corso della corrente stagione concertistica del teatro veneziano, dell’intera produzione sinfonica del compositore di Ansfelden. La sinfonia in programma si segnala, tra le altre dello stesso autore, per la diffusa presenza del contrappunto, la sistematica interconnessione tra i temi, la rigorosa coerenza strutturale che le conferisce un carattere “severo”, l’introduzione lenta con cui si apre – in cui si succedono le cellule tematiche costitutive dell’intera partitura – derivante dai modelli sinfonici del classicismo viennese.
La lettura di Tate è apparsa particolarmente analitica, finalizzata a mettere in luce la più piccola sfumatura come le possenti strutture portanti di questo lavoro, che ha la grandiosità e, insieme, l’austero gusto decorativo di una cattedrale gotica. Di fronte a un tale monumento sonoro un direttore – come peraltro è prassi alquanto diffusa oggi – può decidere di alleggerire, snellire l’esecuzione laddove rischia di apparire prolissa all’ascoltatore, magari attraverso una scelta di tempi improntata a una fondamentale stringatezza. Si tratta di un’impostazione generalmente gradita agli esecutori come al pubblico, in ogni caso più che legittima, che permette, tra l’altro, di individuare con relativa facilità le strutture formali della composizione nel loro insieme, privilegiando la sintesi rispetto all’analisi. Decisamente diverso è apparso l’atteggiamento di Jeffrey Tate, che – da grande direttore qual è – ha avuto il coraggio di proporre una lettura davvero esauriente ed approfondita, la quale – come si è detto – ha permesso di cogliere le macrostrutture di questa partitura come il lavoro di cesello con cui si forma ogni particolare, innanzi tutto a livello timbrico, facendo veramente sentire ogni singola “voce”, pur in un’orchestra tanto monumentale. Certo l’impegno richiesto, in primis agli esecutori, è stato notevole, ma ancora di più lo è stato il risultato raggiunto.
Ci si sente fragili creature di fronte alla straordinaria forza creativa ed espressiva, che si sprigiona da questa sinfonia; e fragile appariva anche il maestro Tate, che con il suo gesto essenziale doveva guidare una così nutrita compagine di musicisti attraverso un’opera di tanto austera e variegata bellezza; eppure non c’è stato un solo momento in cui il direttore non abbia tenuto saldamente in pugno l’esecuzione. Egli ha imposto dei tempi adeguati alla sua volontà di scandagliare nel profondo il pensiero bruckneriano, quindi spesso anche dilatati; ciononostante la sua lettura non è risultata mai monotona, né estenuante, semmai di estrema, struggente espressività. L’orchestra, dal canto suo, lo ha seguito in totale comunanza d’intenti, come soggiogata dal sottile carisma del maestro di Salisbury, senza mai far trapelare le indubbie difficoltà esecutive che doveva affrontare. Ne è risultata un’esperienza indimenticabile: un lungo “Itinerarium mentis in Deum”, che ha avuto momenti contrastanti – di mestizia e di gioia, di sommessa contemplazione e di mistica esaltazione – ad indagare il mistero di quel “Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola”, fino all’apoteosi finale, quando l’inno innalzato alla gloria dell’Altissimo – che “per l’universo penetra, e risplende” –, è risuonato in tutto il suo estatico fervore così come lo aveva concepito l’anima candida del devoto Anton Bruckner, che qui raggiunge forse l’apice del suo indiscusso magistero contrappuntistico.