Milano, Teatro alla Scala: “Romeo e Giulietta”

Milano, Teatro alla Scala, Stagione di balletto 2016-2017
“ROMEO E GIULIETTA”
Balletto in tre atti
Musica Sergej Prokof’ev
Coreografia Kenneth MacMillan ripresa da Julie Lincoln
Romeo TIMOFEJ ANDRIJASHENKO
Giulietta NICOLETTA MANNI
Mercuzio WALTER MADAU
Tebaldo MASSIMO GARON
Benvolio CHRISTIAN FAGETTI
Paride MARCO AGOSTINO
Lord Capuleti LUIGI SARUGGIA
Lady Capuleti CAROLINE WESTCOMBE
Lord Montecchi GIUSEPPE CONTE
Lady Montecchi FRANCESCA PODINI
Sei amiche di Giulietta MARIAFRANCESCA GARRITANO, AGNESE DI CLEMENTE, MARTA GERANI, DANIELA CAVALLERI, CHIARA FIANDRA, ALESSANDRA VASSALLO
Orchestra e Corpo di ballo del Teatro alla Scala
Direttore del Corpo di Ballo Frédéric Olivieri
Direttore dell’orchestra Patrik Fournillier
Scene Muro Carosi
Costumi Odette Nicoletti
Milano, 29 dicembre 2016    
Prima del grande ritorno di Alessandra Ferri (con Herman Cornejo) per la serata di gala di Capodanno, abbiamo preferito seguire Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko nell’interpretazione del capolavoro di Kenneth MacMillan, un successo presente sulle scene scaligere dal 1965, grazie alla celeberrima coppia Margot Fonteyn e Rudolf Nureyev. In controtendenza rispetto allo star system intelligentemente orchestrato per questa prima di Romeo e Giulietta all’inaugurazione della Stagione di Balletto 2016-2017 – dopo la sostituzione di Coppélia di Mauro Bigonzetti, dimissionario dal ruolo di Direttore artistico – lasciamo alle testate generaliste il ruolo mediatico di amplificare la politica culturale di Roberto Bolle, che con la sua trasmissione televisiva “La mia danza libera” ha lanciato nel ruolo di Giulietta Misty Copeland, prima Principal Dancer afroamericana all’American Ballet Theatre, creando al contempo una grande attesa per la ripresa televisiva del balletto il 15 gennaio nei cinema e su Rai5. Il tutto esaurito alla Scala è quindi l’esito positivo non solo delle festività natalizie, ma anche di idee brillanti in situazioni di emergenza.
Per apprezzare la coppia Manni – Andrijashenko (al suo debutto nel ruolo di Romeo), non possiamo non ripercorrere filologicamente la storia drammaturgica di questa versione del balletto, incominciando dalla sua complessa ideazione in epoca sovietica per rinverdire i fasti del ballo grande ottocentesco. Nel 1934 Sergej Prokof’ev e Sergej Radlov, direttore artistico del Teatro Kirov, realizzano una partitura musicale e un libretto, a lieto fine, secondo i dettami dell’ideologia progressista della rivoluzione, voluta dai committenti del Teatro Bol’šoj di Mosca e rappresentata dai giovani innamorati, bolscevichi, in contrapposizione alle antiche tradizioni feudali. Ma la musica viene considerata troppo difficile dai danzatori e la Società Shakespeare di Mosca si oppone al tradimento del finale tragico. Una prima rappresentazione viene data a Brno in Cecoslovacchia nel 1938, mentre nel 1940 va in scena al Kirov la coreografia Leonid Lavrovskij e Galina Ulanova nel ruolo di Giulietta. La stessa versione raggiunge il Bol’šoj solo nel 1946, ma soprattutto diventa un film nel 1954, dal quale prenderà ispirazione il sudafricano John Cranko per la sua prima coreografia realizzata nel 1958 per il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala con una ventunenne Carla Fracci al Teatro Verde dell’Isola di San Giorgio a Venezia, dove prevale un realismo scevro dai paludamenti della pantomima e una freschezza dei personaggi pennellati nelle loro diverse energie vitali. Lungo questa linea si colloca la versione ‘intimista’ di Kenneth MacMillan, scozzese, anch’egli formato come Cranko alla Sadler’s Wells Ballet School (poi Royal Ballet School). A Londra, l’incontro di MacMillan con la giovanissima Alessandra Ferri permette di rinnovare profondamente il ruolo di Giulietta, grazie alla trasformazione dell’interpretazione attorale in drammaturgia della danza, dove ogni parte del corpo diventa luogo visibile delle emozioni contrastanti. Nel 1995 questa versione entra nel repertorio scaligero per non uscirne più, merito anche della versione filmata con Angel Corella, pubblicata in dvd nel 2000. Qui la relazione fra i due amanti veronesi si gioca sui diversi pesi corporei, che permettono alla Ferri di fluttuare fra le braccia del suo Romeo, fino all’ultima scena della ripresa del Pas de Deux del balcone nella tomba di Giulietta, con il corpo morto di lei a rievocare la tragedia d’amore.
