Shakespeare in musica: “Giulietta e Romeo” di Nicola Antonio Zingarelli

Noto soprattutto per essere stato l’insegnante di Vincenzo Bellini, di Mercadante e di Costa, Nicola Antonio Zingarelli godette, durante la sua vita, di una certa fama come operista attestata anche dai giudizi dei contemporanei, tra cui spicca quello di Stendhal che aveva considerato la sua opera buffa, Il Mercato di Montefregoso:
“senz’altro la più bella opera che abbia mai ascoltato in Italia, sia per la musica, che è incantevole, sia per le ariette, perfettamente inserite”.
Nato a Napoli nel 1752, dopo aver studiato al Conservatorio di Santa Maria di Loreto con Alessandro Speranza e Fedele Fenaroli e aver prestato servizio, come organista, a Torre Annunziata, Zingarelli conseguì il suo primo successo il 13 agosto 1781 con Montezuma, rappresentata al Teatro San Carlo di Napoli grazie all’interessamento della duchessa di Castelpagano. Questo successo aprì a Zingarelli una folgorante carriera che, dal 1785 al 1803, gli consentì di portare le sue opere  sui palcoscenici dei maggiori teatri non solo in Italia (Milano, Venezia, Mantova, Torino, Firenze, Roma) ma anche in Europa (Parigi, dove nel 1789 fu rappresentata la sua Antigone). Proprio a questo periodo di fervore creativo risale la composizione del suo capolavoro, Giulietta e Romeo, che, secondo una tradizione non del tutto suffragata da prove, sarebbe stata composta da Zingarelli in appena 8 giorni. Rappresentata per la prima volta il 30 gennaio 1796 alla Scala di Milano con un cast d’eccezione nel quale figuravano il tenore Adamo Bianchi (Everardo Capellio), il soprano Giuseppina Grassini (Giulietta) e il famoso soprano castrato Girolamo Crescentini (Romeo), l’opera ebbe un grande successo che si protrasse nei primi due decenni dell’Ottocento. Il ruolo di Romeo, con la scomparsa dei castrati, in questo periodo fu sostenuto da soprani di livello internazionale come Giuditta Pasta o Maria Malibran. In seguito l’opera fu dimenticata a causa anche dell’emergere nel panorama teatrale dell’Ottocento di Gioacchino Rossini ed è stata ripresa soltanto nel 2016 al Festival di Salisburgo. Nonostante l’oblio che l’ha avvolta, l’opera ha un’importanza fondamentale nella ricezione della famosa tragedia dei due amanti di Verona nel panorama teatrale italiano della prima metà dell’Ottocento, in quanto il libretto di Giuseppe Maria Foppa servì da modello per quello realizzato da Romani per Vaccaj e per il suo rifacimento per I Capuleti e i Montecchi di Bellini, opere nelle quali anche i ruoli vocali rispecchiano quelli del lavoro di Zingarelli con la parte di Romeo sostenuta da un mezzosoprano. Come avverrà poi anche per Romani, il libretto di Foppa non ha come suo modello diretto la famosa tragedia di Shakespeare, ma la novella di Luigi Lo  Porto, Historia novellamente ritrovata dei due nobili amanti, con la loro pietosa morte intervenuta già nella Città di Verona nel tempo del Signor Barolomeo della Scala, composta nel 1524 e pubblicata postuma, che, però, Foppa non citò fra le sue fonti nell’Argomento, posto ad introduzione del libretto, dove, invece, figura il celebre drammaturgo inglese:
“È così noto il funesto avvenimento di Giulietta, e Romeo, l’una della fazione dei Cappellii, e l’altro de’ Montecchi di Verona, che bastano pochi cenni a richiamare le circostanze più interessanti. Vedutisi i detti due giovani in una festa data dal padre di Giulietta s’invaghirono l’una dell’altro, e mercé le premure d’un amico delle due fazioni, che bramava la pace comune, si sposarono segretamente. Accadde in quel tempo una zuffa, nella quale restò per man di Romeo morto Teobaldo promesso sposo a Giulietta, quindi fu quegli costretto a ritirarsi a Mantova. Intanto veniva ella sollecitata ad altre nozze con un della sua fazione, perlocché ricorse all’amico, da cui datole un liquore, che avea la forza di far credere estinto chi ne prendea, fu tale creduta dalla città, e tale ancor da Romeo, cui pervennero le triste novelle, prima, che gli arrivasse un messo dell’amico con un foglio, che gli palesava il segreto. Se ne venne egli a Verona sull’imbrunir della notte, e si uccise con un veleno a canto alla tomba dell’amata Giulietta, che, rinvenendo, e vedendosi morto a lato lo sposo, ristretti in sé gli spiriti, appresso a lui estinta rimase. Ciò è tratto dalle Storie di Verona di Girolamo Dalla Corte nel tomo II cap. 10, e questo fatto ha servito ad una tragedia inglese di Sakespear, e ad una francese di Ducis, come serve ora per melodramma, che dall’autore per verosimiglianza del tempo è stato diviso in quattro giornate, e che da noi per conservare l’uso del teatro è stato ridotto in tre atti”.
