Teatro alla Scala: il Lago dei cigni “filologico” di Alexei Ratmansky

Milano, Teatro alla Scala, Stagione di Balletto 2015-1016
“IL LAGO DEI CIGNI”
Balletto in tre atti
Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
Coreografia di Marius Petipa e Lev Ivanov
Messa in scena e integrazioni coreografiche di Alexei Ratmansky
Odette / Odile VITTORIA VALERIO
Siegfried CLAUDIO COVIELLO
Rothbart ALESSANDRO GRILLO
Regina DANIELA SIEGRIST
Wolfgang ANDREA PUJATTI
Benno MARCO AGOSTINO
Passo a tre VIRNA TOPPI, ALESSANDRA VASSALLO, MARCO AGOSTINO
Quattro piccoli cigni DANIELA CAVALLERI, LUSYMAY DI STEFANO, CHRISTELLE CENNARELLI, AGNESE DI CLEMENTE
Quattro grandi cigni FRANCESCA PODINI, VIRNA TOPPI, ALESSANDRA VASSALLO, MARIA CELESTE LOSA
Due cigni VIRNA TOPPI, ALESSANDRA VASSALLO
Danza spagnola PAOLA GIOVENZANA, GIULIA LUNARDI, EDOARDO CAPORALETTI, EMANUELE CAZZATO
Orchestra e Corpo di Ballo del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Michail Jurowski
Scene e costumi di Jérôme Kaplan
Milano, 12 luglio 2016
Il Teatro alla Scala rinnova la sua vocazione al ritorno alle origini, dopo il successo dello scorso anno de La Bella Addormentata, con la nuova produzione de Il Lago dei cigni grazie alla maestria del coreografo russo Alexei Ratmansky. La storia racconta che il Principe Siegfried, ormai maggiorenne e destinato a sposarsi, durante una battuta di caccia raggiunge il lago dove incontra la Principessa Odette, trasformata in un bianco cigno con le sue compagne dal malvagio mago Rothbart. Solo una promessa di amore eterno potrà salvare Odette dall’incantesimo e Siegfried giura. Ma il giorno dopo, durante la festa di fidanzamento del Principe organizzata dalla Regina, si presenta Odile, il cigno nero, insieme con suo padre Rothbart, sotto mentite spoglie. La somiglianza con Odette è tale che Siegfried cade nell’inganno e rinnova il giuramento, infrangendo la precedente promessa. Il Principe disperato torna sul lago dove Odette destinata a rimanere cigno, sceglie di morire. Il Principe la segue nel lago e le loro anime si ritrovano insieme oltre la morte.
I protagonisti Vittoria Valerio e Claudio Coviello con il corpo di ballo scaligero interpretano fedelmente la visione che Ratmasnky restituisce della coreografia del 1895 di Marius Petipa e Lev Ivanov, oltre le accumulazioni delle versioni sovietiche per riandare alle origini della notazione Stapanov, conservata alla Harvard University, e delle annotazioni di Marius Petipa, pubblicate a partire dai documenti dall’Archivio del Museo Teatrale Centrale di Stato A.A. Bachrušin di Mosca. Con profonda consapevolezza dei processi storici che si stratificano nei corpi dei danzatori, Ratmansky opera non solo una ricerca filologica sui documenti dell’epoca ma anche una ricostruzione della pantomima che sostanziava il ballet d’action di fine Ottocento: un esempio fra tutti le braccia allungate sopra la testa delle ragazze-cigno, introdotte da Agrippina Vaganova, ritornano ad essere naturalmente espressive in un gesto di paura. La tradizione orale, trasmessa di maestro in allievo nella scuola danese di August Bournonville, torna ad essere fondamentale per integrare quei dialoghi drammatici che ancorano la vicenda ad una realtà umana fatta di crescita, fidanzamento e matrimonio. Il Principe Siegfried, come Pëtr Il’ič Čajkovskij all’epoca della composizione musicale, si trova a dover compiere una scelta imposta dal suo ruolo sociale, dal quale il tentativo di fuga richiama alla memoria la visione della Sylphide: i gesti dell’amico che “ha visto con i suoi occhi un essere volare”, che compaiono in quel balletto (nella sola versione del Balletto Reale Danese), sono gli stessi che Benno agisce accogliendo la richiesta di Siegfried di andare a caccia sul lago. Sono dettagli che scorrono sotterranei nella drammaturgia dei corpi dei protagonisti della danza ottocentesca. Siegfried come James “dimentica che si deve sposare”, Odette come la Sylphide è una creatura deliziosa che porta l’uomo in un altro mondo, con esito mortale per entrambi.
La filologia dei corpi si trova anche nella scelta stilistica di non eccedere con i virtuosismi delle gambe, spesso all’altezza dell’anca e non della testa, oppure nella esecuzione dei canonici 32 fouettés en tournant senza raddoppiarli seguendo i tempi musicali più lenti. L’impressione generale è quindi di grande naturalezza, semplicità, grazia che recupera, come nota Ratmasky, la coreografia non troppo piena di Petipa che ama però i grandi quadri del corpo di ballo, come nel primo atto si può apprezzare la reintrodotta festa popolare con l’albero di maggio, con sgabellini e nastri che annodano ludicamente le coppie danzanti in una anticipazione simbolica del nodo matrimoniale (come già ne La Fille mal gardée).
La naturalezza delle ragazze-cigno è ancora sottolineata dai tutù morbidi ad altezza ginocchio decorati con piume vere e dai capelli sciolti sulle spalle, con una coppola bianca ideata con originalità dal costumista e scenografo Jérôme Kaplan, insieme ai vestiti pre-raffaelliti della corte reale e le cotte di maglia medievali per Siegfried e il cavaliere von Rothbart ad evocare l’atmosfera gotica del castello germanico. Infine la partitura musicale ripropone i brani interpolati da Riccardo Drigo per la versione del 1895 dopo la morte di Čajkovskij, che spezzano la drammaturgia malinconica con un sapore quasi da operetta, per far danzare anche i cigni neri che nell’ultimo quadro si affiancano a quelli bianchi. Un generale acceleramento dell’esecuzione orchestrale diretta dal maestro russo Michail Jurowski rende più concreta, terrena, ferale la contrapposizione fra questo mondo e l’altro mondo, laddove solo regna la perfetta felicità. (Photos ©Teatro alla Scala/Marco Brescia&Rudy Amisano)