Venezia, Teatro La Fenice: Juraj Valčuha chiude la Stagione sinfonica 2015-2016

Juraj Valcuha dirige la sinfonia n. 2 Resurrezione di Mahler (Torino, RAI, 14 III 2014)

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione sinfonica 2015-2016
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Juraj Valčuha
Anton Webern: Passacaglia op. 1
Anton Bruckner: Sinfonia n. 9 in re minore WAB 109
Venezia, 8 luglio 2016
Si è conclusa, in modo assolutamente esaltante, la stagione sinfonica 2015-2016 del Teatro La Fenice, nel corso della quale  è stata eseguita dall’orchestra dello stesso teatro – poche ne sarebbero in grado, ad un simile livello – l’intera produzione sinfonica di Anton Bruckner, a parte la cosiddetta “Nullte Sinfonie”: sul podio Juraj Valčuha, a dirigere un programma che comprendeva due titoli di autori austriaci: una coppia di composizioni dai caratteri assai diversi, ma entrambe in qualche modo ancora legate all’Ottocento tardo romantico e nel contempo così aperte al nuovo, oltre che percorse da quel senso della fine che molti spiriti eletti avvertirono nei decenni precedenti la Prima guerra mondiale. Si tratta della Passacaglia op. 1 di Anton Webern – un’opera che segna la conclusione del periodo di apprendistato con Schönberg e nello stesso tempo è il punto di partenza di quel percorso che avrebbe portato ad un profondo rinnovamento del linguaggio musicale – e della Nona sinfonia di Bruckner, l’ultima fatica del compositore di Ansfelden, che la dedicò, con il solito, inguaribile candore, “Dem lieben Gott” (Al buon Dio), sentendo prossima la fine e volendo consegnare all’Eterno un’alta testimonianza della propria arte, peraltro rimasta incompiuta per la sopravvenuta morte dell’autore (1896).
Composta nel 1908 ma pubblicata solo nel 1922, la Passacaglia fu presentata per la prima volta sotto la direzione dell’autore a Vienna il 4 novembre 1908 in un concerto di musiche degli allievi di Arnold Schönberg. Essa rappresenta la sintesi delle esperienze giovanili di Webern: la scelta della severa forma barocca è un omaggio a Bach e a Brahms (che con una passacaglia aveva concluso la sua Quarta Sinfonia) ma, nonostante l’estrema concentrazione e densità della scrittura contrappuntistica, la straordinaria raffinatezza timbrica e l’intensa espressività – con la sua continua alternanza di accensioni ed estenuazioni liriche – si richiamano al clima musicale di fine secolo, quando si comincia a percepire, imminente e inesorabile, la finis Austriae. Precisa, coesa, sensibile l’orchestra, saldamente guidata dal gesto direttoriale del Maestro slovacco, nell’affrontare questo pezzo che – come prevede la forma in cui è concepito – è costituito da variazioni armonicamente coerenti rispetto a un basso ostinato, presentato all’inizio dal pizzicato degli archi all’unisono e risultante dalla giustapposizione di due incisi, di cui il secondo è l’inversione retrograda dal primo. Ne è risultata un’esecuzione di grande fascino sonoro, che ha saputo evidenziare, con particolare efficacia, gli aspetti innovativi di questo lavoro, in cui –  per quanto vi si possa ancora riconoscere un ambito tonale, quello di re: minore nell’esposizione, maggiore nella parte centrale, nuovamente minore nella ripresa – il materiale musicale viene sottoposto ad una variazione sistematica: dagli incisi al ritmo, al timbro, alla dinamica, cosicché  già si può cogliere in nuce la serializzazione integrale del “totale cromatico”, un procedimento che farà di Anton Weber l’antesignano del rinnovamento più radicale nel panorama musicale della prima metà del Novecento: il musicista viennese avrebbe dato ancora molto, se non fosse stato ucciso per tragico errore nel 1945 da un soldato americano delle truppe di occupazione a Mittersill, un villaggio vicino a Salisburgo, dove si era ritirato dopo l’Anschluss dell’Austria alla Germania nazista.
Un senso di attesa della fine imminente – fine di un mondo, ma anche della vita dell’autore, che già si sente prossimo alla soglia dell’Aldilà – domina anche nella Nona di Bruckner, in re minore (la stessa tonalità della Nona di Beethoven e del Requiem di Mozart, opere indubbiamente di sublime spiritualità). Grande equilibrio dinamico ed agogico,  ma anche intensa espressività; cura di ogni particolare, ma anche capacità di  mettere in valore le poderose strutture su cui poggia questa cattedrale sonora; suono rotondo negli interventi dell’intera orchestra come dei singoli strumenti: questi i pregi dell’interpretazione di Juraj Valčuha, sorretto da una compagine orchestrale, precisa ed instancabile fino alla fine. Sul suggestivo tremolo degli archi che apre – cifra distintiva in Bruckner – il primo movimento (Solenne. Misterioso), si è stagliato con incedere lento e solenne il primo tema, affidato allo squillo dei corni, che hanno intonato con sensibilità e precisione gli ampi intervalli ascendenti e discendenti, che lo caratterizzano. Ad esso si è contrapposto il secondo tema cantabile, esposto dagli archi, che si è dipanato con maggiore speditezza fino a sfociare negli arabeschi dei legni e del corno e poi essere elaborato contrappuntisticamente, tra ascese e cadute, pause generali, culmini interrotti. Quanto al secondo movimento (Scherzo: Mosso. Vivace) il direttore ne ha efficacemente sottolineato i caratteri contrastanti: un orgiastico Länder, che inizia con un saltellante pizzicato degli archi, cui fanno seguito martellanti esclamazioni dell’intera orchestra, e un episodio centrale (Trio: Presto) dal tono più leggero, quasi lieto. La sinfonia si è conclusa – essendo stati tralasciati, come d’abitudine, gli abbozzi del Finale – con una pagina (Adagio: Lento. Solenne ), di cui si è pienamente messa in evidenza l’intensità espressiva, pur senza mai derogare all’equilibrio, alla compostezza stilistica, al bel suono. Ne è risultato – secondo le presumibili intenzioni dell’Autore – un lungo, intenso saluto, rivolto alla vita da chi già anela a salire in Cielo, come suggerisce simbolicamente l’ampio intervallo di nona minore ascendente, affidato ai violini – qui come altrove impeccabili quanto a intonazione e purezza di suono –, con cui si apre il movimento: un’articolata meditazione sul tema della morte, che procede tra episodi radiosi (il tema in maggiore, che segue alla lentissima introduzione, intonato dai violini all’unisono sul controcanto delle viole), momenti di contemplazione espressi impeccabilmente dai singoli interventi strumentali, turgide e rotonde sonorità dell’orchestra di sapore organistico intrise di mistico fervore, poderose fanfare dissonanti degli ottoni evocanti visioni apocalittiche, corali di sole tube intonati a gloria del Signore. Poi, attraverso varie reminiscenze tematiche – dall’ intervento dei violini, che richiama il tema del Graal nel Parsifal, ai corni, che citano il tema iniziale della Settima Sinfonia – si è giunti gradatamente alla catarsi: l’animo ormai – è inevitabile citare Dante, trattandosi di un’opera di così alto profilo morale e religioso –  è “puro e disposto a salire a le stelle”. Grandi applausi ed acclamazioni per il maestro e l’orchestra.