Arena di Verona Opera Festival 2016: “Aida”

Verona, Arena opera festival 2016
 “AIDA”
Opera in quattro atti di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re d’Egitto CARLO CIGNI
Amneris, sua figlia ILDIKÓ KOMLÓSI
Aida, schiava etiope HUI HE
Radamès, capitano delle guardie YUSIF EYVAZOV
Ramfis, capo dei sacerdoti RAFAL SIWEK
Amonasro, re d’Etiopia, padre di Aida AMBROGIO MAESTRI
Un messaggero ANTONELLO CERON
Sacerdotessa ALICE MARINI
Orchestra, Coro e Corpo di ballo dell’Arena di Verona
Direttore Julian Kovatchev
Maestro  del coro Vito Lombardi  
Regia Gianfranco De Bosio 
Coreografia Susanna Egri
Verona, 25 giugno 2016
È sempre emozionante vedere l’Arena completamente gremita, anche nei settori di gradinata non numerata laterali. Numeri da capogiro per una serata difficile ma di grande e meritato successo.  Si comincia con mezzora di ritardo, il Direttore Artistico Giovanni Gavazzeni interviene al microfono, affiancato dal regista Gianfranco de Bosio, spiegando al pubblico che alcune scenografie sono rimaste danneggiate a causa della devastante tromba d’aria abbattutasi sulla città di Verona poche ore prima; si comincia in ritardo di mezzora, ma il favore delle tenebre e l’aria rinfrescata contribuiscono a rendere l’atmosfera ancora più suggestiva. La scenografia, solo lievemente danneggiata, era quella ormai nota dell’edizione storica 1913, ripresa da De Bosio e già in diverse occasioni presentata su questa stessa testata. L’effetto complessivo è sempre notevole, ma in maniera particolare in questa serata: le coreografie si sono rivelate ancora più efficaci, mentre il cast era davvero d’eccezione: alla bravissima Hui He, ormai priva di alcuna esitazione nel ruolo e nella gestione degli immensi spazi areniani, si affianca l’Amneris di Ildikó Komlósi, un vero portento. Ma Yusif Eyvazov non è da meno: assistiamo stasera alla performance di uno dei migliori Radamés che abbiano calcato il palcoscenico dell’Arena negli ultimi anni. La concertazione, affidata a Julian Kovatchev, è risultata precisa e convincente, particolarmente in sintonia con le esigenze degli artisti coinvolti, che solo raramente sono stati messi in difficoltà da agogiche a tratti lievemente accelerate. La cura dinamica è stata più funzionale che elegante, ma complessivamente abbiamo assistito ad un’Aida in linea con l’ormai secolare tradizione areniana.Il Re, Carlo Cigni, convince solo parzialmente, a causa di un’emissione non sempre precisa e nonostante il fraseggio curato.  Ramfis, Rafal Siwek, è dotato di un timbro estremamente affascinante e profondo, che ci dispiace non poter apprezzare più a lungo. La sua prestazione si fa apprezzare sia per il talento musicale che per quello scenico: il ruolo è affrontato con l’adeguata ieraticità e compostezza, ma senza per questo dipingendo un personaggio piatto e privo di spunti. L’ormai collaudatissimo Amonasro di Ambrogio Maestri si mantiene sul buon livello che conosciamo, risultando efficace nel duetto delle foreste imbalsamate e di adeguata presenza scenica. Non si evidenziano problemi tecnici particolari e l’interpetazione scorre senza grandi intoppi e nella perfetta udibilità anche nei momenti d’assieme.
Ma veniamo al tenore: Yusif Eyvazov si mostra non solo un attore convincente (gli ultimi Radamés areniani soffrivano una staticità davvero poco confacente al ruolo del guerriero egiziano) ma anche un cantante dalla tecnica salda, nonostante un timbro più gradevole nel centro che in fascia acuta. L’emissione è sempre sicura e il fraseggio non particolarmente personale ma preciso. La sua Romanza gode di uno studio dinamico notevole: il tenore non lesina (finalmente!) sui pianissimi e non teme in ogni caso i volumi orchestrali, senza per questo scomparire negli assiemi. Le due protagoniste femminili e rivali si muovono con sicurezza sulla scena: Hui He in apparenza non mostra difficoltà in fascia acuta, particolarmente nel primo e nel secondo atto. Con O patria mia siamo ancora ad un buon livello, ma la stanchezza comincia a farsi sentire e l’emissione si indurisce alquanto. Per Ildikó Komlósi si va invece in crescendo: il suo anatema gela il sangue, così come il duetto con Radamés. Entrambe sono animali da palcoscenico, perfettamente calate nel ruolo e vocalmente in forma. Hui He realizza una performance notevole: il suono è sempre ben proiettato e la facilità in acuto che l’ha sempre contraddistinta risulta ancora più naturale e genuina. A livello dinamico le intenzioni sono buone, ma non si traducono nella ricchezza e varità di colore cui il soprano cinese ci aveva abituati: non si va oltre il “mezzopiano” e nel corso dello spettacolo il progressivo affaticamento determina un generale appiattimento nelle gradazioni d’intensità.La Komlósi si muove senza alcuna difficoltà nei complessi passaggi di registro del ruolo (forse insieme ad Abigaille uno dei più ostici ruoli verdiani) e mostra una sicurezza strabiliante nella tenuta dei fiati. Il duetto Aida / Amneris è, non a caso, il momento più riuscito della serata. Il coro, preparato da Vito Lombardi, realizza una prestazione eccellente, mentre l’orchestra non mostra (e non accadeva da tempo) sfasamenti con la banda di palcoscenico o con la massa corale. Le coreografie, come sempre di grande effetto, sono parse ancora più curate del solito e il pubblico dimostra il proprio apprezzamento con applausi costanti e scroscianti a scena aperta. Completavano efficacemente il cast Antonello Ceron – messaggero convincente ma lievemente sopra le righe – e Alice Marini, sacerdotessa perfettamente udibile e dal timbro suggestivo e in linea con lo spirito che anima il ruolo.Nel complesso, una delle migliori Aide areniane degli ultimi anni, salutata da un pubblico coinvolto ed entusiasta fino alla fine dell’opera, nonostante l’ora tarda e i numerosi intervalli. Foto Ennevi per Fondazione Arena