Tutta giocata su contrasti e su un precipitare degli eventi fino alla tragedia finale, la novella di Lo Porto offrì a Foppa la possibilità di scrivere un libretto legato ancora ai moduli metastasiani nel quale, però, le varie fonti appaiono comunque contaminate.

Ouverture
Dopo un’introduzione lenta piena di pathos, l’ouverture si snoda in un classico Allegro in forma-sonata tutto giocato sul contrasto tra il primo tema, marcato dal punto di vista ritmico, e il secondo, affidato prevalentemente ai legni di carattere cantabile.
Atto primo
All’interno del palazzo dei Cappellii, in un luogo magnifico destinato a festa nuziale, dove si stanno festeggiando il compleanno e le prossime nozze di Giulietta con Tebaldo, un coro di Cappellii (Vieni o gentil donzella) accoglie Giulietta che si mostra grata nei confronti delle persone convenute. All’interno della sala s’inoltra Romeo, nonostante venga trattenuto da uno dei Montecchi che lo accompagna. Il giovane, alla vista di Giulietta, se ne innamora immediatamente e intona un’aria dalla classica struttura col da capo (Che vago sembiante), il cui lessico tradisce l’influenza metastasiana. Anche Giulietta non rimane indifferente alla vista di Romeo (Quale oggetto) con il quale dà vita a un brevissimo duetto in cui entrambi si mostrano turbati. Nel recitativo secco Figlia fuor dell’usato, si apprende dalle parole di Everardo, padre di Giulietta, che si stanno preparando le nozze di lei con Tebaldo; nel successivo quartetto la fanciulla appare confusa e chiede al padre un momento per pensarci, mentre Romeo, esponente della famiglia rivale, è scoperto. Rimasto solo con Gilberto, un amico di entrambi le fazioni, Everardo manifesta il sospetto che la presenza di Romeo fosse indotta dall’amore per la figlia Giulietta, mentre ribadisce che è impossibile qualunque pace tra le due famiglie rivali.  Anche Tebaldo appare turbato dal comportamento di Giulietta, ma questi viene rassicurato da Gilberto il quale intona l’aria Veduto avrai talora, che tradisce sul piano del lessico una vaga ascendenza metastasiana.
Nelle stanze di Giulietta, la fanciulla confida a Matilde di amare Romeo e di odiare Tebaldo (recitativo secco: Ed è vero: o vaneggio?); subito dopo è raggiunta da Gilberto che, volendo consolarla, favorisce il suo incontro con Romeo. Giulietta si mostra ritrosa, temendo la reazione del padre, mentre Gilberto cerca di convincerla ad accettare l’amore di Romeo affermando che il loro matrimonio possa portare la tanto sperata pace tra le famiglie rivali. Romeo e Giulietta manifestano la loro gioia nel duetto Dunque, mio bene, tu mia sarai!
Andato via Romeo, Giulietta è tormentata da affetti contrastanti (recitativo secco: Deh quale io sento di contrari affetti): dovere di figlia, sentimento d’amore per Romeo e desiderio di pace tra le due famiglie. È raggiunta dal padre Everardo che congeda Matilde la quale nell’aria, Parto sì: ma nel partire, chiede all’uomo di mostrarsi pietoso nei confronti della figlia. Everardo interroga Giulietta sulle ragioni della sua volontà di ritardare il matrimonio e le annuncia che sarà celebrato fra pochi istanti suscitando nella giovane una reazione di sgomento. La ragazza, nell’aria Adora i cenni tuoi, afferma che avrebbe fatto la volontà del padre al quale però chiede di aver pietà di lei. Rimasto solo, Everardo manifesta tutti i suoi sospetti nel recitativo secco Più dubitar mi fa questi suoi detti e nella successiva aria di furia Là dai regni dell’ombre.
