Torino, Teatro Regio: “Manon Lescaut” (cast alternativo)

Torino, Teatro Regio, Stagione d’opera 2016-2017
MANON LESCAUT
Dramma lirico in quattro atti, dal romanzo Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut di Antoine François Prévost
Musica di Giacomo Puccini
Manon Lescaut SVETLANA KASYAN
Renato Des Grieux CARLO VENTRE
Lescaut DALIBOR JENIS
Geronte di Ravoir FABRIZIO BEGGI
Edmondo FRANCESCO MARSIGLIA
Il maestro di ballo SAVERIO PUGLIESE
Un musico CLARISSA LEONARDI
Un lampionaio CULLEN GANDY
Sergente degli arcieri e L’oste DARIO GIORGELÈ
Il comandante di marina CRISTIAN SAITTA
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Gianandrea Noseda
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia Vittorio Borrelli
Scene Thierry Flamand
Costumi Christian Gasc
Luci Andrea Anfossi
Movimenti mimici Anna Maria Bruzzese
Allestimento del Teatro Regio
Torino, 21 marzo 2017
Manon Lescaut torna sul palcoscenico del Teatro Regio più o meno una volta ogni decennio; e, per questa ripresa, si è scelto di recuperare l’allestimento “olimpico” del 2006, all’epoca affidato alla regia di Jean Reno. Come quasi sempre accade quando un divo del cinema si cimenta una tantum nella regia d’opera, è uno spettacolo di solidissima tradizione, arricchito da scene e costumi d’epoca di sicuro impatto: e un moto d’ammirazione si è infatti percepito, in platea, all’alzarsi del sipario sul salotto rococò di Geronte (anche se alcuni dettagli dell’arredo, per essere precisi, sconfinano già nello stile impero). Oggi, le stesse scene e gli stessi costumi sono stati animati dalla regia di Vittorio Borrelli, che si è mantenuto nel solco della tradizione senza rinunciare a qualche significativo segno personale, come il gesto stizzito di ribellione col quale Manon aggredisce gli ospiti di Geronte al termine della lezione di musica nel II atto.
La bacchetta è stata impugnata da Gianandrea Noseda, Direttore musicale del Regio al suo debutto nel titolo pucciniano. Noseda, facendo leva sulla professionalità dell’ottima Orchestra del Regio, ha messo in luce la propria stoffa di sinfonista, e questo è stato al contempo il pregio e il limite della sua direzione. Il pregio, perché la scrittura orchestrale di Puccini è risaltata nel minimo dettaglio, in un’iridescenza di timbri e colori ogni volta diversi. L’intermezzo (tempestato, peccato, da colpi di tosse da sanatorio che si spiegano forse con l’età media di chi affolla il teatro in una recita pomeridiana feriale) è suonato intenso e drammatico, il concertato del III atto mirabilmente teso e compatto pur in presenza di uno stacco agogico di buon respiro. L’esaltazione del sinfonismo, tuttavia, specie quando manchino voci di forte caratura, rischia di andare a scapito del palcoscenico: cosicché, nella recita ascoltata, sono risultati meglio delineati i momenti d’ambiente, caratterizzati con raffinatezza, rispetto alle scene passionali, nelle quali la passione brillava più in orchestra che nel canto, quasi che ci si trovasse di fronte a un poema sinfonico con voci anziché ad un’opera lirica. Questo limite si è percepito, in particolare, nei primi due atti, e in maniera assai vivida nel duetto degli amanti del secondo; in seguito l’amalgama è stato decisamente più efficace. Protagonista del cast alternativo, il soprano Svetlana Kasyan, si caratterizza per un’emissione troppo tagliente, in specie nel registro acuto. Caratteristica, questa, che non favorisce l’emergere del lirismo del personaggio, a partire dall’aria più celebre, «In quelle trine morbide», segnata, peraltro, da uno stacco decisamente veloce; e poco si sposa con il lato passionale di Manon, per il quale occorrerebbe anche un volume più generoso. Il tenore Carlo Ventre (Des Grieux) non ha dalla sua un timbro molto suadente, ma vi pone rimedio con una solida impostazione maschia del suono e un fraseggio curato con intelligenza che gli permette di esprimere con partecipazione lo slancio del sentimento nei primi due atti, che si tramuta in straziata disperazione nel finale III e in una non rassegnata sfinitezza nell’ultimo atto. Un plauso particolare merita il basso Fabrizio Beggi, nel ruolo di Geronte, il quale, forte di un’esperienza poliedrica che spazia dal buffo al mezzo carattere al serio, ha saputo impersonare con perspicacia l’anziano tesoriere, evitando di darne un’immagine puramente macchiettistica; in particolare, nel secondo atto, allorché sorprende Manon con Des Grieux, dalla sua voce traspariva il sottile sarcasmo dell’uomo risentito. Tra gli altri interpreti, comuni al cast principale, il baritono Dalibor Jenis si è messo in luce nella conclusione del I atto, quando Lescaut assume le vesti dell’ubriaco saggio – caratterizzato con le giuste inflessioni della voce e con l’aiuto di un’intelligente regia –, e nella concitazione del finale II. Di lusso, nel ruolo di Edmondo, il tenore Francesco Marsiglia, per la voce di timbro gradevole e di bella pasta. Una solida preparazione ha caratterizzato tutte le seconde parti, così come il Coro del teatro, istruito da Claudio Fenoglio.