Napoli, San Carlo Opera Festival 2016: “Aida”

Napoli, Teatro di San Carlo – San Carlo Opera Festival 2016
“AIDA”
Opera in quattro atti di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re d’Egitto DARIO RUSSO
Amneris, sua figlia NINO SURGULADZE
Aida, schiava etiope KRISTIN LEWIS
Radamès, capitano delle guardie ANTONELLO PALOMBI
Ramfis, capo dei sacerdoti RICCARDO ZANELLATO
Amonasro, re d’Etiopia, padre di Aida GIOVANNI MEONI
Un messaggero ANTONELLO CERON
Sacerdotessa ROSSELLA LOCATELLI
Orchestra, Coro e Corpo di ballo del Teatro di San Carlo
Direttore Pinchas Steinberg
Maestro  del coro Marco Faelli
Regia Franco Dragone ripresa da Michele Sorrentino Mangini
Scene Benito Leonori
Costumi Giusi Giustino
Coreografia Lienz Chang
Luci Vincenzo Raponi
Napoli, 28 luglio 2016
Aida è il secondo titolo che il Teatro di San Carlo propone per la stagione estiva San Carlo Opera Festival, insieme a Madama Butterfly e Le Nozze di Figaro. Per questa Aida è stata rispresa l’edizione che inaugurò la stagione 2013 – 2014 e che allora come ora, lasciò ed ha lasciato non poche  perplessità. Creata da Franco Dragone, noto a tutti per essere il direttore creativo del celeberrimo Cirque du Soleil e ripresa da Michele Sorrentino Mangini, la regia di questa Aida risulta inappropriata, priva sia dell’opulenza, che a mio parere quest’opera abbisogna, sia di una reale lettura trasversale. Se da un lato le vicende personali riescono ad essere abbastanza incisive, a risultare lente ed estremamente ingessate – strano a dirsi – sono proprio le grandi scene di massa. Non che si debba essere vincolati ai soliti cliché per la scena del Trionfo,  ma risolvere il tutto con un drappo insanguinato che si erge a fondo scena e una sfilata di profughi lungo tutto il corridoio della platea, risultano idee troppo timide. Nella seconda parte dello spettacolo, terzo e quarto atto, il risvolto personale della vicenda prende il sopravvento ed allora l’azione diviene più incisiva. Si assiste ad un cambiamento di registro, dalla formula ieratica, quasi statica, proposta per la prima parte dello spettacolo, la vicenda decolla fino all’inesorabile conclusione. Le scene di Benito Leonori, sono state semplificate rispetto all’edizione 2013 – 2014. Ad essere salvate restano le quattro colonne fluttuanti, rigorosamente elleniche più che egizie, una sorta di medaglione gigante ed un reticolato di funi, unico elemento che da forza all’azione. Anche dai bei costumi disegnati da Giusi Giustino sono spariti gli elementi che poco convinsero nella passata edizione.
Sul podio Pinchas Steinberg, a cui sono stati affidati i primi due titoli di questo festival estivo, Aida, per l’appunto e Madama Butterfly. I tempi risultano giusti, mentre le sonorità, soprattutto nel primo atto, tendono ad essere eccessivamente ampie, soprattutto negli interventi degli ottoni. Buona l’interazione fra palco e buca, così anche per gli interventi con la banda di palcoscenico. Il ritmo è serrato, non ci sono mai rallentamenti o sbavature che potrebbero limitare e rallentano l’azione. In gran forma l’Orchestra del Teatro San Carlo, precisa è l’intonazione da parte degli archi, come anche “puliti” risultano i colpi d’arco, soprattutto per l’inizio del terzo atto. A svettare sulla sezione dei legni è il primo oboe Domenico Sarcina, piacevolissimo il suo suono e ben tenuto il suo legato, che si fa notare soprattutto negli interventi relativi al terzo atto. Compatta e sonora la sezione degli ottoni. Kristin Lewis, nel ruolo di Aida, si fa certamente notare per la qualità della voce, dotata di forti tinte drammatiche e per l’inconfondibile eleganza. Malgrado ciò mostra un’emissione quanto mai diseguale e un fraseggio pressochè oscuro e poco curato. La voce, capace di piacevoli espressioni, filature e mezze voci, difetta nella tenuta delle note acute e risulta debole nei centri. Molto convincente la sua interpretazione scenica, soprattutto nel terzo e quarto atto. Ad interpretare Radames è Antonello Palombi, tenore dalla voce possente, dotata di ampio volume, che soprattutto nei concertati “faraonici” si fa strada con facilità, svettando senza problemi. Ad essere carente risulta la linea del canto, a senso unico, stentorea, dove a risentirne è soprattutto l’aspetto lirico-amoroso del personaggio. Per il finale di “Celeste Aida”, Palombi piomba sicuro sul Si bemolle, ovviamente saltando a piè pari le indicazioni ppp diminuendo, morendo. Il cantante spoletino non possiede certo il physique du rôle, ciononostante mostra una presenza scenica sicura ed una recitazione misurata. Eccellente la Amneris di Nino Surguladze, voce morbida e sontuosa, senza problemi in ogni zona del proprio registro. Elegante il suo incedere sulla scena, regale, capace di offrire al suo ruolo il giusto accento.
Fiero e orgoglioso l’Amonasro di Giovanni Meoni, voce salda, dai toni caldi e pastosi, elegante il suo fraseggio. Di ottimo livello gli altri interpreti: dal solenne e implacabile Ramfis di Riccardo Zanellato (Ramfis) alle apprezzabile prove di  Dario Russo (Il Re), Antonello Ceron (Il Messaggero) e Rossella Locatelli, che ha reso ottimamente la melodia “Soccorri, soccorri a noi”, mettendo il luce un buon legato ed un bel fraseggio naturale. Un plauso va al Coro del Teatro San Carlo ed al suo Maestro Marco Faelli, il colore è omogeneo e buona risulta l’intonazione. Essendo oggi di gran moda la citazione colta, non poteva questa Aida essere da meno. Ad apparire proiettata sul sipario, durante le prime note del preludio una frase che Giuseppe Verdi scrisse in una sua lettera a Clara Maffei nel 1876: “Copiare il vero può essere una buona cosa, ma inventare il vero è meglio, molto meglio”. Verdi dal canto suo ci riuscì realmente ad “inventa il vero”. Inventò con la sua musica l’Egitto di Aida, evocò – perché la musica non descrive, ma evoca – l’esotico, regalò, ieri come fa ancora tutt’oggi, quella piacevole astrazione temporale. Assistendo a questa Aida, mi viene in mente un’altra citazione verdiana, che potrebbe risultare falsamente nostalgica, tendendo a mitizzare tutto ciò che appartiene al passato, ma che ad un’interpretazione più approfondita potrebbe offrirci una reale chiave di lettura per il teatro di Verdi, come per quello d’opera in generale, ossia: “Tronate all’antico e sarà un progresso”. Foto Luciano Romano