Madrid, Auditorio Nacional de Música
Ciclo Sinfónico Orquesta y Coro Nacionales de España, Temporada 2016-2017
Orquesta y Coro Nacionales de España
Direttore David Afkham
Mezzosoprano Elizabeth Kulman
Pequeños Cantores de la Comunidad de Madrid
Maestro del Coro Miguel Ángel García Cañamero
Gustav Mahler: Sinfonia n. 3 in re minore per mezzosoprano, coro femminile, coro di voci bianche e orchestra
Madrid, 11 marzo 2017
In ogni letteratura è possibile incontrare versi poetici che riempiono il mondo, colmandolo con il loro canto e la musica delle parole. Le sinfonie di Mahler, al contrario dei versi emblematici, ricreano il mondo per offrire un giudizio su quello reale, sulla sua complessità o assurdità. La III Sinfonia, in cui articolazione e tempi di esecuzione sono smisurati, è uno degli esempi più significativi di tale sforzo: sei movimenti; un avvio che fa della frammentazione il proprio principio vitale; un IV movimento basato sul Canto di mezzanotte di Zarathustra, tratto da Nietzsche; un V che fa dialogare un coro angelico e fanciullesco sulla redenzione di Pietro e sulla gioia paradisiaca, che è forse la più bella sintesi della raccolta Des knaben Wunderhorn; quindi un finale che recupera la materia angosciosa del I movimento per trasformarla in luce e in gioia vera. Anche una modesta sintesi come questa preannuncia efficacemente le enormi difficoltà di esecuzione e di interpretazione dell’opera. Ebbene, la Orquesta Nacional de España diretta dal suo giovane direttore principale David Afkham affronta la partitura con umiltà, professionalità, preparazione davvero notevoli, riuscendo a offrire al pubblico una versione di ottima qualità: forse il migliore e più apprezzato concerto della stagione in corso.
Sin dal I movimento si coglie l’ottima preparazione di tromboni e archi, in ogni sezione d’avvio. Il direttore sceglie tempi e sonorità moderati, forse anche per sottolineare l’aspetto a blocchi frammentari del complicato discorso che costituisce la prima parte della sinfonia (Kräftig, Entschieden, ossia ‘Veemente, deciso’; ma nel programma originario Mahler aveva aggiunto la didascalia La gaia scienza, la mattina di un giorno d’estate, con altro motivo ispiratore nietzschiano). Ogni pagina è curatissima nei risvolti contrappuntistici come nella varietà coloristica, soprattutto nelle sequenze e nei frequenti ritmi di marcia. Afkham non tralascia mai quei momenti di languore in cui gli archi enunciano frasi di disperazione, e richiede tutto questo agli orchestrali con gesto ampio, chiaro e al tempo stesso misurato: quasi mai muove i piedi e raramente si piega su sé stesso, perché affida l’intera comunicazione a mani e braccia; nei momenti più concitati dà un passo in avanti, si allunga per girare i fogli della partitura, ma evita balzi e saltelli di cui tanto si compiacciono alcuni direttori italiani. Dolce e compito, il Minuetto che sorregge il II movimento è nuovamente apprezzabile per la calibratura di tempi e sonorità; anche le dissonanze sono attenuate il più possibile, per quella che lo stesso Mahler considerava la sua pagina più spensierata e serena. Nette differenze di piani sonori e di volumetrie caratterizzano il III movimento (Comodo, Scherzando, Ohne Hast, cioè senza fretta), che cede il passo alla voce del mezzosoprano: Elizabeth Culman è molto corretta nell’espressivo declamato che le si richiede nel corso del IV movimento (Sehr Langsam. Misterioso. Durchaus Leise, ‘Molto lento. Misterioso. Abbastanza dolcemente’), così come nel successivo, in cui diventano protagonisti i due cori (Lustig im Tempo und keck im Ausdruck, ‘Allegro in tempo e coraggioso nell’espressione’). Cantano allegramente gli angeli del paradiso – impeccabili le voci bianche dei Piccoli cantori della Comunidad di Madrid e la sezione femminile del Coro Nacional de España – ma già rintocca la campana di morte: per questo serve una coraggiosa espressività, come prescritto dall’autore. Afkham stacca il finale con una certa decisione, quasi un andante, forse per esprimere in termini più compatti il graduale crescendo di intensità che interessa tutte le sezioni. A volte si vorrebbe un più marcato indugio in determinati passaggi, ma l’agogica complessiva funziona benissimo, con un amalgama di archi e ottoni davvero rimarchevole. Di grande perizia anche il lungo tremulo in pianissimo di violini e viole nel raccordo che precede la sequenza conclusiva, fino a che l’ascoltatore si ritrova sotto la grandiosa cupola di luce degli ultimi accordi.
Il Mahler di Afkham è certamente sobrio e razionale; non esalta alcun opposto, ma stringe l’espressione del tutto. E comunque – quel che più importa – è davvero notevole che un direttore poco più che trentenne sappia già offrire un’esecuzione di tale coerenza nella lettura e nella concertazione; non è un difetto, in una sinfonia come la Terza, rinunciare a proporre una chiave interpretativa unitaria, semplicemente perché essa non esiste, ed elaborarla a ogni costo produrrebbe una forzatura per questo o quel movimento. Nell’intreccio dei temi e dei miti la poesia del Corno magico e l’invenzione mahleriana si accompagnano armonicamente: «Die himmlische Freud’ist eine selige Stadt» (La gioia celestiale è una città felice), canta il coro di bambini-angeli, obbligando a rendersi conto che la città dell’uomo ne è un calco rovesciato e doloroso. Ma proprio quella città della gioia, negata all’uomo sulla terra, si costruisce gradatamente nel finale orchestrale, con il canto d’amore che tutto avvolge nelle sue ampie volute. Come insegna il finale del Ring des Nibelungen, la costruzione di un mondo nuovo e compiuto grazie alla felicità deve prescindere dalla parola, e lasciare tutto lo spazio soltanto al suono. Foto OCNE