Opera di Firenze: Diana Damrau & Zubin Mehta

Opera di Firenze – 79° Maggio Musicale Fiorentino – Extra Festival
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore  Zubin Mehta
Soprano  Diana Damrau    
Musiche di Franz Joseph Haydn, Wolfgang Amadeus Mozart, Johann Strauß Jr.
Firenze, 9 giugno 2016    
All’apparenza piuttosto anomalo, questo concerto, collocato nella sezione “extra festival” del Maggio Musicale Fiorentino, era in realtà attraversato da più di un fil rouge, il più vistoso dei quali era rappresentato dalla “viennesità” che accomunava le varie selezioni. La capitale austroungarica è sinonimo di valzer, ritmo che, esploso nella seconda parte del programma dedicato a Strauss figlio, già germogliava nel minuetto del terzo movimento della celebre, monumentale Sinfonia n° 96 di Franz Joseph Haydn, in cui ha particolare rilievo la presenza dell’oboe, strumento obbligato dell’aria mozartiana “Vorrei spiegarvi, oh Dio”.  E proprio quest’aria ha rappresentato il culmine artistico dell’intero concerto, grazie a una Diana Damrau che con questo suo cavallo di battaglia ha fatto completamente dimenticare alcune discutibili incursioni nel repertorio ottocentesco italiano. L’aria di Mozart le dà l’opportunità di sfoggiare quella che attualmente sembra esser la freccia più appuntita del suo arco, ossia un controllo formidabile del canto lento a mezza voce, sul fiato, sostenuto da un legato purissimo e dosato con estrema cura, frutto di un’emissione lieve, eterea che ha come per osmosi tenuto il pubblico con il fiato sospeso, imitando inconsciamente la cantante che infatti di fiati lunghissimi si è rivelata infatti maestra. Questa insostenibile tensione, cui ha contribuito l’oboe, che strumento di seduzione per eccellenza, ha dato vita a un vero e proprio duetto d’amore (e non a caso la tonalità scelta da Mozart è il la maggiore, anch’essa associata alla seduzione in musica), si è interrotta quando l’adagio è sfociato nell’ allegro, quasi brusco ritorno alla realtà, che la Damrau ha interpretato con drammatica ansia e urgenza, riflettendo alla perfezione il testo “partite, correte, fuggite”; alla frase successiva il soprano tedesco è riuscita ad far percepire il rimpianto misto a sarcasmo di Clorinda che ordina al Conte di pensare alla diletta Emilia, e nel più allegro finale ha dato prova di virtuosismo nell’affrontare con intonazione perfetta il terribile intervallo di due ottave meno una terza minore, ovvero dal si 2 al re 5. Nell’ambito di un’esecuzione tanto magistrale, poco conta un lieve stridore dei mi sovracuti, che non è riuscita fra l’altro a ribattere con precisione come scritto in partitura, passaggio in cui eccelleva fino a non molti anni fa. L’oboista Alberto Negroni, partner inappagabile del soprano in questa esecuzione, era fra l’altro stato omaggiato dal direttore d’orchestra alla conclusione della sinfonia haydiana. “Vorrei spiegarvi o Dio “era stata preceduta da “ A Berenice…Sol nascente” K 70, composta da un Mozart preadolescente, aria che la Damrau ha eseguito con diligente professionismo.  La seconda parte del programma ci catapultava nella Vienna di cento anni dopo, nell’Austria felix della seconda metà dell’Ottocento, con un programma tipico dei concerti di capodanno in un tripudio di valzer, csárdás e polke. Zubin Mehta, che aveva già staccato tempi magicamente ipnotici nella prima parte di “Vorrei spiegarvi, o Dio”,  ha dimostrato ancora una volta, se mai ve ne fosse il bisogno, di avere naturale affinità per questo repertorio, con una direzione energica ed effervescente, secondato dall’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, che, giova ripeterlo, è una delle migliori in Italia per pulizia, rotondità e ricchezza del suono, e soprattutto per la capacità di esprimersi come un unico organismo vivente. Diana Damrau in questa sezione si è fatta valere soprattutto per l’enorme comunicativa espressiva, la capacità di trovare il gesto, lo sguardo adatti ad ogni brano, anzi, ad ogni parola del testo. La tecnica vocale è qualcosa che cantante può (anzi dovrebbe) perfezionare con lo studio, ma il carisma è innato, e Diana Damrau ne ha da vendere. Arie come “Frühlingsstimmen” di Johan Strauss Jr., e la “Csárdás” da Die Fledermaus dello stesso compositore le erano sicuramente più congeniali nella prima parte della carriera, quando il timbro era più fresco e limpido, e il registro acuto più spavaldo (scomparse ad esempio sono le variazioni fino al la bemolle 5 che era solita introdurre alcuni anni fa in  Frühlingsstimmen). Intendiamoci, si tratta solo di un confronto fra la Damrau di adesso e quella degli inizi, per cui le esecuzioni che ci ha offerto a Firenze hanno pur sempre raggiunto livelli qualitativi preclusi alla maggior parte delle sue colleghe in questo repertorio. Un curioso “incidente” si è avuto quando, al momento dei bis, la Damrau ha annunciato, usando il titolo italiano, che avrebbe cantato un aria dalla Vedova allegra di Lehár ed invece l’orchestra ha attaccato “Meine Lippen, sie küssen so heiss” dalla Giuditta: poco male, almeno il compositore era lo stesso. In sintesi, un concerto di alta qualità, che ha conquistato per prodezze vocali e per l’atmosfera di festa, dominato da una primadonna che ha sfoggiato ben tre “mise” elegantissime, dal nero/grigio scuro perlaceo delle arie mozartiane al bianco candido che ben si addiceva ad un inno alla primavera, al rosso fuoco dell’ardente aria ungherese. Alla fine del concerto, Zubin Mehta ha voluto ringraziare la veterana violoncellista Fabiana Arrighini che con questa esibizione concludeva la propria lunga carriera. Il pubblico, numerosissimo e entusiasta come raramente accade a Firenze, era quello delle grandi occasioni. Foto Simone Donati