Giacomo Meyerbeer (1791-1894): “Dinorah ou Le pardon de Ploërmel” (1859)

Opera-comique in tre atti su libretto di Jules Barbier e Michelle Carré. Patrizia Ciofi (Dinorah), Etienne Dupuis (Hoël), Philippe Talbot (Corentin), Seth Carico (Un chasseur), Gideon Poppe (Un faucheur), Elebenita Kaitazi, Christina Sidak (deux chevrières). Der Chor der Deutschen Oper Berlin, William Spaulding (Maestro del coro), Das Orchester der Deutschen Oper Berlin, Enrique Mazzola (direttore). Registrazione: Philharmonie Berlin, 29 settembre–1 ottobre 2014. T.Time: 134’05 2 CD CPO 555 014-2 
“Dinorah ou Le pardon de Ploërmel” è forse il più celebre dei lavori composti da Giacomo Meyerbeer al di fuori delle grandi commissioni dell’Opéra e sicuramente uno dei titoli di maggior successo sui palcoscenici dell’Opéra-Cominque nel corso della seconda metà del XIX secolo.
Tratta da una commedia di Michel Carré ispirata a racconti popolari bretoni, l’opera – con libretto dello stesso Carré affiancato dall’abituale collaboratore Jules Barbier – è andata in scena per la prima volta il 4 aprile 1859 con grande successo giungendo a collezionare oltre duecento recite fino al 1912 per poi gradualmente scomparire dai palcoscenici con l’esclusione della scena della follia della protagonista, quella “Ombre légère” immancabilmente rimasta nel repertorio di tutti i soprani leggeri e non solo.
Nel passare sul palcoscenico minore Meyerbeer, pur rispettando pienamente le convenzioni in uso, porta con sé tutta l’esperienza maturata nella sua lunga carriera soprattutto nel campo dell’orchestrazione e della capacità di saper creare con semplicità ma immancabile efficacia contesti e situazioni – si sentano i cori che aprono il primo e il terzo atto – e di sfruttare soluzioni sia strumentali – come l’assolo di cornamusa che anticipa l’entrata di Corentin e attribuisce alla scena un colore locale immediatamente riconoscibile – sia strutturali come il ricorso al mélodrame parlato per sottolineare il climax drammatico del ritrovamento di Dinorah creduta morta. La partitura è dominata da toni brillanti e leggeri, forse addirittura eccessivamente marcati in tal senso e solo nel III atto l’aria di Hoël e il duetto finale con coro fra questi e Dinorah si aprono in squarci lirici di pieno abbandono melodico.  Quello che forse manca al compositore è il senso proprio di questo tipo di repertorio: i numeri musicali sono spesso molto lunghi e strutturalmente complessi anche se musicalmente molto curati – e notevoli sono le suggestioni che si notano aver avuto su compositori della generazione più giovane, Gounod su tutti – ma al contempo rallentano eccessivamente il passo di una vicenda già fragile in se stessa. La compresenza di valori musicali e gravi limiti drammaturgici rende l’esecuzione concertante forse il metodo migliore per accostarsi alla partitura ed è forse questa la ragione che ha spinto la Deutsch Oper di Berlino nel 2014 a celebrare il 150° anniversario dalla morte del compositore franco-tedesco con un’esecuzione concertante di quest’opera.
Sfruttando la qualità dei complessi berlinesi Enrique Mazzola offre una prestazione ammirevole per chiarezza e splendore sonoro con sonorità terse, nitide, precisissime, capaci di rendere alla perfezione gli effetti spaziali che Meyerbeer sparge nella partitura – il coro fuori scena durante l’ouverture che riprende uno schema già usato da Rossini e Donizetti o il progressivo montare dell’uragano durante il terzetto che chiude il secondo atto. Di contro va però riscontrata una presenza eccessiva di tagli e se le drastiche riduzioni dei parlati sono naturali in un’esecuzione in forma di concerto meno comprensibile la drastica riduzione di brani musicali anche di pregio come il duetto fra Hoël e Corentin ridotto a un torsolo di poco più di quattro minuti a confronto con i circa quindici della versione completa o l’aria del capraio all’inizio del secondo atto totalmente tagliata.
Nel ruolo della protagonista Patrizia Ciofi offre una prestazione decisamente interessante. La cantante senese non è certo il tipico soprano di coloratura cui viene affidato il ruolo ed è innegabile che i passaggi più scopertamente virtuosistici manchino di quel senso pirotecnico altre volte ascoltato. In compenso la voce è molto bella e sfoggia una morbidezza e un calore difficilmente raggiungibili da un soprano leggero che esaltano al meglio i momenti più lirici e melodicamente costruiti della partitura. Le colorature sono comunque nitide e pulite e l’interprete particolarmente sensibile anche in virtù di un fraseggio francese molto buono. Da ascoltare in tal senso la celeberrima “Ombre légère”, sicuramente meno pirotecnica di altre esecuzioni ma tolta dal semplice gusto del divertissement salottiero per essere calata nel contesto drammaturgico e nella psicologia del personaggio. L’Hoël di Etienne Dupuis è forse la vera rivelazione della registrazione: il baritono canadese è perfetto per il ruolo con la sua voce chiara e squillante da autentico baritone Martin sfoggia una dizione chiarissima e ad un fraseggio molto curato. Resta il senso di affaticamento su qualche acuto ma la prestazione non ne viene compromessa. Philippe Talbot (Corentin) ha voce decisamente molto leggera ma altrettanto musicale e sorretta da un’ottima tecnica che le garantisce un ottimo controllo del fiato, notevole proiezione e acuti squillanti uniti a un’innegabile carica teatrale. Ampia e sonora la voce di Seth Carico che nel ruolo del cacciatore domina la massa orchestral-corale che Meyerbeer gli affianca. Buone le parti di fianco e la prova del coro.
Ascolta G.Meyerbeer: “Dinorah” (Berlino, 2014)” su Spreaker.