Venezia, Palazzetto Bru Zane: “Accademismo e Modernità” con il Quartetto Hanson

Venezia, Palazzetto Bru Zane, Stagione 2016-2017
Quartetto Hanson:
Violini Nanton Hanson, Jules Dussap
Viola Gabrielle Lafait
Violoncello Simon Dechambre
Gabriel Fauré: Quatuor à cordes en mi mineur op. 21
Théodore Dubois: Quatuor à cordes n°1 en mi bémol majeur
Venezia, 21 gennaio 2017
Il Palazzetto Bru Zane-Centre de Musique Romantique Française continua a stupire positivamente il proprio pubblico, proponendogli giovani talenti, che si sono messi in luce nel repertorio cameristico, cui affida l’esecuzione di pezzi rari o inediti d’autori francesi dell’Otto-Novecento, come peraltro è nel suo DNA. Questa volta i promettenti solisti erano quelli che compongono il Quartetto Hanson, una formazione che si è segnalata – come recita il programma di sala – per la sua “straordinaria presenza scenica” e ha già al suo attivo importanti riconoscimenti, conseguiti partecipando a vari concorsi internazionali. Quello che personalmente ci ha più colpito, ascoltandoli nella deliziosa sala del Palazzetto Bru Zane, è il suono, puro e rotondo, che questi giovani distillano dai loro strumenti: nessuno sforzo ma estrema compostezza si coglie nella loro prassi esecutiva, nessuna asprezza non voluta, quasi che le difficoltà tecniche, la “materialità” stessa delle corde e del legno fossero sublimate grazie a un’intelligenza, un carattere, una sensibilità, un affiatamento, una maestria davvero fuori del comune.
“Accademismo e modernità: questo il tema del concerto, dove si confrontavano, appunto, il “modernista” Fauré e l’“accademico” Dubois, diversi nello stile, ma accomunati dall’appartenenza alla stessa generazione e dall’aver percorso carriere piuttosto simili: entrambi organisti, professori, poi direttori del Conservatorio di Parigi e membri dell’Institut de France.
Nel Quartetto di Gabriel Fauré – primo tentativo del compositore in questo genere musicale e, nello stesso tempo, ultima sua fatica creativa, eseguita postuma il 12 giugno 1925 – ha brillato l’insieme, com’è naturale in un pezzo concepito, guardando all’ultimo Beethoven, come un dialogo “inter pares”, dove, tra l’altro, emerge in diversi passaggi il magistero armonico e polifonico dell’autore. Una grande intesa si è potuta apprezzare  nell’inquieto primo movimento (Allegretto moderato), in forma-sonata, dove i due temi – tratti dall’Allegro dell’incompiuto Concerto per violino e orchestra op. 14 – continuamente si intrecciano, creando un’atmosfera di mestizia, per sfociare, con la Coda, in una dimensione di apparente calma. Struggente l’Andante, che può essere percepito come un dolce “canto del cigno” ed è anche il culmine espressivo del lavoro, per la ricchezza dell’ispirazione melodica, la densità della trama polifonica e la raffinatezza delle armonie. Brillantezza nell’accento e un tono più sorridente hanno dominato nell’Allegro finale, in forma di Scherzo-Rondò, basato su due temi contrastanti, costantemente ripresi e variati.
Di eccellente livello è risultata anche l’esecuzione del più tradizionale Quartetto n. 1 di Théodore Dubois – presentato al pubblico in prima assoluta l’11 maggio 1909 –, che alterna pagine dalla scrittura tormentata a sezioni dal carattere più brillante e vivace: dal primo movimento – che si apre e si chiude con una sezione lenta ricca di cromatismi (Larghetto), mentre la parte centrale (Allegro) è percorsa da maggiore vitalismo – al successivo Allegro animato d’una leggerezza mendelssohniana, al Larghetto – dove il primo violino si abbandona a un canto assai espressivo, seguito da un secondo tema più vivace intonato dall’insieme –, al conclusivo Allegro vivo pieno di brio e molto animato ritmicamente, fino al fragoroso finale. Successo pieno con il bis di parte del secondo movimento del quartetto di Dubois.