Quali sono quindi le trasformazioni della nuova coppia Manni – Andrijashenko? La drammaturgia del corpo morto non appare più così chiara, la danza di Giulietta e i lift non sono più così fluidi, alti e leggeri, una nuova relazione corporea si percepisce: la parità dei due ruoli (già come con la matura Fonteyn e il giovane Nureyev) e forse il desiderio di uscire da una partitura coreografica (e da un immaginario) che non appartiene alle nuove generazioni di danzatori scaligeri. Manni (già vincitrice del GBOscar 2016, premio che la nostra rivista dedica annualmente ai giovani talenti) ha già rivestito il ruolo di Giulietta, che attraversa con una sua particolare precisione, passione e naturalezza, ma meriterebbe maggiori possibilità professionali, non schiacciata dal confronto con la Ferri o con la Copeland che si dichiara esplicitamente erede della Ferri in questo ruolo. Nella relazione con la Balia, con le bambole, con Paride e con Romeo la Manni ha la possibilità di danzare tutte le gradazioni delle sue intime sensazioni, mentre il fato impone prese coreografiche, specialmente con Paride, che sottolineano la lontananza affettiva: rifiuta infatti i baci a mano, ma poi al ballo in Casa Capuleti è costretta a danzare un algido Pas de Deux e a farsi sollevare, pur non volendolo. Altro tipo di approccio nel primo incontro con Romeo: dopo uno sguardo, Giulietta inizia a suonare il mandolino, esegue un emozionato assolo finché si lascia avvicinare e sollevare da Romeo dopo una corsa tremante in punta (Pas de bourrée suivi), mentre il Leitmotiv battente della Danza delle spade continuerà a dividerli per rispetto del cerimoniale – e del fato. Solo nella scena del balcone, finalmente, Giulietta non esita più a gettarsi fra le braccia di Romeo in un’ arabesque penchée, che dà inizio al Pas de deux. Andrijashenko appare qui più appassionato e convincente, dopo un inizio, nel terzetto con Mercuzio e Benvolio, non particolarmente preciso. L’interpretazione di entrambi è generosa e competente, ma non prende il volo, forse proprio perché la corporeità non sproporzionata dei due avrebbe richiesto una reinvenzione coreografica?
Entusiasmanti invece i costumi e la scenografia, realizzati già nella stagione 2009-2010 da Mauro Carosi e Odette Nicoletti, che hanno rinnovato con un brillante effetto filologico e di alleggerimento l’allestimento suntuoso del 1995 di Ezio Frigerio e i costumi “alla Pisanello” Franca Squarciapino. Qui troviamo una piazza racchiusa da una cavea bassa sotto un cielo azzurro, che rievoca storicamente il Teatro Romano di Verona, ma che subito conduce l’immaginazione dello spettatore straniero all’arena dove si scontravano i lottatori, con un ulteriore richiamo pop al celebre balcone della casa di Giulietta (stesso bassorilievo a colonne) che diventa anche basamento della cripta del quadro finale. La “tragedia visiva” sembra quasi richiamare le fonti originali di Piramo e Tisbe, un mito tramandato con successo dalle “Metamorfosi” di Ovidio fino a Shakespeare e l’ambientazione in un teatro greco-romano italianizza l’immaginario inglese del Globe Theatre, dove Shakespeare creava i suoi capolavori. Le mura di mattoni della Verona medievale segnano le quinte con effetti quasi cinematografici di inquadratura (non solo quindi grazie alla colonna sonora di Prokof’ev che era amato da Eisenstein): ad esempio quando Romeo bacia per la prima volta Giulietta nell’apertura nera del portone. Infine il cielo dietro la cavea di marmo si riempie di imponenti cipressi per sancire l’esito sanguinoso e dare un monito se non si abbattono le mura delle faide familiari… (foto Brescia – Amisano)