L’opera in 90 minuti a Torino: “Salvator Rosa” di Gomes

L'opera in 90 minuti

Torino, Auditorium Orpheus – Aurore musicali
L’opera in 90 minuti: “SALVATOR ROSA”
Opera seria in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica Antonio Carlos Gomez
Gennariello  ANDREA FERREIRA
Salvator Rosa  LUDO FARAGO
Masaniello  IGNAZIO DE SIMONE
Duca d’Arcos  DESARET LIKA
Isabella  MARIA DE LOURDES MARTINS
Pianoforte Sergio Merletti
Direzione artistica Marco Leo
Torino, 28 novembre 2016

torino-auditorium-orpheus-29-xi-2016-salvator-rosa-3Parlare del temperamento di carattere sembra quasi inevitabile quando si discorre di personalità dell’Ottocento italiano, soprattutto nei decenni a cavallo dell’unità nazionale. Ma non è soltanto retorico il riconoscimento con cui Alfredo Colombani (L’opera italiana nel secolo XIX, Milano 1900, p. 247) conclude il ritratto di Antonio Carlos Gomes, dando la parola a chi lo aveva conosciuto molto bene, il librettista del Salvator Rosa, Antonio Ghislanzoni: «Questo selvaggio – aveva il Gomez davvero un aspetto di selvaggio – elegante e capriccioso, che talvolta si appiatta da sciacallo dentro i cespugli delle camelie e delle ortensie, è uno dei più onesti e generosi caratteri ch’io mi abbia mai conosciuti. Non abbiate paura! Accostatevi! Stringetegli la mano con fiducia ed affetto! Quella che egli vi stende con dignitosa fierezza è la mano di un gentiluomo: e il cuore che accompagna la stretta vigorosa è un cuore esuberante di tenerezza e di ogni sentimento gentile». In effetti soltanto un estro artistico molto esuberante avrebbe potuto raggiungere grande fama nella seconda metà dell’Ottocento in Italia, dedicandosi al teatro musicale quando Verdi giganteggiava su tutti. Il 2016 segna contemporaneamente il 180° anniversario della nascita e il 120° della morte del compositore brasiliano: se si registrano celebrazioni in sud America, la sua seconda patria – dove ha studiato e appassionato il pubblico con Il Guarany, Fosca, Salvator Rosa, Lo schiavo – pare essersi del tutto dimenticata di lui. A rimediare provvede la stagione delle Aurore Musicali nell’ambito del progetto “L’opera in 90 minuti”, ideato da Walter Baldasso e ora diretto dal musicologo Marco Leo. L’azione ambientata a Napoli nel 1647 congiunge la biografia del pittore Salvator Rosa alla rivolta di Masaniello, ponendo in relazione due personaggi storici che molto probabilmente neppure si conobbero; il movente dell’azione è prevedibile, condensandosi attorno all’amore impossibile tra l’artista e Isabella, la figlia del viceré, Duca d’Arcos. Al termine della trama Masaniello è ucciso dai sicari del tiranno, mentre Isabella, per non andare sposa all’uomo impostole torino-auditorium-orpheus-29-xi-2016-salvator-rosa-5dal padre e restare fedele a colui che ama, si immola chiedendo libertà per Salvatore. Oggi l’opera è caduta in totale oblio (a parte una ripresa a Martina Franca nel 2004) ma la partitura racchiude almeno due pagine divenute molto celebri nella storia delle esecuzioni vocali: la serenata di Gennariello «Mia piccirella», fortunata grazie alle incisioni di Enrico Caruso e Claudia Muzio, e l’aria del Duca «Di sposo, di padre le gioie serene», pezzo prediletto dai bassi del passato. La compagnia radunata a Torino per presentare una selezione dell’opera è formata da professionisti ben conosciuti e specializzati nel repertorio melodrammatico italiano; il tenore protagonista, poi, il brasiliano Ludo Farago, è addirittura uno specialista di Gomes, e interpreta la parte con visibile trasporto e convinzione. Nell’aria «Forma sublime, eterea» (atto I), così come nei duetti con Isabella («Sulle rive di Chiaja» e «Vieni, di gioia un’estasi», rispettivamente nel II e IV atto) sfodera una voce grandiosa e squillante, molto sicura. Farago merita certamente di cantare in grandi teatri, perché possiede mezzi più che adeguati, slancio e capacità di proiettare bene il suono; è però importante che concentri la sua attenzione sull’emissione delle note di passaggio (anche al fine di irrobustire definitivamente l’intonazione) e attenuare il ricorso al portamento. Il soprano Maria De Lourdes Martins, lombarda di genitori portoghesi, interpreta il ruolo di Isabella, tra l’altro con l’importante momento solistico dell’aria «Volate, o libere aure dei cieli» (III atto); il porgere è nobile e sorretto da buona tecnica, che permette di apprezzare quel melodismo arioso e drammatico abbastanza tipico in Gomes (soprattutto nei duetti d’amore, in cui emerge la forte influenza verdiana). Il secondo soprano, Andrea Ferreira – anch’ella brasiliana – interpreta il personaggio en travesti di Gennariello, e apre la selezione con la serenata «Mia piccirella», per riapparire come solista nella canzonetta «Poiché vi piace udir» (atto II) e nel cruento finale; il suo ruolo, tutto ammiccante alla tradizione musicale popolaresca, fa capire quanto Gomes avesse interiorizzato stili e registri italiani molto differenti. La Ferreira canta con il brio richiesto al personaggio. Ignazio De Simone, nella parte di Masaniello, è un basso espressivo e carismatico, come emerge dal numero solistico «Povero nacqui, e ai perfidi» (atto II), e si rivela a suo agio nel registro grave. La voce meglio impostata di tutto il gruppo è senza dubbio quella dell’albanese Desaret Lika, che impersona il Duca d’Arcos: a lui compete eseguire l’aria più celebre della partitura, «Di sposo, di padre»; il timbro pregevole e torino-auditorium-orpheus-29-xi-2016-salvator-rosa-4ricco di armonici accompagna un fraseggio curato e nitido. L’esito di grande successo è senza dubbio determinato dalla presenza di Sergio Merletti, che non è soltanto un pianista virtuoso, ma l’autentico concertatore, anzi direttore di un’orchestra che è tutta nel suo pianoforte: scrupolosissimo nel gestire il rapporto con i cantanti, sa di volta in volta imprimere un respiro sinfonico o modulare le nuances più liriche ed elegiache. Il pubblico dell’Orpheus dimostra di apprezzare moltissimo, sia la (ri)scoperta dell’opera sia l’impegno e le capacità dei solisti, festeggiandoli alla fine con prolungati applausi. A seguito di così lusinghiera accoglienza si vorrebbe una prosecuzione gomesiana della stagione, magari con selezione dal più popolare Guarany: «Sento una forza indomita / che ognor mi tragge a te» …   Foto Antonio Granisso