Nei cortili del palazzo Tebaldo invita i suoi fedeli a cercare Romeo che egli sospetta si aggiri all’interno del palazzo e intona una nuova breve aria di furia Le stigie furie. Romeo, scoperto subito dopo e sfidato a duello, uccide Tebaldo. Nel Finale (Oh Dio! Qual tristo evento!) accorrono anche Everardo, che minaccia vendetta nei confronti di Romeo, Giulietta, sempre più angosciata, e Gilberto che tenta di mettere pace.
Atto secondo
In un luogo remoto della città Gilberto cerca di intercedere a favore di Romeo presso Everardo (recitativo secco: Credi, signor, la colpa / no di Romeo non fu) e spera, nell’aria Sparga le gioie alfine, che possa regnare la pace. Everardo è raggiunto da Romeo che gli chiede inutilmente di moderare il suo rigore (recitativo secco: Va’ pur. Stolto se ‘l credi!), espresso con maggiore forza nel duetto Giusto ciel! Del mio tormento. Nel successivo recitativo secco Gilberto incoraggia Romeo dicendogli che presto sposerà Giulietta se si farà trovare in una rimota parte del giardino e subito dopo incontra Matilde che nell’aria, Ah donate, o sommi dèi, prega gli dei affinché possano allontanare le pene.
Nel luogo stabilito per il convegno Romeo congeda i Montecchi che lo hanno accompagnato e che si dichiarano pronti a difenderlo (coro: Fra l’ombre tacite). Il giovane, rimasto solo, pregusta l’eventuale felicità che gli verrebbe dal matrimonio con Giulietta nel recitativo accompagnato: Qual sarà il mio contento e nell’aria intrisa di pathos Ciel pietoso, ciel clemente. Raggiunto da Giulietta, Romeo si sposa con la fanciulla dalla quale è costretto a separarsi momentaneamente per ragioni di prudenza su consiglio di Gilberto. Giulietta, triste per questa separazione e angosciata, intona l’aria tripartita Qual improvviso tremito!
Nel successivo recitativo secco Ah! Romeo dove sei? Gilberto consiglia Giulietta di bere il filtro capace si simulare una morte apparente e il cui effetto immediato si percepisce nella scena successiva, nella quale Everardo vorrebbe punire la figlia rinchiudendola nelle profondità di una torre. La morte apparente di Giulietta produce nel padre un moto di rimorso che si esprime nell’aria Misero che farò?
Atto terzo
Una lugubre marcia funebre introduce la scena iniziale dell’atto che si svolge nelle tombe dei Cappellii dove è giunto Romeo che ha appreso la notizia della morte della sua amata. Di grande pathos e con accenti già preromantici è il recitativo accompagnato Ecco il luogo nel quale Romeo piange la morte di Giulietta. Il giovane, dopo aver congedato i Montecchi che lo hanno accompagnato, beve un veleno e intona l’aria Ombra adorata aspetta nella quale si augura di potersi ricongiungere con la sua amata Giulietta nel fortunato eliso. Formalmente un rondò, l’aria, che ha conseguito una certa fama indipendentemente dal resto della partitura, si segnala per una scrittura vocale che, particolarmente attenta al testo attraverso l’adozione di uno stile sillabico prevalente sulla presenza delle colorature tipiche dell’epoca, anticipa già elementi dell’opera romantica (Es.).
zingarelli-romeoMentre incomincia a fare effetto il veleno bevuto da Romeo, Giulietta gradatamente va rinvenendo e confessa a Romeo che la sua morte era stata simulata. Apprende subito dopo che questi, tratto in inganno dalla notizia della sua morte, ha bevuto un veleno e insieme con l’amato canta la sua disperazione nel duetto Ahimè già vengo meno, alla fine del quale Romeo muore. La ragazza, raggiunta da Everardo che manifesta la sua gioia nel vederla viva, accusa il padre di essere responsabile della morte di Romeo e lo informa della sua volontà di morire con lui. Mentre Gilberto vorrebbe salvare (Finale: Giovane afflitta e misera) Giulietta da un fatale eccesso, la ragazza cade svenuta sconvolta dal dolore.